di Mario Braconi

Fino a metà settembre il Regno Unito ha potuto contare su una buona legge che rendeva perseguibile nel Paese chiunque (anche non inglese) per crimini di guerra commessi in qualsiasi parte del mondo, almeno finché l’imputato si trovi, anche temporaneamente, sul suo territorio. Secondo la legge britannica, qualsiasi vittima di gravi crimini di guerra o di tortura poteva adire le vie giudiziare inglesi, e chiedere, a fronte della presentazione di prove convincenti, che il presunto responsabile fosse arrestato e processato in Gran Bretagna.

Questo luminoso esempio di diritto internazionale, però, ha creato qualche imbarazzo a vari governi britannici. Nel 2005, quando l’aereo su cui viaggiava anche il generale israeliano Doron Almog è atterrato a Londra, dove si stava recando per un’iniziativa benefica, rimase asserragliato dentro l’aeromobile per sfuggire all’arresto da parte della Metropolitan Police, che non salì a bordo a prelevarlo per il timore che si scatenasse una sparatoria con gli agenti della sicurezza israeliana. Nei confronti di Alming, infatti, era stato infatti stato spiccato un provvedimento di arresto motivato dal suo presunto coinvolgimento nella distruzione di case palestinesi a Gaza (un crimine sanzionato dalla Convenzione di Ginevra).

Anche Tzipi Livni, che ricopriva la carica di Ministro degli Esteri israeliano durante la vergognosa operazione “Piombo Fuso” su Gaza (che causò la morte di oltre mille palestinesi e di tredici soldati israeliani), ha avuto qualche problema in Gran Bretagna: nel 2009 è stata infatti costretta a rinunciare ad una visita istituzionale a Londra, città nella quale correva il concreto rischio di subire un arresto per crimini di guerra quale conseguenza di una denuncia a suo carico presentata presso un giudice britannico, il quale, a quanto pare, ha ritenute le prove presentate sufficientemente convincenti per procedere. Dopo questi due precedenti, il governo britannico ha deciso di depotenziare questo strumento in mano alle vittime della violenza di stato, che rischia di trasformarsi in una bomba diplomatica.

Così, il 15 settembre di quest’anno la legge è stata modificata: a dare luogo a procedere sui presunti crimini di guerra o tortura (anche se perpetrati e subiti da cittadini non britannici) potrà essere solo il Director of Public Prosecution, una figura di altissimo livello istituzionale, nominata dall’Attorney General, il quale a sua volta è tra i consiglieri della Corona e del Governo.

E’ interessante notare che la votazione sulla modifica di legge è stata approvata con un numero pari di voti favorevoli e contrari (per l’esattezza 222): parità che, secondo le regole del Parlamento, in questo caso vale approvazione. E pensare che se il giorno della votazione il deputato liberaldemocratico Lord Palmer si fosse recato come previsto ad una cena organizzata dal Fondo Didattico dell’Olocausto, essa si sarebbe conclusa con 220 voti favorevoli e 221 contrari. Segno che sul tema dell’immunità ai criminali di guerra le posizioni dei deputati britannici sono tutto fuorché uniformi.

Al di là degli aspetti tecnici, l’obiettivo (conseguito) era evidentemente di spostare il centro decisionale ad un livello gerarchico molto più alto di quello di un giudice ordinario, e soprattutto più sensibile a pressioni politiche e diplomatiche. Il giorno dell’approvazione dell’emendamento, una portavoce di Amnesty International dichiarò: “é incredibile che il governo britannico si sia da fare per indebolire l’impegno del Paese in tema di giustizia internazionale”. La modifica introdotta “lancia un segnale chiaro: il Regno Unito è un posto in cui delitti come crimini di guerra e tortura sono di fatto tollerati”.

Ora che la nuova legge britannica sembra aver scongiurato ogni rischio di arresti indesiderati in terra d’Albione, Tzipi Livni ci riprova. Martedì scorso, all’annuncio di una sua nuova visita in Gran Bretagna è arrivata puntuale la richiesta di arresto a suo carico; ad estenderla, il rappresentante legale di un agente della polizia palestinese il cui fratello (anch’egli poliziotto) è stato ucciso dagli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza del 2008.

Secondo quanto riportato dal Guardian, il Crown Prosecution Office, nel dare notizia della denuncia ha inizialmente dichiarato che “non era stata raggiunta una decisione definitiva sulla sussistenza o meno di prove sufficienti ad ottenere l’arresto della signora Livni”. Giovedì, tuttavia, a togliere le castagne dal fuoco (si fa per dire) alle altre istituzioni britanniche coinvolte è giunta la dichiarazione del capo del Foreign Office, che ha sostenuto che Tzipi Livni si è recata in Gran Bretagna su invito del ministero per una “missione speciale”.

Sembra che l’alibi della presunta missione speciale sia la pietra tombale su ogni possibilità di veder arrestata la Livni. Palpabile la delusione delle associazioni filo-palestinesi per una decisione assai poco convincente (la Livni, per dirne una, oggi non rappresenta il governo, ma l’opposizione israeliana). Ma come ha spiegato Daniel Machover, dello studio Hickman and Rose (ovvero l’accusa), "la decisione del DPP è stata presa non sulla base dell’insufficienza di prove”. In effetti essa è stata guidata dalla scelta politica assai discutibile, secondo cui l’operato dello Stato israeliano non può essere discusso, solo approvato.

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