di Mario Braconi

Mentre nei Territori le scuole e gli edifici del governo restano chiusi per le dimostrazioni a favore della “marcia” di Abbas alle Nazioni Unite, l’Amministrazione americana, per bocca del suo Presidente e della sua diplomazia, si sforza come può di freddare ogni entusiasmo. Nel suo discorso all’Assemblea Generale, il presidente americano ha ammonito: “Non vi sono scorciatoie per porre fine ad un conflitto che si è protratto per decenni; non si otterrà la pace con dichiarazioni o risoluzioni ONU; se fosse così facile, sarebbe già stato fatto”.

Un’interessante posizione, che stride però con le dichiarazioni fatte dallo stesso presidente all’Assemblea Generale del 2010: “Quando ci ritroveremo in questo stessa assise l’anno venturo, c’è la possibilità che avremo un accordo che possa condurre all’ingresso di un nuovo membro delle Nazioni Unite, uno stato di Palestina indipendente e sovrano, che vive in pace con Israele”.

Benché le parole di Obama - si sono affrettati a precisare i suoi - erano da considerarsi più un auspicio che un impegno concreto, è evidente che in questo momento esse costituiscono un segnale chiarissimo della distanza tra le buone intenzioni di ieri e il nulla di fatto di oggi, e un’ottima occasione per i Palestinesi, che hanno buon gioco a definire quella frase ristoratrice “la promessa di Obama”. In questo senso è abbastanza ironico l’atteggiamento degli Stati Uniti che, ancora ieri, sempre per bocca del loro Presidente, continuavano a sostenere l’ovvio, cioè che Israeliani e Palestinesi debbano organizzare colloqui per accordarsi sulle questioni che li dividono, sempre tragicamente le stesse da sempre: confini, sicurezza, confini e Gerusalemme. Mentre languono da anni i negoziati, di cui si sono arrogati unilateralmente il monopolio.

C’è però da segnalare un elemento nuovo, che da solo sembra dare ragione all’insistenza palestinese nell’incardinare la lotta presso le Nazioni Unite. A quanto sembra, lo scalpore causato dall’iniziativa palestinese è riuscita nell’eroico obiettivo di svegliare dal coma un Paese europeo, di solito interessato a dimostrare al mondo di avere a cuore i problemi del mondo arabo. Nicolas Sarkozy ha mostrato segni di vita politica: “I Palestinesi non devono aspettarsi di ottenere un’associazione piena alle Nazioni Unite come stato membro [cosa che tra l’altro è impedita dal veto americano ndr]” ha dichiarato il presidente francese, ma ha paventato il rischio di un’ondata di violenza in Medio Oriente se tale veto verrà effettivamente posto.

A parte questa dichiarazione inutile e imbelle, Sarkozy ha messo sul piatto un possibile piano che si articolerebbe nel modo seguente: approvazione dello stato di osservatore all’Assemblea Generale (e per questo i Palestinesi non hanno bisogno del suo permesso e del suo sostegno, avendo già una maggioranza certa dell’assise), inizio di nuovi colloqui entro un mese, sei mesi per discutere dei confini e giungere ad un “accordo definitivo” che dovrebbe concretizzarsi entro un anno.

Non è dato sapere se la proposta di Sarkozy sia una boutade dettata solo dalla sua mania di protagonismo, o se invece verrà sostenuta con la necessaria forza e coerenza: ma il solo fatto che sia saltata fuori come un coniglio dal cilindro fa pensare che forse Obama sia in errore quando dice che la strada per la pace in Medio Oriente non possa passare (anche) per i corridoi del Palazzo di Vetro.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy