di Michele Paris

La fiducia dei cittadini americani nel proprio sistema politico e nei loro rappresentanti al potere continua a far segnare nuovi record negativi. A dimostrarlo è un recentissimo sondaggio -commissionato da New York Times e CBS News - che mette in evidenza tutto il malcontento verso le istituzioni di Washington e le apprensioni ampiamente diffuse nel paese per il futuro della prima potenza economica del pianeta.

Uno dei dati più eclatanti emersi dall’indagine telefonica pubblicata martedì è l’89 per cento degli americani che dichiara di non nutrire alcuna fiducia nel governo. Più precisamente, per il 74 per cento degli intervistati gli Stati Uniti, sul fronte economico, sono indirizzati su un binario sbagliato. Il Congresso è l’istituzione che raccoglie il minor consenso, con appena il 9 per cento che dice di approvarne l’operato - un minimo storico - e ben l’84 per cento che lo disapprova esplicitamente. L’insoddisfazione verso il Congresso riguarda entrambi i partiti, dal momento che i repubblicani detengono la maggioranza alla Camera e i democratici prevalgono al Senato.

Numeri più favorevoli fa segnare invece il presidente Obama, anche se oggettivamente tutt’altro che incoraggianti. La percentuale degli americani che lo approva e di quelli che lo disapprova è identica (46 per cento). Il suo gradimento è leggermente migliorato rispetto al recente passato, secondo il New York Times grazie ai presunti successi da poco incassati in politica estera, come il rovesciamento e l’assassinio di Gheddafi o l’annunciato ritiro delle truppe USA dall’Iraq. Le proposte di Obama in ambito economico sono peraltro decisamente meno popolari.

Il sondaggio NYT/CBS affronta poi la questione della popolarità del movimento “Occupy Wall Street”. Secondo il 46 per cento degli intervistati, le ragioni che stanno alla base del movimento riflettono il sentire della maggioranza degli americani. In una rilevazione dello scorso febbraio, circa il 27 per cento pensava lo stesso relativamente ai Tea Party. Una differenza di dati importante che, oltre a confermare come quest’ultimo movimento sia più che altro un fenomeno ingigantito dai media e dietro al quale ci sono rappresentanti dei poteri forti, rivela come siano diffuse non solo le ansie per le prospettive dell’economia USA ma anche l’avversione verso l’intero sistema capitalistico, di cui “Occupy Wall Street” è portatore.

La disillusione di gran parte degli americani emerge anche dalle risposte date a un'altra serie di domande poste nel corso del sondaggio, relative alle disuguaglianze di reddito negli Stati Uniti. Il 66 per cento ritiene, infatti, che la ricchezza dovrebbe essere distribuita più equamente. A pensare che la ricchezza sia distribuita in maniera ineguale sono nove su dieci elettori democratici, due terzi degli indipendenti e anche un terzo di quelli repubblicani. Proprio quello Repubblicano è percepito come il partito dei privilegiati, con il 70 per cento degli intervistati che sostiene che le sue politiche favoriscono i ricchi.

Estremamente significativa è la citazione da parte del New York Times di una dichiarazione raccolta a margine dell’indagine telefonica da uno degli intervistati. L’87enne Jo Waters, pensionato di Pleasanton, in California, riassume in maniera lapidaria la realtà della società americana, dicendo al compilatore del sondaggio che “in questo paese tutto è per i ricchi”.

Riguardo le politiche economiche concrete, i due terzi dei cittadini statunitensi sono contrari ai tagli alle tasse per le corporation e vorrebbero piuttosto aumentare il carico fiscale sui milionari. Queste posizioni, condivise dalla maggioranza degli americani, sono diametralmente opposte al percorso che stanno seguendo i politici di Washington in questo periodo di crisi. In particolare, esse contrastano fortemente con i programmi presentati dai candidati alla Casa Bianca per il Partito Repubblicano, tutti o quasi impegnati a promettere un sistema fiscale regressivo ad aliquota fissa (flat-tax) che penalizza ulteriormente i redditi più bassi per offrire nuovi sgravi a quelli più alti.

A spiegare la sfiducia degli americani nel sistema politico di Washington ha contribuito anche uno studio dell’Ufficio per il Budget del Congresso (CBO) proprio sulla distribuzione della ricchezza nel paese, reso noto sempre nella giornata di martedì. La ricerca, richiesta dai senatori Max Baucus (democratico) e Charles Grassley (repubblicano), ribadisce i risultati già ottenuti da svariate organizzazioni private ed economisti vari ma risulta particolarmente autorevole dal momento che è stata condotta da un autorevole organismo indipendente e si basa sui dati dell’Agenzia delle Entrate (IRS) e dell’Ufficio del Censo.

Lo studio sottolinea chiaramente come i vertici della piramide sociale negli USA abbiano aumentato oltre misura le proprie entrate negli ultimi anni a spese delle classi più disagiate. Contro la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, ricordano i ricercatori del CBO, ben poco hanno fatto le politiche dei governi succedutisi a Washington in tre decenni, i quali si sono adoperati piuttosto per neutralizzare “l’effetto livellatore del sistema fiscale federale”.

I dati presentati dalla ricerca indicano come nel 2007 l’uno per cento della popolazione ha incamerato il 17 per cento del reddito complessivo USA, mentre nel 1979 questa quota era attestata attorno all’8 per cento. Se si considera poi il 20 per cento dei contribuenti con maggiori entrate, la loro fetta di reddito complessivo supera per il 2007 la metà del totale (53 per cento), contro il 43 per cento del 1979. Sul fondo della scala sociale, al contrario, il 20 per cento degli americani più poveri si sono spartiti nel 2007 solo il 7 per cento del redito complessivo del paese, con un aumento di appena il due per cento in tre decenni.

In termini assoluti, lo stesso uno per cento di super-ricchi ha visto crescere le proprie entrate tra il 1979 e il 2007 addirittura del 275 per cento, mentre per il quinto della popolazione più benestante l’incremento è stato del 65 per cento. Il reddito dei meno abbienti, invece, ha fatto segnare nello stesso periodo di tempo un progresso del 18 per cento e quello della classe media - corrispondente ai tre quinti della popolazione - poco meno del 40 per cento.

Il recente sondaggio sull’umore degli americani e, soprattutto, il rapporto dell’Ufficio per il Budget del Congresso dovrebbero abbattersi come un macigno sul dibattito politico in corso negli USA sulle questioni del debito, della riforma fiscale e della crescita economica. In realtà, questo ritratto della situazione del paese non avrà nessun effetto concreto, al di là di qualche dichiarazione di circostanza rilasciata da alcuni esponenti politici.

Ciò che attende la maggioranza degli americani sono anzi nuovi devastanti tagli alla spesa pubblica e una probabile revisione del carico fiscale a favore delle grandi aziende e dei redditi più elevati in nome della crescita economica. Queste, con ogni probabilità, saranno anche le conclusioni della speciale commissione bipartisan del Congresso che entro la fine dell’anno sarà chiamata a presentare le proprie proposte per ridurre il deficit federale di 1.200 miliardi di dollari nel prossimo decennio, approfondendo ancora di più le già enormi differenze nella distribuzione delle ricchezze negli Stati Uniti.

La classe politica che dovrebbe in teoria rimediare alle disuguaglianze sociali, d’altra parte, è la stessa che ha contribuito deliberatamente a determinare questa situazione, rispondendo interamente agli interessi di una ristretta minoranza di privilegiati che continua a spartirsi la gran parte della ricchezza del paese.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy