Anna Politkovskaja - la giornalista uccisa nei giorni scorsi a Mosca - è ora il simbolo della rivolta anti-Putin. I suoi scritti, le sue denunce passano di mano in mano segnando il mutamento della società. Il quotidiano dove scriveva - la Novaja gazeta - va a ruba. Si formano associazioni spontanee che chiedono chiarezza su quanto avvenuto. I militari del Cremlino cercano di bloccare ogni ulteriore fuga di notizie. Gli organi della sicurezza sono in stato d'allarme e le ambasciate della Russia hanno ricevuto l'ordine di tranquillizzare cancellerie, deputati, giornalisti. Putin sente tremare il suo trono.
Tutto questo, detto in poche parole, rivela che torna di moda la "disinformazija". E proprio per combatterla si può tentare una rapida inchiesta sulla situazione cecena attuale. Perché sembra proprio di essere alla vigilia di qualche mutazione epocale a partire dal problema "numero uno": il Presidente.
PUTIN. La sua presenza al vertice del Paese si fa sempre più ingombrante. Appare in tutte le occasioni. Parla in ogni momento. Ha occupato la televisione e si è distinto anche con azioni di censura nei confronti della stampa. E non è un segreto che sta preparando l'uscita dal Cremlino creando una rete d'interessi economici. Non vuole, infatti, fare la fine del pensionato di lusso - casa e famiglia - (com'è avvenuto per il suo predecessore, Eltsin), ma prendere parte attiva al gran mondo degli affari. Passa così in secondo piano quell'idea del Parlamento della Cecenia (controllato dai russi) relativa ad un emendamento alla Costituzione che permetta a Putin di presentare la sua candidatura per un terzo mandato alle elezioni del 2008. Putin, invece, sa bene che è arrivato al capolinea e vuole salire su un treno ad alta velocità che lo porti nell'arena dell'economia mondiale. Ecco perché vuole normalizzare la Cecenia, controllarne quei settori legati al petrolio e, di conseguenza, presentarsi come l'uomo in grado di garantire tranquillità e gestione degli affari: senza incognite o rivolte. Sceglie, quindi, la strada delle oligarchie.
CECENIA. Al nome e all'attività di Putin sono collegate le questioni del Caucaso. Ed è in assenza di una reale volontà di cercare una soluzione politica al conflitto che Mosca è condannata a riconquistare, in continuazione, un territorio la cui popolazione, nonostante la stanchezza della guerra, convive con la brutalità e la repressione. Grozny, occupata dalle truppe federali alla fine dell’inverno 1995, è così sempre più l’obiettivo di combattimenti accaniti.
Tutto è come nei secoli scorsi: le truppe russe controllano solo il luogo in cui si trovano (nel momento in cui vi si trovano) e sembrano compensare la loro sensazione d'impotenza con una violenza incontenibile. Di conseguenza è la popolazione civile la principale vittima della guerra.
La constatazione non deriva dai troppo famosi «danni collaterali» - addotti dai militari per giustificare a priori l’inaccettabile in ragione dell’inevitabile - allude piuttosto al tipo di guerra condotto dalle truppe federali: una guerra totale che prende di mira non solo i combattenti, ma tutta la popolazione. Le vittime principali sono così le popolazioni urbane, letteralmente schiacciate sotto un tappeto di bombe prima di essere «ripulite» e smistate nei «campi di controllo». Nelle operazioni di «pacificazione» - in uno stato d'allarme costante - i civili sono letteralmente presi in ostaggio con il ricatto della distruzione esercitato sui villaggi: alle località prese di mira è intimato un ultimatum. L'alternativa è tra la resa incondizionata e le rappresaglie collettive.
KADYROV. E' in questo contesto che - dopo l'uccisione dei leader massimi dell'indipendentismo ceceno - Putin sta cercando disperatamente di trovare un nuovo Quisling per il Caucaso. Aveva puntato - dopo la scomparsa di Maschadov - su Achmad Jadzhi Kadyrov, un 53enne che era anche il capo di un clan e che aveva ricoperto importanti incarichi religiosi. Era stato (dopo un periodo d'istruzione in una scuola di teologia islamica in Usbekistan) il muftì della Cecenia e un combattente indipendentista della prima guerra russo-cecena (1994-1996); si era poi seduto al tavolo dei negoziati di Khassaviurt al fianco del vincitore Maschadov.
