di Fabrizio Casari

La Conferenza di Roma non ha forse sortito i risultati sperati, ma ha comunque rappresentato un concreto passo avanti nell'affrontare la crisi mediorientale. I paesi arabi e la Francia si attendevano una dichiarazione solenne che chiedesse il "cessate il fuoco" e non hanno nascosto la loro delusione per il mancato obiettivo, ma lo stesso premier libanese ha definito sia la Conferenza in sé, sia la sua Dichiarazione finale, "un passo avanti nella giusta direzione".
Volendo prendere in esame gli aspetti politici interni, la Conferenza di Roma sul Medio Oriente ha riconsegnato all'Italia un ruolo di protagonismo politico nella scena internazionale. Dopo cinque anni nel cono d'ombra dell'obbedienza dovuta e supina agli Stati Uniti, Roma ha ripreso a guardare verso il Mediterraneo. Cinque anni di governo Berlusconi erano infatti stati spesi in chiave unilaterale: vuoi per la vocazione di servitù politica delle destre nei confronti della Casa Bianca, vuoi per l'urgenza di sdoganare definitivamente Fini ed An di fronte ad Israele, la posizione italiana sul Mediterraneo si era esaurita sostanzialmente nell'assenso incondizionato alle scelte, anche le peggiori, di Tel Aviv. La discontinuità - termine in voga - della politica estera del Governo Prodi è stata invece chiaramente evidenziata nella scelta di riprendere un ruolo attivo nello scenario mediorientale. Intanto va detto che il successo della politica italiana - e di Massimo D'Alema in particolare - lo si può cogliere dalla capacità di farsi promotori di una iniziativa e realizzarla entro pochissimi giorni, riuscendo a convocare a Roma la diplomazia internazionale che conta.
Se la Siria ha bollato come "inutile" la riunione di Roma, definita "un incontro tra alleati", l'Iran si è detto disponibile a definire con l'Italia un nuovo terreno di confronto con l'Occidente e, a certificare ulteriormente il nuovo ruolo della diplomazia italiana, Nabih Berri, Presidente del parlamento libanese ed esponente di rilievo di Hezbollah, ha chiesto "la mediazione italiana per la consegna dei prigionieri e per il cessate il fuoco". "Se l'Italia è pronta in un giorno, noi saremo pronti in un giorno" ha aggiunto Berri. Pronta la risposta di D'Alema: "L'Italia non può cessare il fuoco perché non sta facendo fuoco su nessuno, ma si adopererà per la cessazione dei bombardamenti e lo farà con la massima fermezza".

Ovviamente, sullo scenario immediato del conflitto le cose stanno in maniera diversa: l'assenza di Israele e di Hezbollah, cioè i due attori principali del conflitto, così come Siria e Iran, apparentemente lontani ma oggettivamente coinvolti nello scacchiere, non ha potuto fornire tutti gli elementi necessari all'unica scelta che avrebbe dovuto essere prioritaria: quella di un immediato "cessate il fuoco" senza il quale, del resto, lo stesso "corridoio umanitario" previsto dalla Dichiarazione finale, resta un auspicio difficile da concretizzare.
Condoleeza Rice, reduce da un viaggio lampo a Gerusalemme immediatamente alla vigilia della Conferenza di Roma, è riuscita ad evitare che nella Dichiarazione finale la richiesta della cessazione delle ostilità venisse menzionata quale passaggio immediato. La volontà americana di coprire Israele fino alla fine dell'operazione militare di "ripulitura" delle basi degli Hezbollah e l'assenza al vertice di due fondamentali attori del dramma libanese - appunto Siria e l'Iran - ha impedito che questo risultato fondamentale potesse essere raggiunto.
Nella Dichiarazione finale del vertice i 15 paesi e le tre organizzazioni internazionali partecipanti si sono limitati a esprimere - e qui sta la sostanziale debolezza politica della Conferenza - la loro "determinazione a lavorare immediatamente per raggiungere con la massima urgenza un cessate il fuoco che metta fine alle attuali violenze e ostilità", con l'obiettivo di un "cessate il fuoco duraturo, permanente e sostenibile".

