di Mario Lombardo

Con i rapporti tra Occidente e Russia in caduta libera a causa della crisi in Ucraina, anche le vicende politiche dell’apparentemente insignificante Moldavia sono balzate negli ultimi mesi al centro dell’attenzione di governi e media europei e americani, impegnati a sostenere in tutti i modi il percorso di sganciamento da Mosca della piccola ex repubblica sovietica.

In questo quadro, le elezioni parlamentari dello scorso fine settimana avrebbero gettato le basi per un ulteriore rafforzamento dei legami tra Chisinau e Bruxelles, già consolidati dalla firma del cosiddetto Accordo di Associazione con l’Unione Europea avvenuta nel mese di giugno in contemporanea con Georgia e Ucraina.

I principali partiti filo-occidentali hanno infatti conquistato la maggioranza dei 101 seggi che compongono l’assemblea legislativa moldava. Il Partito Liberal Democratico (PLDM) del premier Iurie Leanca ha sfiorato il 20%, mentre i suoi due probabili partner di governo - Partito Democratico (PDM) e Partito Liberale (PL) - hanno ottenuto rispettivamente il 16% e il 9,5% dei consensi espressi.

Il maggior numero di voti se lo è però aggiudicato il Partito Socialista (PSRM) filo-russo, premiato da una campagna elettorale basata sulla proposta di revoca dell’accordo con l’UE e sull’adesione a un’unione doganale eurasiatica promossa dal Cremlino. Il PSRM ha ricevuto quasi il 21% e 25 seggi, dopo che, secondo vari sondaggi riportati alla vigilia del voto dai media occidentali, il partito fondato da ex membri di quello Comunista era accreditato al massimo dell’8 / 10%.

Il Partito Socialista ha approfittato del vero e proprio crollo del PLDM, il quale ha perso quasi 10 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2010 dopo avere messo in atto politiche fatte di austerity, deregulation e privatizzazioni per inseguire il processo di integrazione con l’UE. Il successo della formazione filo-russa è stato inoltre la conseguenza del tentativo da parte del governo di limitare i diritti della popolazione russofona della Moldavia, promuovendo al contrario l’identità romena del paese.

Meno penalizzato è stato invece il Partito Liberale, che ha praticamente mantenuto la stessa percentuale di voti di quattro anni fa, mentre il Partito Democratico ha aumentato di una manciata di seggi la propria rappresentanza in Parlamento, probabilmente anche per avere proposto un approccio più cauto nei confronti della Russia.

Il vero sconfitto del voto è stato comunque il Partito Comunista (PCRM) dell’ex presidente Vladimir Voronin, passato dal 39,3% (42 seggi) del 2010 al 17,7% (21 seggi). Il PCRM aveva tenuto un atteggiamento più ambiguo nei confronti dell’accordo con Bruxelles, dichiarandosi pronto tuttavia a sostenere la coalizione filo-occidentale se fosse stato necessario.

Le elezioni in Moldavia hanno ottenuto la sostanziale approvazione degli osservatori dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), facendo apparire quasi trascurabili le critiche da essi stessi indirizzate alle autorità di Chisinau per avere estromesso dalla partecipazione al voto un’altra formazione filo-russa, il partito Patria dell’uomo d’affari populista Renato Usatii.

Il governo moldavo e la Commissione Elettorale Centrale, in realtà, hanno fatto di tutto per impedire che il diffuso sentimento anti-europeo si manifestasse pienamente nei risultati delle urne, cercando di limitare la possibilità di scelta se non addirittura il diritto di voto dei moldavi meglio disposti verso Mosca.

I candidati del partito Patria, ad esempio, erano stati definitivamente rimossi dalle schede elettorali pochi giorni prima del voto, dopo che la giustizia moldava aveva ritenuto i suoi vertici colpevoli di aver ricevuto finanziamenti illegali dall’estero, ovvero dalla Russia. Lo stesso Usatii venerdì scorso era fuggito in Russia, dove ha i propri interessi economici, per sottrarsi a un probabile arresto.

Il partito Patria veniva dato dai sondaggi attorno al 10 / 14% e, a giudicare dalla scarsa accuratezza delle valutazioni relative al potenziale del Partito Socialista, è probabile che la quota di voti effettivamente conquistata avrebbe potuto essere superiore, rafforzando perciò sensibilmente il campo filo-russo in parlamento.

