di Eugenio Roscini Vitali

E' stato sabotato il gasdotto Arab Gas Pipeline che collega l’Egitto alla Giordania e Israele; l’attacco, il sesto dalla caduta del regime Mubarak, è stato portato all’alba di ieri da un commando entrato in azione a circa venticinque chilometro da al-Arish, città portuale sulla costa Mediterranea del Sinai settentrionale. Colpitala la stazione di misurazione di al-Maidan, chiuso l’impianto gestito dalla compagnia egiziana per il trasporto del gas GASPO, interrotta la fornitura verso Israele e la Giordania.

Secondo fonti della sicurezza egiziana non è stata ancora accertata l’origine dell’incendio, ma alcuni testimoni parlano di un’esplosione udita a diversi chilometri di distanza e di fiamme alte 15 metri. All’attacco, che ha causato il ferimento di un uomo che si trovava nei vicini uliveti, avrebbero partecipato sei uomini armati che, dopo essere giunti sul posto a bordo di un fuoristrada, avrebbero abbattuto la recinzione di filo spinato e piazzato una bomba sotto le tubature dell’impianto.

Nel tentativo di sradicare la rete jihadista che ormai controlla gran parte del Sinai e per combattere la nebulosa collaborazione che lega questi gruppi alle formazioni palestinesi della Striscia di Gaza, lo scorso agosto il  governo di transizione del Cairo aveva portato a termine con i capi di due delle tredici tribù beduine che abitano la penisola, i Sawarkas e i Tiyaha, un accordo che prevede una sorta di collaborazione militare per la messa in sicurezza dell’area che dalla costa Mediterranea fiancheggia la Philadelphi Route e dal posto di confine di Nitzana si estende fino al centro della penisola. Nello stesso periodo la polizia e l’esercito egiziano avevano dato il via ad una vasta operazione militare che aveva portato all’arresto di alcune persone sospettate di aver preso parte agli attacchi terroristici che nel solo mese di luglio hanno colpito il gasdotto per ben tre volte.

L’attacco alla stazione di al-Maidan ripropone la questione della sicurezza in una delle zone più strategiche del Sinai orientale. Gli eventi degli ultimi mesi hanno indotto Israele ad accelerato i lavori di completamento dell’impianto che a breve dovrebbe mettere in sicurezza i 240 chilometri di confine che dividono lo Stato ebraico dall’Egitto, ma secondo fonti di intelligence le reti metalliche e il sofisticatissimo sistema di sorveglianza visiva e di sensori capaci di captare qualsiasi movimento non sembra ancora in grado di fermare il traffico d’armi verso Gaza.

Mentre nel sud della Libia le forze del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) danno la caccia a Muammar Gheddafi e la Casa Bianca si impegna a collaborare con le nuove autorità per proteggere l’arsenale ereditato dal regime del colonnello, uno stock di  missili terra-aria SA-24 Grinch (nome in codice russo Igla-S 9K338) e di mine antinave MDM-3 sarebbe già sulla strada che porta ai tunnel che collegano la penisola egiziana a Rafah.

Del caso dei missili di fabbricazione russa si era già parlato all’inizio di settembre, quando da uno dei magazzini militari abbandonati dalle truppe di Gheddafi erano spariti 482 SA-24 Grinch. Ora però è stato anche ritrovato il mezzo con il quale sarebbe stato trasportato parte del carico trafugato a Tripoli, intercettato dalle forze di sicurezza egiziane nei pressi di Ismailia, cento chilometri a sud di Porto Said, sulla riva occidentale del Canale di Suez. Sul camion sarebbe stato abbandonato un numero imprecisato di casse vuote che originariamente avrebbero dovuto contenere i sistemi d’arma SA-24 (lanciatori 9P522 e missili 9M342) e le mine antinave russe MDM-3.

A tutt’oggi non è ancora stato stabilito quante armi siano cadute nelle mani dei trafficanti e delle cellule jihadiste infiltrate tra gli insorti; sicuro è che non tutto l’arsenale di Gheddafi è finito sotto il controllo del Cnt e che una buona parte di esso ha già preso altre strade, da quelle che accompagnano i lealisti fino alla Libia meridionale e al massiccio algerino del Tassili n'Ajjerl’, altopiano rifugio del terrorismo salafita, alle alture dei monti Air, nel Niger settentrionale, roccaforte dei ribelli Tuareg, al Sinai orientale, porta d’accesso verso l’estremismo palestinese. Ed è proprio verso quest’ultima tappa che sembra siano diretti gli SA-24 che viaggiavano sul velivolo rintracciato a Ismailia, un sofisticato sistema missilistico terra-aria a raggi infrarossi che potrebbe creare non pochi problemi all’aviazione israeliana.

Gli SA-24, evoluzione russa dell’americano FIM-92 Stinger, hanno un raggio d’azione di 5.2 chilometri e possono raggiungere una quota di 3.500 metri e una velocità massima di Mach 2.3; possono essere lanciati con un lanciatore spalleggiabile da un singolo uomo e grazie al sistema di guida a infrarossi sono utilizzabili anche di notte o con scarsissime condizioni di visibilità, sia contro aerei ed elicotteri da combattimento che contro droni e missili superficie-superficie.

Insieme agli SA-24 dalla Libia potrebbe arrivare a Gaza anche qualche vecchio SA-7 Strela-2 (9M32), missile utilizzato dalla fanteria della coalizione araba durante la Guerra dello Yom Kippur e che in termini diretti causò l’abbattimento di una mezza dozzina di aerei israeliani. E a fargli compagnia potrebbero aggiungersi gli SA-14 Strela-3 (9K34), assai temibili a quote medio basse e già utilizzati in Bosnia, dove riuscirono ad abbattere un BAE Sea Harrier inglese, in Angola, contro un Su-27 colpito mentre si trovava in fase di atterraggio e in Iraq, contro un Airbub 300 appena decollato dall’aeroporto internazionale Baghdad.

 

 

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