Non può bastare al martoriato Libano, che come ha sottolineato il suo primo ministro, Fouad Siniora, "si aspettava di più: un cessate il fuoco immediato". "Ma alcuni progressi sono stati fatti", ha precisato Siniora, nel cammino verso la fine delle ostilità tra Israele e i miliziani di Hezbollah anche se ora "il Libano è un paese in ginocchio" e per arrivare alla tregua "c'è ancora molto da fare". Per il primo ministro libanese la sicurezza nella regione potrà essere raggiunta solamente "quando Israele svilupperà buoni rapporti con i paesi vicini" e la strada è "il processo di pace". Siniora ha riconosciuto il diritto dello Stato ebraico all'autodifesa dopo il rapimento dei suoi due soldati, ma ha voluto sottolineare il fatto che esisteva "un piano ben preparato di reazioni e rappresaglie da parte di Israele, sproporzionato rispetto a quanto era successo".

Ma se il "cessate il fuoco" non è stato raggiunto - e non poteva esserlo, sia per ragioni politiche che pratiche, vista l'assenza di chi spara - quantomeno i 15 chiedono a Tel Aviv di esercitare la "massima moderazione" e "accolgono con soddisfazione l'annuncio di Israele su un corridoio umanitario in Libano".
Quindi l'impegno concreto della comunità internazionale per far fronte alla crisi umanitaria della popolazione libanese ed un accordo per l'autorizzazione "urgente" di una forza internazionale su mandato Onu, che si muova nel quadro delle risoluzioni e degli accordi internazionali vigenti.
La Rice ha sottolineato che è in ogni caso necessario che Damasco "tenga presente le Risoluzioni dell'Onu: non può fare ciò che vuole", ma il segretario generale dell'Onu Kofi Annan, ha detto che "è importante lavorare con i paesi della regione per trovare una soluzione anche con la Siria e l'Iran", insistendo sul fatto che "serve un quadro politico per raggiungere le intese necessarie nel Consiglio di sicurezza". E poi una battuta sull'Iran: "I paesi arabi moderati come l'Egitto, la Giordania e l'Arabia Saudita devono avere un ruolo importante per moderare l'estremismo iraniano".

Nella scelta di inviare un contingente Onu sta un elemento importante, un successo significativo della Conferenza, giacché è noto come il governo Olmert riteneva un contingente Nato il più compatibile con le esigenze di Tel Aviv. Ma è chiaro che un comando Nato della forza d'interposizione avrebbe avuto un ruolo politico e militare di aperto sostegno ad Israele e di chiara sfida a Hezbollah, Siria ed Iran, nonché ad Hamas.
L'egida dell'Onu invece cambia di molto sia l'elenco dei paesi partecipanti, sia gli obiettivi della missione e le conseguenti regole d'ingaggio. Pur essendo necessaria la dislocazione del contingente Onu anche a Gaza e in Cisgiordania, la presenza nel sud del Libano servirà comunque a impedire il tiro a segno israeliano.

Altra cosa sarà "il problema" Hezbollah. Per i paesi partecipanti al vertice di Roma la "condizione fondamentale per una sicurezza duratura in Libano è la piena capacità del governo del paese di esercitare la sua autorità su tutto il suo territorio", così come era stato già affermato nelle dichiarazioni finali del G8 di San Pietroburgo. Una dichiarazione importante perchè sottintende il pieno riconoscimento della comunità internazionale degli attuali confini libanesi.
Ma anche riguardo le milizie di Nasrallah, il Premier Siniora ha esposto con chiarezza la situazione: Hezbollah è un partito legittimamente presente nel paese e nel governo. Il suo eventuale disarmo non può essere affidato all'esercito libanese perché non ne sarebbe in grado e, soprattutto, non sarebbe legittimo. Non ci si aspetti dunque una nuova guerra fratricida nell'interesse israeliano. E a proposito di risoluzioni Onu, Siniora ha ricordato come vadano rispettate anche quelle che ordinano l'uscita degli israeliani dai territori del sud del paese ancora sotto occupazione militare di Tel Aviv.
E la Siria, che del mancato rispetto delle risoluzioni Onu ricorda soprattutto quella relativa alle sue alture del Golan, dovrà in qualche modo trovare un elemento d'interesse diretto per partecipare alla pacificazione regionale. Sarà il caso che se ne tenga conto, se si vuole davvero che Damasco contribuisca, per quanto può, alla soluzione del conflitto israelo-libanese.

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