Inoltre, le forze pro-UE avevano contribuito ad alimentare un clima al limite dell’isteria, agitando la minaccia di un’aggressione imminente da parte della Russia. A questo scopo era servita anche un’operazione delle forze di sicurezza che avevano fatto irruzione nelle abitazioni di alcuni appartenenti a un’organizzazione anti-fascista vicina al partito Patria. Le autorità avevano mostrato le armi che sostenevano di avere rinvenuto durante le perquisizioni, lasciando intendere che fosse in preparazione una qualche azione violenta nel paese.

La questione della Transnistria è stata poi utilizzata anche in Occidente per mettere ancor più in luce le tendenze aggressive russe. Questa regione a maggioranza russofona si era separata dalla Moldavia due decenni fa nel timore di una possibile unificazione del paese con la Romania, di cui aveva fatto parte (a esclusione della Transnistria stessa) fino al 1939. L’indipendenza della Transnistria non è però mai stata riconosciuta da nessun paese e i suoi abitanti vivono tuttora in una situazione di stallo e sotto la protezione di un continengente militare russo.

La propaganda occidentale e del governo di Chisinau vorrebbe Mosca pronta ad annettersi la Transnistria, come ha fatto quest’anno con la Crimea. Tuttavia, la Russia non ha mai manifestato alcuna intenzione in questo senso, ma ha anzi sempre sostenuto una soluzione che garantisse l’unità territoriale della Moldavia e un’ampia autonomia per la regione russofona.

Questa proposta, finora respinta dal governo centrale, è peraltro simile a quella avanzata dal Cremlino per le regioni “ribelli” del Donbass in Ucraina, nonostante il regime di Kiev e l’Occidente continuino a sostenere che i propositi di Mosca siano quelli di voler portare a termine un’altra annessione.

Dal momento che l’agitazione dello spettro russo non sarebbe stata probabilmente sufficiente ai partiti filo-occidentali per vincere le elezioni, infine, a moltissimi moldavi residenti all’estero è stato di fatto impedito di esprimere il proprio voto.

Soprattutto in Russia, secondo alcune stime, almeno mezzo milione di moldavi non avrebbe avuto la possibilità di recarsi alle urne dopo che il governo di Chisinau ha finito per istituire appena 5 seggi nel territorio della federazione sui 15 inizialmente annunciati.

Complessivamente, dunque, l’entusiasmo per l’integrazione con l’Unione Europea appare tutt’altro che prevalente in Moldavia, come conferma anche la bassa affluenza alle urne. Secondo la Commissione Elettorale Centrale, il 30 novembre scorso avrebbe votato solo il 55% degli aventi diritto, cioè l’8% in meno rispetto a quattro anni fa.

Vari sondaggi condotti nei mesi scorsi da istituti di ricerca moldavi avevano d’altra parte indicato come il numero di intervistati che avevano espresso un’opinione favorevole all’adesione del loro paese all’Unione doganale con Russia, Bielorussia e Kazakistan fosse superiore a quello di coloro che auspicano l’ingresso nell’UE.

Gli equilibri delle opinioni in questo ambito si sono rovesciati rispetto al 2013, forse anche per un certo realismo dettato dalla consapevolezza dell’importanza economica della Russia, la quale ha tra l’altro risposto qualche mese fa alla sottoscrizione dell’accordo con l’UE da parte del governo di Chisinau con un embargo nei confronti dell’export alimentare moldavo.

La probabile coalizione di governo che dovrebbe uscire dai colloqui in corso tra i partiti filo-occidentali cercherà così ora di implementare il programma di “riforme” necessarie per l’integrazione con l’Unione Europea.

Le più che giustificate resistenze nel poverissimo paese dell’Europa orientale rischiano tuttavia di complicare questo processo, mentre anche la vita della maggioranza in parlamento potrebbe risultare tutt’altro che agevole. Nel 2015, infatti, il presidente Nicolae Timofti vedrà scadere il proprio mandato e il suo successore dovrà essere eletto da una supermaggioranza parlamentare che richiederà un certo numero di voti dell’opposizione filo-russa.

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