di Michele Paris

In seguito all’addio forzato alla carica di primo ministro nel giugno del 2007, Tony Blair ha intrapreso una carriera diplomatica di alto profilo sulla scena internazionale. Soprattutto, però, gli incarichi accumulati dopo aver lasciato la politica inglese gli hanno permesso di accumulare una fortuna enorme, spesso grazie a operazioni dalla dubbia legittimità. A svelare alcuni dei retroscena che hanno prodotto utili astronomici per l’ex leader laburista in questi anni è stato un documentario apparso pochi giorni fa su un’emittente britannica.

Il 26 settembre scorso, all’interno del programma Dispatches, il canale pubblico Channel Four ha messo in onda un’indagine di 47 minuti, in gran parte frutto del lavoro di Peter Oborne, giornalista del Daily Mail e del Daily Telegraph. Il documentario, dal titolo “Il meraviglioso mondo di Tony Blair”,  rivela come, dal 2007 ad oggi l’ex inquilino di Downing Street abbia incamerato qualcosa come 9 milioni di sterline (più di 10 milioni e 400 mila euro) soltanto in compensi per i suoi discorsi tenuti intorno al pianeta. Un unico intervento in Cina, ad esempio, ha fruttato a Blair 240 mila sterline.

Meno di un anno dopo le dimissioni da primo ministro, Blair è stato inoltre assunto come consulente dalla banca d’investimenti di Wall Street, JP Morgan, che gli versa annualmente almeno due milioni di sterline. L’ex premier, tra l’altro, risulta essere consulente anche del gigante elvetico delle assicurazioni Zurich Financial Services, con un compenso di 1,5 milioni di sterline annue.

Per promuovere ancor di più i propri interessi, nel gennaio del 2009 Blair ha poi creato una società internazionale di consulenza - in gran parte avvolta nel mistero - la Tony Blair Associates (TBA), con la quale ha ottenuto importanti contratti soprattutto in Medio Oriente, valutati in circa 14 milioni di sterline per i quasi tre anni di attività.

Le operazioni della TBA e la “consulenza” per JP Morgan s’incrociano con un altro incarico che ricopre Blair, quello di inviato speciale del cosiddetto “Quartetto” - formato da ONU, Stati Uniti, Unione Europea e Russia - teoricamente incaricato di promuovere negoziati di pace tra israeliani e palestinesi. Quest’ufficio non prevede compensi ma le spese connesse allo svolgimento del suo ruolo sono notevoli e in parte finanziate dai contribuenti britannici.

Secondo il documentario di Oborne sarebbero numerose le iniziative sospette di Blair. Una di queste riguarda il Kuwait, dove quest’ultimo gode di un certo prestigio grazie alla decisione di partecipare all’invasione dell’Iraq nel 2003. Tra i frequenti viaggi di Blair in Kuwait, il giornalista britannico ne cita uno del 26 gennaio 2009, ufficialmente in veste di “inviato di pace” per il Quartetto. In sua compagnia, in quell’occasione, c’era anche il capo di gabinetto ai tempi di Downing Street, Jonathan Powell, il quale nulla ha a che vedere con l’incarico mediorientale del suo ex principale ma è un consulente di primo piano della TBA.

In Kuwait a inizio 2009, Blair avrebbe concordato un contratto di consulenza, secondo il quale la TBA avrebbe provveduto ad una “revisione” dell’andamento economico dell’emirato. Dal momento che l’affare era stato gestito direttamente dall’ufficio personale dell’emiro, non è chiaro l’importo complessivo dell’accordo. Il Daily Telegraph, tuttavia, citando un attivista democratico kuwaitiano, sostiene che il contratto varrebbe almeno 27 milioni di sterline. La TBA ha smentito questa cifra, anche se non ne ha fornita una ufficiale.

Un’altra destinazione favorita dall’inviato Tony Blair è Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi, dove incontra frequentemente il principe ereditario, Mohammed bin Zayed al-Nahyan. La TBA fornisce servizi di consulenza per il fondo sovrano dello sceicco (Mubadala) in cambio di un compenso, secondo alcune fonti, di circa 1 milione di sterline all’anno.

