di Mario Lombardo

Dopo ben due anni e mezzo di vuoto al vertice dello stato, il parlamento del Libano è riuscito finalmente a eleggere un nuovo presidente, mettendo fine a uno stallo politico che aveva aggiunto ulteriori incertezze a una situazione già estremamente delicata a causa del conflitto nella vicina Siria. Il nuovo capo dello stato è l’81enne ex generale ed ex primo ministro, Michel Aoun, cristiano maronita del Movimento Patriottico Libero e alleato di Hezbollah.

Nonostante la vicinanza del neo-presidente al partito-movimento sciita, la sua elezione era stata promossa in maniera decisiva dal leader del principale partito libanese sunnita (Movimento il Futuro), Saad Hariri, figlio dell’assassinato ex primo ministro, Rafik Hariri. Il recente appoggio di Hariri ad Aoun aveva permesso di sbloccare la situazione dopo quasi quaranta convocazioni del parlamento andate a vuoto a partire dalla fine del mandato di Michel Suleiman nel maggio del 2014.

Alla prima votazione in aula, Aoun ha mancato i due terzi dei consensi dei deputati, necessari per essere eletto presidente, ma al secondo tentativo, quando è sufficiente la maggioranza semplice, dopo alcuni problemi procedurali ha ottenuto 83 voti a favore, cioè 18 in più della soglia minima prevista.

La paralisi politica in Libano era dovuta principalmente all’impossibilità delle varie fazioni politiche, schierate lungo linee settarie, di trovare un’intesa sul nome del nuovo presidente, il quale secondo gli accordi presi al termine della guerra civile deve essere di fede cristiana. Sulla crisi politica libanese aveva influito il fatto che i diversi partiti si erano schierati su posizioni opposte in relazione alla guerra in Siria, acuendo ulteriormente le divisioni nel paese.

Già sul finire dello scorso anno, Hariri aveva tentato di rompere l’impasse appoggiando pubblicamente un altro alleato di Hezbollah, il leader del piccolo partito cristiano Movimento Marada, Suleiman Franjieh, ritenuto molto vicino al presidente siriano, Bashar al-Assad.

Quell’esperimento, già visto da molti come un clamoroso voltafaccia di Hariri nei confronti della comunità sunnita e del regime con la maggiore influenza su quest’ultima, l’Arabia Saudita, era però fallito dopo che Hezbollah aveva insistito sulla candidatura a presidente di Michel Aoun.

Aoun incontrava da parte sua l’opposizione anche di leader della stessa coalizione di cui fa parte, l’Alleanza 8 Marzo, come il presidente del parlamento, lo sciita Nabih Berri, del Movimento Amal. Contro Aoun erano schierate inoltre anche alcune fazioni cristiane affiliate all’altra principale coalizione libanese, l’Alleanza 14 Marzo guidata da Hariri, a cominciare dai Falangisti del Partito Kataeb di Samy Gemayel. A complicare ulteriormente il quadro, già alcuni mesi fa Aoun aveva invece trovato l’appoggio del rivale Samir Geagea, leader delle Forze Libanesi cristiane, anch’esse parte dell’Alleanza 14 Marzo.

L’accordo che ha garantito a Michel Aoun l’ascesa alla presidenza prevede che la carica di primo ministro, riservata a un sunnita, sia assegnata a Saad Hariri. Quest’ultimo era già stato a capo del governo tra il 2009 e il 2011 ma era stato costretto alle dimissioni in seguito al ritiro della fiducia di Hezbollah a causa delle tensioni politiche provocate dalle indagini del tribunale internazionale sulla morte di Rafik Hariri e il coinvolgimento in esse di esponenti del “Partito di Dio”.

Aoun rimane in ogni caso una figura controversa in Libano. Da combattente contro l’invasione siriana, che gli sarebbe costata un esilio durato 15 anni, Aoun si è trasformato in alleato di Hezbollah e delle forze più vicine a Damasco nel suo paese. Proprio nella capitale della Siria, Aoun si recò in una storica visita nel 2009 e cinque anni più tardi da un presidente Assad già da tempo invischiato in un sanguinoso conflitto sul fronte interno ottenne l’appoggio per la corsa alla presidenza del Libano.

L’interesse dei media libanesi e non solo si sta concentrando però sulla decisione di Hariri di appoggiare quello che veniva considerato un suo nemico, tanto più alleato di Hezbollah. La prima e più probabile ipotesi ha a che fare con i timori, non solo del leader sunnita, per lo sprofondare del Libano in una crisi politica che potrebbe avere conseguenze esplosive alla luce della già precaria situazione prodotta dal conflitto siriano e dall’escalation di violenze settarie in Medio Oriente.

In molti spiegano invece le mosse dell’ex e futuro premier libanese almeno parzialmente con i guai del suo impero economico nel campo delle costruzioni in Arabia Saudita, dove ha vissuto gran parte degli ultimi anni. Il crollo delle quotazioni del petrolio ha costretto il regime di Riyadh a ridurre le spese in molti ambiti, tra cui quello edilizio, e ciò ha colpito pesantemente gli interessi di Hariri, poiché la sua compagnia aveva ingenti contratti d’appalto pubblici in Arabia Saudita.

Al possibile deteriorarsi dei rapporti tra Hariri e la monarchia saudita va aggiunta di riflesso la calante popolarità dell’ex premier in Libano, il quale sembrava addirittura sul punto di essere rimosso dalla leadership del suo partito e della coalizione di cui fa parte. La decisione di appoggiare Michel Aoun sarebbe stata perciò il tentativo di riconquistare il centro della scena politica libanese.

L’elezione di un nuovo presidente pienamente appoggiato da Hezbollah é una sconfitta per l’Arabia Saudita e una vittoria per l’Iran. I regnanti di Riyadh si trovano d’altra parte impegnati su più fronti in Medio Oriente, dalla Siria allo Yemen all’Iran, e hanno mostrato nell’ultimo periodo un interesse relativamente minore per il Libano. Clamorosa in questo senso fu ad esempio la cancellazione nel mese di febbraio di aiuti per 4 miliardi di dollari destinati alle forze armate e ai servizi di sicurezza libanesi.

Anche dopo il passo avanti fatto lunedì nella risoluzione della crisi politica, la sorte del Libano dipenderà come sempre anche dalle vicende mediorientali del prossimo futuro e, allo stesso tempo, ciò che accade nel “paese dei cedri” avrà riflessi oltre i suoi confini, vista l’influenza che su di esso hanno le varie potenze regionali.

Aoun e il premier in pectore Hariri, da parte loro, avranno di fronte un percorso molto stretto e, oltre a mediare i vari interessi che confluiscono sul Libano, saranno chiamati ad affrontare questioni delicate e di difficilissima soluzione su un fronte domestico segnato dalle divisioni settarie: dalla riforma elettorale a quella dell’intero quadro legislativo, dal rilancio di un’economia cronicamente stagnante all’adozione di una posizione quanto più possibile unitaria e coerente sulla guerra in Siria.

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