di Michele Paris

Le politiche di austerity profondamente anti-democratiche adottate ormai in tutta Europa come risposta alla crisi del debito, nel fine settimana appena trascorso hanno fatto una nuova vittima tra gli stessi governi che le stanno più o meno diligentemente implementando. L’ultimo esecutivo a crollare sotto l’impopolarità di simili misure è stato quello romeno di centro-destra, guidato dal primo ministro Mihai Razvan Ungureanu, battuto venerdì nel corso di un voto di fiducia in parlamento.

Il governo di Bucarest ha avuto un destino molto simile a quello a cui è andato incontro quello olandese di Mark Rutte, anch’esso sfiduciato all’inizio della scorsa settimana. Come in quell’occasione, una parte della maggioranza che lo sosteneva ha deciso di ritirare il proprio appoggio, principalmente a causa della crescente ostilità tra i cittadini alle politiche di rigore dettate dagli ambienti finanziari internazionali.

La mozione di sfiducia in Romania è stata presentata dall’opposizione, contraria al piano di privatizzazioni di Ungureanu, ed è stata votata da 235 membri della Camera dei Deputati, quattro in più del necessario per determinare la fine di un governo nato meno di tre mesi fa. Il presidente romeno, Traian Basescu, ha immediatamente assegnato l’incarico per formare un nuovo gabinetto al 39enne Victor Ponta, già ministro per i rapporti con il parlamento tra il 2008 e il 2009 nonché leader del Partito Social Democratico (PSD) e del raggruppamento di opposizione Unione Sociale Liberale (USL).

Estremamente significative dell’atmosfera che pervade l’Unione Europea in questo frangente e del carattere anti-democratico delle classi politiche che la compongono sono state le parole di Basescu dopo la crisi di governo. Il presidente, dal quale ci si sarebbe aspettato un tentativo di rassicurare i cittadini romeni, ha affermato che venerdì “non è successo nulla di drammatico, questa è la democrazia”, perciò “i mercati finanziari non hanno motivo di cedere al panico”.

Il governo Ungureanu era stato formato ai primi di febbraio, succedendo a quello dell’allora premier Emil Boc, a sua volta dimessosi in seguito a settimane di massicce proteste popolari contro l’austerity. L’avvicendamento alla guida del paese non aveva in ogni caso determinato alcun cambiamento di rotta, dal momento che Ungureanu aveva subito promesso di proseguire le “riforme” del suo predecessore, così da riportare il deficit di bilancio della Romania al di sotto del 2% del PIL entro la fine del 2012, come richiesto dal Fondo Monetario Internazionale e dall’Unione Europea in cambio di un prestito concordato ma non ancora erogato.

La stessa messa in scena è stata proposta ai cittadini romeni nel fine settimana dal premier in pectore Victor Ponta, autodefinitosi di “estrema sinistra” ma subito impegnatosi con l’FMI e l’UE a rispettare gli impegni presi da Bucarest. Sabato, infatti, dalla città di Brasov, Ponta ha annunciato un prossimo vertice con il Fondo Monetario per esporre “la continuità e il progetto di governo che verrà presentato la settimana prossima”.

Ponta ha anche aggiunto che il suo nuovo governo non intende ridurre l’imposta sui consumi dal 24% al 19%, né modificare la “flat tax” ad aliquota unica (16%) in vigore, nonostante il programma del suo partito preveda il ritorno ad una tassazione progressiva.

Vista l’impopolarità del percorso intrapreso negli ultimi anni dai governi romeni, si prevede più di una difficoltà nel tentativo di Ponta di mettere assieme un nuovo esecutivo nei prossimi giorni. La coalizione guidata da Ponta controlla infatti appena 227 seggi sui 460 totali delle due camere che compongono il parlamento romeno.

Oltre ai tre partiti dell’USL - il PSD più il Partito Liberale Nazionale e il Partito Conservatore di centro-destra - il nascente governo dovrebbe essere sostenuto da alcuni parlamentari che rappresentano le minoranze etniche romene e il piccolo partito UNPR (Unione Nazionale per il Progresso della Romania) che fino a pochi giorni fa appoggiava il premier uscente Ungureanu.

Se gli sforzi di Ponta dovessero essere premiati, il suo gabinetto avrà, come i precedenti, vita difficile alla luce dei ristretti margini di manovra a sua disposizione per operare, dal momento che si troverà di fatto sotto la supervisione di FMI e UE. Così, il traguardo di novembre, scadenza naturale della legislazione e mese nel quale si terranno nuove elezioni, anche se vicino potrebbe essere molto difficile da raggiungere.

Gli ambienti finanziari internazionali hanno d’altra parte già iniziato a fare pressioni su Bucarest. Il Fondo Monetario ha fatto sapere di aver congelato le procedure per il pacchetto di aiuti pari a 5 miliardi di euro concordato nel marzo 2011 in attesa di un governo pronto a mettere in atto i propri diktat.

In una dichiarazione congiunta con l’UE, i cui rappresentanti erano proprio in questi giorni nella capitale romena per valutare il l’implementazione delle “riforme”, l’FMI ha detto di attendersi dalla Romania “il rispetto degli impegni di politica economica presi con i partner internazionali”, poiché “continue riforme strutturali rimangono essenziali per la ripresa e la crescita a lungo termine” del paese.

Dall’esplosione della crisi del debito, la Romania ha messo in atto drastici tagli alla spesa pubblica, congelato le pensioni, ridotto i salari dei dipendenti pubblici, licenziato migliaia di dipendenti statali, aumentato le tasse al consumo e dato il via libera a privatizzazioni selvagge, innescando come altrove una rovinosa recessione che ha causato un grave deterioramento delle condizioni di vita di milioni di persone.

 

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