Il serio conflitto d’interesse che deriva dalle attività di Blair appare ancora più evidente dagli sviluppi di due affari andati in porto grazie alla sua influenza in Israele e in Palestina. Il primo riguarda la sua promozione dello sfruttamento di un giacimento di gas naturale al largo della costa di Gaza, un’operazione da 6 miliardi di sterline, i cui diritti sono detenuti da British Gas Group. Tony Blair starebbe spingendo con le autorità israeliane per far revocare una norma che ne impedisce lo sfruttamento, a tutto vantaggio della compagnia britannica che risulta essere uno dei clienti più importanti di JP Morgan.

L’altro contratto mediato dall’ex primo ministro laburista riguarda invece il mercato delle frequenze telefoniche. In questo caso, il suo intervento ha permesso alla compagnia Wataniya Telecom di poter operare un servizio di telefonia mobile in Cisgiordania. Wataniya appartiene al gigante delle telecomunicazioni del Qatar, QTEL, anch’esso compreso nel portafoglio clienti di JP Morgan, da cui ha ottenuto un prestito di 2 miliardi di dollari per acquisire proprio Wataniya Telecom. Secondo il CEO di quest’ultima compagnia, intervistato da Oborne, la rete mobile realizzata in Cisgiordania era “morta”, fino al momento in cui la mediazione di Blair con i più influenti ministri israeliani ne ha alla fine permesso l’utilizzo delle frequenze.

Più in generale, il programma Dispatches ha cercato di fare luce sulla natura e l’utilità del Quartetto ai fini della pace in Medio Oriente. Il giudizio espresso da alcuni diplomatici citati appare tutt’altro che positivo. La sua attività appare più che altro come una cortina fumogena che serve quasi esclusivamente a proteggere gli interessi americani e israeliani in Palestina.

Il parere dei palestinesi su Tony Blair come “inviato di pace” è apparso d’altra parte chiaro in un’intervista trasmessa l’altro giorno da una radio locale, citata dal Daily Telegraph. Un esponente di spicco dell’Autorità Palestinese, Mohammed Shtayyeh, ha infatti annunciato che a breve verrà chiesto al Quartetto di riconsiderare la nomina di Blair, in quanto quest’ultimo dimostra pregiudizi a favore di Israele e perciò la sua credibilità è ormai del tutto compromessa. “Il nostro giudizio complessivo sui suoi sforzi è che non sono stati di nessuna utilità” ha affermato Shtayyeh.

Questa dichiarazione segue di una settimana le anticipazioni dello stesso quotidiano conservatore britannico, il quale aveva scritto che membri del governo di Ramallah hanno privatamente espresso l’intenzione di tagliare ogni rapporto con Blair e di bollarlo come “persona non grata” negli uffici dell’Autorità Palestinese, poiché avrebbe lavorato attivamente con Israele per far naufragare la richiesta di riconoscimento di una nuova entità statale sottoposta da Abu Mazen all’ONU.

Nel suo ruolo di inviato del Quartetto, in ogni caso, Tony Blair trascorre in media una settimana al mese in Medio Oriente, dove ovviamente ha disposizione tutti i lussi del caso. Il suo ufficio a Gerusalemme, poi, è in parte finanziato dal governo di Londra, che si occupa anche di stipendiare tre membri del suo staff.

L’intreccio tra affari e diplomazia per Blair si estende infine anche al continente africano. Particolarmente intensi erano, ad esempio, i rapporti che aveva instaurato con Gheddafi, incontrato almeno sei volte sempre in qualità di inviato del Quartetto. Queste visite nel paese nordafricano erano avvenute poco prima del rilascio da una prigione in Scozia di Abdelbaset al-Megrahi, condannato per la strage di Lockerbie, e soprattutto in concomitanza con il tentativo di JP Morgan di facilitare un accordo commerciale tra il regime di Tripoli e l’oligarca russo Oleg Deripaska, guarda caso amico di Peter Mandelson, già ministro laburista e stretto alleato dell’attivissimo ex primo ministro britannico.

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