In quei tempi si era conquistato la fiducia del presidente come comandante militare. Poi aveva cambiato bandiera passando dalla parte dei russi e divenendo, appunto, il Presidente filo-russo di Grozny. Aveva ai suoi ordini un esercito di 13mila uomini pagati direttamente da Mosca e una guardia personale di 5000 unità, i famigerati "kadyrovzi" collegati ai servizi di sicurezza del Cremlino.
Putin aveva deciso di metterlo alla testa della Cecenia il 6 ottobre 2003 con un'elezione truccata (un 80% di voti, fu detto). Ma nonostante le elezioni il personaggio era stato bollato come un fantoccio del governo russo: traditore del popolo ceceno. Poi una tragica svolta.
Il 9 maggio 2004 a Grozny si svolge, nello stadio "Dinamo", la parata per la vittoria sui nazisti. Per Mosca è l'occasione per dimostrare che nella capitale cecena regna la calma e che la festa è dell'intera "nazione russa". Ma c'è una violentissima esplosione che distrugge la tribuna dove si trovano le autorità. Decine le vittime. Tra loro il Presidente della Cecenia, Kadyrov e Isayev, responsabile del consiglio di Stato. Gravemente mutilato resta il capo delle forze russe in Cecenia, generale Baranov.
Il figlio di Kadyrov, Ramazan (nato il 5 ottobre 1976), vola subito a Mosca, al Cremlino, per incontrare Putin. Il quale - pur se impegnato nelle manifestazioni della Vittoria - interviene alla tv per dire: "La giustizia avrà il sopravvento e la punizione dei colpevoli sarà inevitabile. Kadyrov è morto nel giorno della nostra festa nazionale, ed è morto senza essere stato sconfitto".
Comincia in quel momento la corsa per individuare un futuro e nuovo Quisling. Al posto dello scomparso Kadyrov è nominato un personaggio quasi sconosciuto e destinato a gestire un periodo di transizione: Alchanov. Ma nella lista d'attesa avanza anche il nome del figlio del defunto presidente.
Siamo al 2006 e precisamente al 10 luglio quando Patrusev, capo del servizio federale della sicurezza della Russia (Fsb), informa Putin sul risultato di un'operazione speciale nel territorio dell'Inguscetja nel corso della quale sono stati uccisi il leader ceceno Shamil Basaev (il "terrorista numero uno") e altri "banditi" da tempo ricercati.
Patrusev - nel messaggio al Cremlino - sostiene che i guerriglieri stavano preparando un atto terroristico con l'obiettivo di interferire tragicamente sul summit del G8 in corso a San Pietroburgo. Ma tutto resta avvolto nel mistero. Putin, comunque, si congratula con i servizi di sicurezza e premia quanti hanno partecipato all'operazione. Dal canto suo il Presidente della Cecenia Alchanov dichiara che la morte di Basaev mette fine alle operazioni del terrorismo nel Caucaso del Nord. E il giovane Kadyrov aggiunge di essere dispiaciuto del fatto di non essere stato lui ad uccidere Basaev…
Ed ecco - sempre in questo contesto di paurosa instabilità - che il Cremlino comincia a valutare l'ipotesi di una nuova "gestione Kadyrov-junior" della Cecenia. Del resto - si dice - il personaggio è già a capo delle forze di sicurezza della Cecenia. Ma è anche odiatissimo dalla popolazione locale perché ritenuto colpevole dei crimini più efferati. A Mosca, tutto questo, sembra non interessare. Importante è mettere alla guida della Cecenia un uomo capace di attuare le repressioni al momento opportuno e avendo sempre Putin come punto di riferimento.
Intanto il tempo della scelta per il seggio presidenziale di Grozny sta per scadere. Il mandato di Alchanov finisce il 30 ottobre prossimo e il giovane Ramazan - già nella poltrona di primo ministro dal dicembre 2005 - comincia ad agitarsi. Ha introdotto nel paese alcune regole della sharia: la proibizione di alcolici e del gioco d'azzardo. Vuole apparire come un paladino dell'Islam cambiando il caos in ordine. Ma la realtà è ben diversa. E sulla sua figura si addensano nuvole nere.
