di Michele Paris

Il caos politico-istituzionale che sta travagliando l’Egitto del dopo Mubarak si è ulteriormente aggravato in questi ultimi giorni con l’intensificarsi delle tensioni tra il presidente islamista Mohamed Mursi e il Consiglio Supremo delle Forze Armate (CSFA), vero detentore del potere nel paese nord-africano. L’ultimo capitolo dello scontro esploso dopo le recenti elezioni presidenziali tra i militari e i Fratelli Musulmani era iniziato domenica scorsa, quando Mursi aveva emesso un decreto per reinsediare il Parlamento, sciolto dal CSFA alla vigilia del ballottaggio del 16 e 17 giugno nell’ambito di un vero e proprio colpo di stato.

In risposta alla mossa del presidente, lunedì i militari hanno confermato la dissoluzione del Parlamento, ordinata il 14 giugno in seguito ad una sentenza della Corte Costituzionale, la quale aveva rilevato irregolarità nelle procedure di assegnazione di un terzo dei seggi della stessa assemblea legislativa dominata dai Fratelli Musulmani. Parallelamente allo scioglimento del Parlamento, il CSFA aveva assunto di fatto i pieni poteri nel paese, incluso quello di controllo sulla legislatura, sulle questioni di bilancio e sulla stesura della nuova carta costituzionale.

Con il pericolo di uno scontro aperto tra militari e islamisti, nonché del riesplodere delle proteste di piazza, le potenze occidentali, con Washington in testa, si sono mosse tempestivamente per spingere le due parti ad un compromesso, così da proseguire con un processo di “transizione” che salvaguardi i loro interessi strategici, a cominciare dal rispetto del trattato di pace tra Egitto e Israele del 1979.

Con ogni probabilità dietro consiglio americano, dunque, Mursi e il Parlamento si sono mossi con una certa cautela, evitando di sfidare frontalmente la giunta militare. L’assemblea legislativa si è così riunita martedì in una seduta di appena 15 minuti, durante la quale è stata presa soltanto la decisione di presentare appello contro la già ricordata sentenza della Corte Costituzionale.

Il presidente del Parlamento, Saad El-Katatny, ha tenuto a chiarire che l’assemblea si è riunita unicamente per “considerare il verdetto della Corte” e per “cercare un meccanismo che consenta di implementare la sentenza” stessa. Lo stesso presidente, peraltro, aveva attenuato la portata del suo decreto di domenica scorsa, affermando che esso non contraddiceva la sentenza della Corte Costituzionale, bensì ne ritardava soltanto l’applicazione, dal momento che ordinava nuove elezioni entro due mesi dalla ratifica di una nuova Costituzione.

La disponibilità a scongiurare un confronto con i Fratelli Musulmani da parte dei militari è stata dimostrata invece dal fatto che le forze di sicurezza hanno consentito ai deputati l’accesso all’edificio che ospita il Parlamento al Cairo per la seduta di martedì, mentre nei giorni precedenti l’ingresso era stato impedito.

Alla convocazione del Parlamento, in ogni caso, la Corte Costituzionale ha risposto duramente e, nella giornata di martedì, ha convocato una riunione di emergenza, in seguito alla quale ha confermato la sua prima sentenza, minacciando inoltre azioni legali contro il presidente Mursi se continuerà ad ignorare la decisione del supremo tribunale.

Il conflitto che sta opponendo la giunta militare con poteri pressoché dittatoriali e i Fratelli Musulmani in Egitto riflette le rivalità tra le due principali fazioni delle élite di potere del paese. Sia il Consiglio Supremo delle Forze Armate che la principale organizzazione islamista egiziana rappresentano forze che vantano importanti interessi economici ma con obiettivi contrastanti.

I militari da decenni controllano svariati settori dell’economia in Egitto e vedono con sospetto e timore la crescente influenza nel paese e sulle istituzioni dello stato dei Fratelli Musulmani e del loro partito Libertà e Giustizia.

Questi ultimi, infatti, appoggiano a loro volta un processo di ulteriore liberalizzazione e privatizzazione dell’economia con l’apertura del paese al capitale straniero. Una prospettiva, questa, che viene vista dai vertici militari come una minaccia ai loro privilegi ottenuti durante il regime di Mubarak.

Nonostante questa divergenza di interessi, tuttavia, lo scontro tra il CSFA e i Fratelli Musulmani sembra rimanere per il momento entro certi limiti. Ciò è dovuto soprattutto al sostanziale accordo tra le due parti, così come tra gli altri partiti di ispirazione secolare e islamista, sulla necessità di completare un qualche processo di transizione che blocchi sul nascere l’eventualità di una seconda rivoluzione o qualsiasi altro rigurgito di protesta proveniente dalle classi più disagiate, protagoniste assolute della caduta di Mubarak ma le cui aspettative nel nuovo Egitto appaiono ancora ampiamente disattese.

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