di Michele Paris

In un’apparizione televisiva dal Rose Garden della Casa Bianca, lunedì scorso Barack Obama ha presentato l’ennesimo piano per la riduzione del colossale debito pubblico statunitense. Il nuovo progetto del presidente democratico prevede questa volta una riduzione della spesa pari a 4 mila miliardi di dollari nel prossimo decennio, da raggiungere per mezzo di modesti aumenti delle tasse per i redditi più alti e “riforme strutturali” dei popolari programmi sanitari pubblici Medicare e Medicaid.

Per la maggior parte dei media americani, quella che Obama ha inaugurato ufficialmente con l’intervento di lunedì è una nuova fase della sua presidenza. L’inquilino democratico della Casa Bianca sarebbe cioè diventato più combattivo da qualche tempo, meno disposto al compromesso con i repubblicani e ben deciso a battersi per misure finalmente d’impronta progressista.

Il presunto nuovo corso di Obama, in realtà, appare più che altro dettato da opportunismo politico. In un momento di grave crisi del paese, gli indici di gradimento del presidente sono crollati drasticamente. Così, di fronte ad una base democratica profondamente delusa dalle mancate promesse di cambiamento e con l’inizio della campagna per la rielezione alle porte, Obama e i suoi strateghi hanno deciso di esibire il consueto tono populista cui il partito ricorre puntualmente all’approssimarsi del voto.

La “manovra” disegnata da Obama e da uno staff di consiglieri economici rinnovato da poco verrà trasmessa alla speciale Commissione bipartisan del Congresso già incaricata di proporre entro la fine dell’anno misure per ridurre il debito di 1.500 miliardi di dollari. Questa commissione, composta da sei parlamentari democratici e altrettanti repubblicani, è stata istituita nell’ambito dell’accordo trovato lo scorso mese di agosto per l’innalzamento del tetto del deficit americano e le sue conclusioni dovranno essere votate dal Congresso a fine dicembre senza possibilità di emendamenti.

In maniera insolita, nel corso del suo intervento pubblico Obama ha minacciato di esercitare il potere di veto nel caso sul suo tavolo dovessero giungere provvedimenti approvati dal Congresso che contengono esclusivamente tagli alla spesa pubblica. “Non darò il mio appoggio a nessun piano che farà pagare la riduzione del nostro deficit alla maggioranza dei cittadini americani”, ha spiegato il presidente. “Metterò il veto su qualsiasi legge che comporterà modifiche per coloro che fanno affidamento su Medicare senza aumentare la quota di entrate provenienti dagli americani più ricchi e dalle corporation”.

In altre parole, esclusivamente per convenienza politica, Barack Obama sosterrà provvedimenti che devasteranno programmi pubblici che coprono le spese sanitarie di decine di milioni di americani solo se saranno accompagnati da misure poco più che simboliche destinate ad aumentare modestamente il carico fiscale per i redditi più elevati.

La stessa Casa Bianca, però, ha ammesso che le proprie iniziative per innalzare le tasse a carico dei privilegiati hanno ben poche probabilità di essere approvate al Congresso. Qui la resistenza dei repubblicani - in maggioranza alla Camera dei Rappresentanti - è infatti tale da far escludere per ora qualsiasi cedimento sulla questione fiscale, come ha ribadito in questi giorni lo speaker John Boehner.

Per Obama si tratta in ogni caso di mostrarsi almeno dalla parte della classe media e dei lavoratori, così da convincere soprattutto gli elettori indipendenti della sua volontà di trovare un compromesso equo con i repubblicani sulla questione del debito e scaricare su questi ultimi la responsabilità del mancato accordo.

Concretamente, il piano di Obama che, nelle parole di un membro dello staff presidenziale, prevede “parecchie sofferenze”, include tagli per 320 miliardi di dollari nel prossimo decennio a Medicare (248 miliardi) e Medicaid (72), i piani sanitari pubblici destinati rispettivamente agli anziani e ai più poveri.

Esclusi almeno per ora dalla scure della Casa Bianca sono invece gli interventi sul sistema pensionistico e l’innalzamento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni, anche se Obama ha fatto intendere che potrebbero esserci tagli da subito anche in questo ambito se i repubblicani si mostreranno disponibili ad accettare i modesti aumenti alle tasse previsti per i più ricchi.

I tagli nel settore della sanità si materializzeranno, tra l’altro, nell’aumento dei premi a carico dei beneficiari di Medicare, nella riduzione dei rimborsi destinati agli ospedali che curano i malati coperti dallo stesso programma per gli anziani, nel pagamento di una parte dei servizi erogati ai malati che ricevono assistenza a domicilio e nell’abbattimento degli stanziamenti federali su cui gli stati fanno affidamento per pagare i servizi garantiti da Medicaid.

Dei 4 mila miliardi, poi, 1.500 dovranno arrivare da quello che viene definito un aumento delle tasse per i redditi più alti. È bene sottolineare tuttavia che l’obiettivo finale di Obama è quello di ridurre l’aliquota per i “creatori di posti di lavoro” del settore privato, mentre i risparmi dovrebbero arrivare pressoché unicamente dalla soppressione di scappatoie fiscali che consentono alle corporation di pagare meno tasse e da un nuovo limite fissato alle deduzioni, di cui beneficiano peraltro anche lavoratori e classe media.

Altri mille miliardi in minori spese saranno possibili in seguito al relativo disimpegno dai conflitti in Iraq e Afghanistan. Tra le altre misure previste ci sono anche la riduzione dei sussidi al settore agricolo (31 miliardi), l’aumento del contributo versato dai dipendenti pubblici per le loro pensioni e per l’acquisto dei medicinali da parte dei veterani delle forze armate, una sovrattassa sui biglietti aerei per finanziare le misure di sicurezza anti-terrorismo negli aeroporti, la riduzione delle ore lavorate e del personale addetto al Servizio Postale USA.

Nonostante gli interventi proposti da Obama finiscano dunque per colpire in maniera eccessiva proprio i redditi più bassi, già penalizzati dalla persistente crisi economica e dalle misure di austerity implementate in questi mesi, il presidente ha tenuto a respingere fermamente l’assurda accusa di portare avanti una “guerra di classe” contro i ricchi, lanciatagli dallo speaker repubblicano della Camera, John Boehner.

In una dichiarazione al limite del patetico, il direttore dell’Ufficio della Casa Bianca per il Bilancio, Jacob J. Lew, ha infatti rassicurato che il presidente non intende “prendere di mira i ricchi”. Un’affermazione, questa, significativamente rilasciata poco dopo la presentazione di misure che produrranno un ulteriore aggravamento delle condizioni di vita di milioni di persone e che mostra ancora una volta quali siano i soli interessi a cui fa riferimento l’intera classe politica americana.

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