Come capo del Servizio di Sicurezza Presidenziale è accusato di essere brutale, spietato e antidemocratico; per la stampa, è implicato in numerosi casi di tortura e omicidio. L'associazione tedesca per i diritti umani (GfbV) afferma che fino al 70% di tutti gli assassinii, stupri, rapimenti e casi di tortura in Cecenia sono stati commessi dal suo esercito privato. E c’è di più. In un sito Internet della guerriglia indipendentista cecena esce un video amatoriale che lo ritrae in una sauna in compagnia di due donne nude. E si sa che il giovane Ramazan cerca sempre di mostrarsi come il campione della morale islamica, imponendo alle donne l’obbligo d’indossare il velo…
A commentare il video - nei giorni dello scandalo - sarà la giornalista Anna Politkovskaja: “Non sono stupita, so da fonte certa che il giovane Kadyrov è una leggenda tra gli uomini dell’alta società moscovita, che riferiscono delle sue avventure sessuali, cui hanno assistito di persona come suoi ospiti nei club per soli uomini della capitale. Ramazan è un giovane rozzo e ignorante e un ipocrita insuperabile. Questo video non mi stupisce affatto”.
ISLAM. E' comunque il tema dell'Islam che minaccia di segnare l'inizio della fine della politica caucasica attuata dal Cremlino. Va ricordato, in proposito, che una quota crescente della popolazione russa (tra l’8 e il 14%) è musulmana. E si deve tener conto che la Russia di Eltsin aveva ereditato due contenziosi a sfondo islamico, con i tartari del Volga e con i ceceni. Ma se era riuscita a trovar rimedio al primo, accordando un’ampia autonomia al Tatarstan, il suo conflitto con i ceceni, mobilitati nel 1991 da Dudajev, è sempre rimasto irrisolto. Dopo due guerre sanguinose, nel 1994-’96 e nel 1999-2000, la Cecenia non è ancora pacificata, malgrado la presenza di parecchie decine di migliaia di militari russi a Groznij e dintorni.
Il problema, comunque, riguarda pur sempre il "risveglio islamico". Con il wahhabismo che può provocare, ad esempio, l’esplosione del Tatarstan. Non a caso in Russia il wahhabismo è associato, progressivamente, al fondamentalismo e all’estremismo islamico. E il presidente del Consiglio di Stato del Daghestan, Magomedali Magomedov, lo definisce «una tendenza non ortodossa dell’Islam», mentre Ruslan Chasbulatov - ex esponente di spicco del parlamento di Mosca - lo considera una forma di «settarismo religioso». Le valutazioni sono diverse, è vero, ma gli obiettivi sono comuni. Ecco, quindi, che l'Islam ha trovato e trova in Cecenia un suo centro di unità.
POLITKOVSKAJA. Esplode il caso Politkovskaja proprio nel momento in cui il Paese si agita, preoccupato per il futuro. E si scopre che gli articoli della giornalista hanno tutti un filo rosso che li unisce. Colgono l'effettiva portata della politica di un presidente decisionista, incapace di trarre le dovute conclusioni della storia passata e vicina. La Politkovskaja ha la capacità e la forza di unire quanto avviene a Grozny e quanto si pensa a Mosca. Mette insieme le atrocità commesse dal filorusso Kadyrov e le repressioni attuate dagli uomini di Putin. E così firma la sua condanna a morte annunciando: "Ho i nomi e sono pronta a testimoniare in tribunale".
Detto questo, comunque, è difficile cogliere l'effettiva portata dei fenomeni che stanno sconvolgendo la Russia. Il Paese si interroga e riflette su se stesso. E i nodi da sciogliere sono tanti e tanti. Di sicuro c'è solo un fatto. Ed è che le sorti della Russia - al momento - sono nelle mani di un solo uomo: Putin. E il sistema che lui ha messo in piedi - e la Politkovskaja lo aveva non solo capito, ma anche denunciato pubblicamente - è più che mai pericoloso per l'intera Russia. La Cecenia - per lui - è solo un esperimento valido per dimostrare che si può essere democratici quando si opera con l'occidente ed autoritari quando si manovra entro i confini. I ceceni lo hanno capito da tempo. E la Politkovskaja è stata la vittima dei grandi intrighi tra Mosca e Grozny. Lei aveva messo le mani su quei dossier che si chiamano "Potere del Cremlino", "Servizi di sicurezza", "Traffico d'armi", "Esportazione di capitali all'ovest". Ecco perché la sua sorte era segnata da tempo.
LA DISINFORMAZIJA DI PUTIN
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