di Carlo Benedetti

Quattromila chilometri di binari per dire al mondo che il Tibet non è più un territorio collocato oltre le colonne d'Ercole. Vince, così, la politica del "conduttore" Hu Jintao e va in deposito quella del "gran timoniere" Mao. E', in sintesi, quanto avviene nella nuova Cina dove entra in funzione la ferrovia che da Pechino arriva nella capitale del Tibet, Lhasa. La tecnica batte la politica. Il progresso sconfigge i fautori dell'isolamento. E così il Tibet - con più di un milione di chilometri quadrati e circa tre milioni d'abitanti - viene di fatto compreso nella grande Cina che spinge qui i suoi confini sino alla Birmania, l'India, il Bhutan e il Nepal. E la capitale Lhasa - situata a circa 4000 metri sul livello del mare a nord della dorsale principale himalayana - diviene più vicina non solo al mondo cinese, ma a tutti coloro che vogliono conoscere da vicino la culla del buddismo. Isolata e chiusa per lunghi secoli all'ingresso degli stranieri e sede, sino al 1959, del Dalai-Lama questa regione diviene ora uno dei punti strategici dello sviluppo cinese. Nessuna azione di forza, nessuna repressione contro il nazionalismo tibetano. Solo un treno realizzato alla grande che attraversa il tetto del mondo (960 chilometri oltre i 4000 metri con un picco di 5022) svelando ai turisti panorami mai visti prima. Un viaggio di 48 ore su vagoni realizzati con larghezza di mezzi: confort e lusso. Pechino non ha badato a spese.

Il lungo convoglio diviene, quindi, uno "strumento" della propaganda di Hu Jintao. Il quale ha voluto che nelle carrozze che vanno verso il povero Tibet ci siano ristoranti, bar, docce, un teatro che presenta danze folkloristiche, sale di karaoke e per tutti programmi tv satellitari. Ma anche maschere d'ossigeno sotto i sedili per chi soffre i quattromila metri. Tutto per dimostrare che Pechino vuole avvicinarsi sempre più ad una regione che, da sempre, contesta il potere centrale.
Hu Jintao è certo della scelta tecnologia che è stata fatta tenendo anche conto del fatto che a Lhasa ci sono ora anche costruzioni moderne e cantieri. Con un numero di commercianti che continua ad aumentare. Chiara, quindi, la scelta. Perché già tutte le province ricche del paese hanno ricevuto l'ordine di impegnarsi a fondo, sia per alleggerire il fardello del governo centrale, sia per realizzare l'integrazione definitiva del Tibet all'economia nazionale.

I problemi, comunque, sono enormi. Perché mentre le province costiere debbono, in buona parte, il loro sviluppo agli investimenti e alle competenze importate dall'estero, il Tibet, per ora, ha pochi partner commerciali (India, Pakistan, Nepal) con scambi estremamente limitati. Di conseguenza Pechino, pur di vincere il nazionalismo tibetano (e le ristrettezze economiche della popolazione) aumenta gli interventi chiedendo aiuti alle zone più ricche del paese. Si tratta, ovviamente, di un processo di modernizzazione accelerata con trasferimenti massicci di capitali, tecnologie e mano d'opera.
Ma tutto questo sta anche a significare che il "conduttore" Hu Jintao non ha più nell'agenda di governo quella vecchia politica basata sulla persecuzione del popolo tibetano e della cultura buddista. Lo fa notare, ad esempio, il mensile nepalese Himal (che da sempre osserva attentamente l'evoluzione dei rapporti Pechino - Lahsa) e lo ammettono anche quegli ambienti economici occidentali che seguono con interesse lo sviluppo avvenuto in questi ultimi nei centri urbani nati lungo le strade e le reti ferroviarie da Lhasa, a Shigatse e a Chamdo.

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