di Bianca Cerri

Sgt. Alberto Martinez Il sergente Alberto Martinez ha l'aspetto fisico di un americano medio e una voce roca, ma ingentilita dal forte accento della provincia di New York. Arrivato in Iraq nel gennaio di quest'anno, aveva già alle spalle 16 anni nell'esercito ed era considerato un soldato modello, ma ora rischia di finire davanti alla corte marziale come autore del primo omicidio con l'aggravante del "fragging" mai avvenuto nel paese medio-orientale. Nel gergo militare la parola "fragging" ha un duplice significato: indica sia le granate a frammentazione che l'uccisione di ufficiale per mano di un sottoposto. Il duplice omicidio di cui è stato accusato Martinez riguarda le morti del tenente Lou Allen e del capitano Philip Esposito, entrambi suoi superiori ed archiviate in un primo momento come "attacco nemico indiretto ad opera di rivoltosi". Le condizioni in cui erano ridotti i corpi indicavano però che i mortai nemici non c'entravano nulla e neppure i ribelli: Allen ed Esposito erano stati uccisi dall'esplosione di una granata in dotazione all'esercito USA sparata da distanza ravvicinata. Sull'Iraq sono subito scese le ombre del Vietnam, dove gli omicidi negli accampamenti militari erano molto frequenti. Tra il 1965 ed il 1968, il "fragging" uccise oltre cento ufficiali americani. Sulle prime pagine dei giornali guerra e guerriglia urbana si accavallavano contendendosi i titoli. Il 4 aprile 1968, giorno del mortale attentato a Martin Luther King, in Vietnam tre soldati statunitensi assassinarono altrettanti ufficiali del loro stesso esercito. In America, i genitori tenevano i ragazzini tappati in casa per paura che finissero sotto i cingoli dei carri armati apparsi nelle vie di Memphis, identici a quelli che presidiavano Hanoi. Nel sud est asiatico intanto, i soldati avevano iniziato a sbranarsi tra loro. Persino i più tranquilli ed attaccati al dovere andavano trasformandosi in belve assetate del sangue dei superiori. A Bien Hoah, un militare afro americano stanco di essere deriso da un maggiore per il colore della sua pelle lo fece saltare in aria sotto agli occhi degli altri commilitoni.

Ventotto anni dopo la fine della guerra del Vietnam, il "fraggin" era ricomparso in una base americana in Kuwait nel marzo del 2003. L'uomo accusato di essere l'autore dell'omicidio di un superiore, Hasan Akbhar, è stato condannato a morte nel marzo del 2005. Alberto B. Martinez potrebbe avere lo stesso destino. Il processo contro di lui inizierà il prossimo ottobre e alle udienze assisteranno anche le vedove di Allen ed Esposito. Il Pentagono pagherà i costi della trasferta. Dei motivi che hanno indotto Martinez a diventare un assassino non si sa molto. Il sergente americano era molto depresso e sopportava male la continua tensione dovuta all'attuale clima iracheno. La famiglia è convinta che le accuse contro di lui siano state montate ad arte. La vedova di Allen giudica Martinez un traditore ed un codardo.

Lorenz Kholman, uno psicologo che ha combattuto in Vietnam, dice che il "fragging" non è paragonabile al raptus perché i sentimenti montano in modo quasi impercettibile fino a sovrastare la mente dei militari. Alla fine, si uccide in modo quasi automatico, per liberarsi di una sensazione di isolamento insopportabile. Ora gli avvocati sperano solo di evitare la Corte Marziale. Se mai Martinez dovesse essere condannato a morte, verrebbe trasferito nel carcere di Leavensworth, in Arkansas, uno dei penitenziari più duri degli Stati Uniti. Nel locale braccio della morte, noto come "The Castle" otto uomini sono già in attesa di esecuzione.

A Columbus, in Georgia c'è un night che, per quelli che si accontentano, è un "posto di classe", dove si può bere un ettolitro di birra e chiacchierare con le signorine fino all'alba per cinque dollari. Sul tappeto elastico, una ragazza platinata e semi-nuda salta su e giù per la gioia dei clienti. Si chiama Tony e una sera è stata picchiata da un branco di reduci ubriachi. Erano cinque, tutti ubriachi persi. Tony era riuscita a fuggire ma i cinque reduci avevano continuato a litigare tra loro fino a quando uno non aveva tirato fuori il coltello e fatto letteralmente a pezzi Richard Davis, suo ex-commilitone.
Il corpo di Davis, o almeno quello che ne rimaneva, venne ritrovato quattro mesi dopo in un burrone. Ce lo avevano gettato i colleghi conosciuti a Baghdad dopo avergli dato fuoco. Era stato ucciso con 33 coltellate. Per la prima volta nella storia americana il giudice ha assolto gli assassini perché incapaci di intendere e volere a causa del deterioramento prodotto sul loro cervello dalla guerra. I due precedenti tentativi di far assolvere un imputato con la stessa motivazione erano andati a vuoto. Davis West, avvocato difensore, afferma che è stata la prima sentenza per danni cerebrali causati dalla guerra ma non sarà certamente l'ultima.

Il Pentagono è ancora restio ad accettare l'ipotesi dei militari che una volta tornati a casa o nei momenti di particolare stress arrivano ad uccidersi l'uno con l'altro. Ma ormai da quasi tutti i taxi che si fermano davanti al Walter Reed Hospital, dove si cerca di curare l'anima malata scendono persone che portano in sé la tragedia. Bush è stato al Reed almeno sei volte dallo scorso Natale ed ha fatto un sacco di promesse. Ma nessuno crede più a quello che dice il presidente.

Nel dicembre del 2005, Andreas Raya, uno dei marines che attaccarono i civili a Fallujah, è stato arrestato nel corso di una rapina ad un grande magazzino. Un mese dopo un suo collega ha ucciso a coltellate una ragazza di 24 anni. Prima di uscire per uccidere aveva indossato l'uniforme, compresi gli stivali. Sua madre ha espresso il desiderio di conoscere la famiglia della vittima per dire loro che prima di partire per l'Iraq suo figlio era un buon ragazzo, è stata la maledetta guerra a devastargli la mente...

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