di Rosa Ana De Santis

Sono 12,4 milioni le persone che nella regione hanno urgente bisogno di aiuti umanitari: 3,7 milioni in Somalia, altrettanti nelle regioni del Kenya, quasi 5 milioni nell’est dell’Etiopia e 165.000 a Gibuti. Il Corno d'Africa comprende la Somalia, l'Eritrea, l'Etiopia, Gibuti e il Kenia. Crisi alimentare, carestia e il flagello delle epidemie, come il colera, che stanno colpendo gli sfollati e soprattutto numerosi bambini, tratteggiano i contorni di una orrenda catastrofe umanitaria.

Gli scontri armati, forti soprattutto in Somalia, rendono difficilissimo il lavoro degli operatori umanitari e la situazione dei campi complica moltissimo le stime e le statistiche. Quello che è chiaro a tutti è che i bambini malnutriti, che potrebbero essere salvati in poche settimane attraverso alimenti terapeutici, sono le principali vittime. Decine di migliaia sono morti e 2,3 milioni sono quelli malnutriti.

L’appello UNICEF per raccogliere 364 milioni di dollari, necessari al finanziamento dei primi sei mesi di aiuti, per ora è finanziato al 61%. La miscela fatale di siccità, il conseguente rialzo dei prezzi alimentari e la guerra in Somalia costituiscono i fattori scatenanti di questa tragedia umanitaria. La fuga dalle zone di guerra, il rifugio negli sterminati campi profughi e le condizioni naturali hanno scatenato un dramma che di così vaste proporzioni non si vedeva da 20 anni.

A fine luglio il vertice straordinario della FAO aveva dato le linee e le stime economiche degli aiuti necessari per intervenire nella regione, sorvolando appena il problema della volatilità dei prezzi alimentari adottato nell’ultimo G20 dai Ministri dell’agricoltura. E’ proprio questo fattore, invece, a giocare un ruolo non marginale in questa crisi e a rappresentare il motore di uno scontro politico ampio e globale tra il Nord e il Sud del mondo, le multinazionali da un lato e i movimenti contadini dall’altro, il business e i produttori di materie prime, espropriati, nella pratica, di terre e risorse.

La privatizzazione silente, sostenuta dietro le quinte proprio dalla Banca Mondiale, e i vertici politici rimandati sul lungo periodo e risolti in eventi scenografici, rappresentano il preludio fondamentale a crisi umanitarie come quella del Corno d’Africa. Quando alla guerra si uniscono disagi climatici e l’accesso al cibo viene tolto dalle mani  dei paesi coinvolti la garanzia del disastro è assicurata. E’ lo scenario politico ed economico la vera e reiterata causa di questi esodi di massa e di tutte queste morti.

La risposta degli aiuti, per quanto necessaria come soccorso, non è mai una soluzione a lungo termine perché non altera mai gli equilibri e i rapporti di forza che governano a monte le relazioni con i Paesi in via di sviluppo e non fa che rafforzare quella modalità di elemosina con cui ci siamo abituati comodamente a sentirci dei benefattori.

Nel mese in cui i numeri dei bambini africani da vaccinare e da proteggere aumentavano di giorno in giorno, il nostro Ministro degli Interni portava in trionfo, proprio dal Meeting dei cattolici a Rimini, la politica dei rimpatri, fatti all’”italiana”. Proclami quantomeno di cattivo gusto se pensiamo ai messaggi, almeno quelli lanciati dal pulpito, in cui il papa invitava all’accoglienza e agli aiuti. La progressiva perdita d’interesse del governo italiano nella zona del Corno d’Africa con un totale allineamento alla politica internazionale USA ha significato finora anche un impegno davvero pallido negli aiuti umanitari.

La storia del Corno d’Africa è uguale a quella di molti altri. Disperati che non possono fuggire e non possono essere accolti. Che devono rimanere stritolati in casa dalla trappola di meccanismi economici creati ad arte per impedire ogni loro sviluppo, in attesa di qualche volo carico di cibo e medicinali. E’ questa mente occidentale la stessa che ha partorito la strage della Norvegia. La bomba che facciamo finta di non avere nella pancia.

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