di Bianca Cerri

Negli anni ’50 Ronnie Williamson sognava di diventare un giorno un campione di baseball. Un vero campione, tanto ricco da tirare fuori dalla miseria la sua famiglia. Poi il sogno si era avverato. Ronnie aveva iniziato a giocare con la squadra dell’Oakland As per poi passare ai New York Yankees. Ma tutto finì quando un giudice lo condannò a morte nel 1988 per aver violentato ed ucciso una cameriera. Nel braccio della morte Ronnie rimase undici anni prima di essere scagionato dal test del DNA richiesto dai suoi avvocati. Uscito dall’Oklahoma State Penitentiary fu rincorso dai giornalisti che volevano conoscere tutti i particolari della sua storia e per sfuggire alle loro attenzioni si rifugiò in casa dei famigliari. Poi un nipote lo aveva aiutato a comprarsi una roulotte ed era andato a vivere lì da solo. Quegli undici anni trascorsi in una cella buia avevano fatto vacillare la mente di Rodney che passava intere giornate da solo pizzicando la chitarra fino a quando scomparve per andare a morire da solo in Oklahoma, a soli 51 anni. Sono già passati due anni da allora, ma il nome di Ron Williams è nuovamente apparso sui giornali nei giorni scorsi, perché John Grisham ha scritto un libro sulla sua vita. Lo scrittore era rimasto colpito dal necrologio ed ha telefonato alla famiglia di Ronnie. “Non avrei voluto vederlo trasformato in un eroe ed ho apprezzato il fatto che Grisham non abbia cercato di farlo”, ha detto la sorella Angela. Angela voleva molto bene a Ronnie e il suo arresto fu un brutto colpo per lei. Aveva solo 12 anni quando vide i sogni del fratello andare in fumo ma ancora oggi ricorda il suo amore per lo sport. Una volta uscito dal braccio della morte, Ronnie aveva insegnato i trucchi del baseball ai figli di Angela nati nel frattempo.

I primi problemi per Williamson erano iniziati con l’alcol. Non riusciva a dare allo sport quello che avrebbe voluto. Poi era arrivata l’accusa di stupro e omicidio seguita dall’arresto e dalla condanna. Nessuno aveva fatto caso alle proteste d’innocenza di Williamson. Il giudice lo aveva condannato a morte in totale assenza di prove. “Gli ho fatto visita in carcere e urlava di essere innocente con quanto fiato aveva in gola”, dice Annette, un’altra sorella. Ma i giudici ci hanno messo undici anni a scoprirlo. Poi la confessione del vero colpevole. Che oggi si trova nel braccio della morte.

Tutti i Williamson avevano atteso l’uscita di Ronnie e il suo ritorno nel mondo libero. Sembrava avesse conservato il senso dell’umorismo e l’ottimismo. Poi l’isolamento volontario. “Qualche volta usciva sulla veranda, ma il resto del tempo lo trascorreva solo in casa”, dice Annette. “Solo raramente parlava degli anni trascorsi in prigione”, aggiunge. In realtà, Williamson tratteneva dentro il suo passato. La sua vita era ormai una lunga sequela di giorni vuoti passati a pizzicare la chitarra. Non voleva più saperne del mondo. E ancora meno delle donne. Un brutto giorno Ronnie sparì. “Pensammo fosse andato a cercare una vita migliore altrove”, dice una delle sorelle. Invece era andato a morire di cirrosi epatica a centinaia di chilometri dalla famiglia. E sulla sua tomba c’è una scritta: “Qui giace Ronald Keith Williamson, un uomo forte e buono, dal cuore libero....”

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