di Michele Paris

Il presidente Barack Obama è apparso giovedì sera di fronte ai membri del Congresso per presentare il suo nuovo piano per rilanciare l’economia e cercare di mettere in moto un meccanismo che possa tornare a produrre posti di lavoro. Il pacchetto da 447 miliardi di dollari dell’inquilino della Casa Bianca ha però ben poche possibilità di venire approvato da un Congresso nel quale i repubblicani sono in grado di bloccare ogni iniziativa democratica e, in ogni caso, la sua eventuale implementazione farebbe ben poco per risolvere la crisi occupazionale degli Stati Uniti.

Il piano promosso da Obama, costretto a fare i conti con la concorrenza televisiva dell’avvio della nuova stagione del football americano, combina sostanzialmente una serie di tagli alle tasse per le aziende e modesti progetti di spesa per la realizzazione di opere pubbliche.

L’intero pacchetto (“American Jobs Act”) risulta più sostanzioso rispetto a quanto annunciato nei giorni precedenti ed è stato accolto dalla stampa liberal con moderato entusiasmo, soprattutto alla luce di un presunto spirito combattivo che il presidente avrebbe ritrovato in un momento di grave crisi per il paese.

Durante i 32 minuti del suo intervento, tuttavia, Obama ha più volte supplicato i parlamentari repubblicani per convincerli ad approvare il piano, i cui meriti starebbero a suo dire nella presenza di misure appoggiate nel recente passato sia dagli stessi repubblicani che dai vertici delle compagnie private.

Punto centrale del programma è l’estensione dei benefici fiscali per le aziende che assumono nuovi dipendenti, una misura tutt’altro che innovativa e che ben poco ha fatto finora per ridurre il livello di disoccupazione. La premessa che ulteriori sconti e favori al settore privato contribuiscano a creare posti lavoro appare infatti quanto meno discutibile, dal momento che le più grandi aziende americane siedono letteralmente su centinaia di miliardi di dollari di profitti senza mostrare alcuna volontà di tornare ad assumere.

Oltre a ciò, sarebbe prevista poi l’estensioni dei sussidi di disoccupazione e circa 140 miliardi di dollari per lavori di ammodernamento di strutture pubbliche, ovviamente destinati anche in questo caso al settore privato.

Ciò che più sconcerta del discorso di Obama è la sua promessa di pagare queste iniziative con altri devastanti tagli alla spesa pubblica, che andrebbero così ad aggiungersi a quelli già previsti dall’accordo raggiunto poche settimane fa con il Congresso in occasione dell’aumento del tetto del debito americano.

Nonostante le concessioni ai repubblicani, è in ogni caso estremamente improbabile che il Congresso sarà in grado di far passare molto di più di qualche singolo provvedimento contenuto nel piano Obama, la cui efficacia complessiva è stata peraltro messa in discussione anche dai commentatori vicini alla Casa Bianca.

Costretta a fare i conti con un debito pubblico che ha raggiunto proporzioni colossali, la classe dirigente americana, senza toccare le enormi ricchezze accumulate dalla ristretta oligarchia economico-finanziaria di cui è espressione, si ritrova dunque a corto di soluzioni da offrire agli oltre 25 milioni di disoccupati.

Le uniche risposte, come ha tristemente mostrato il discorso di ieri di Obama, sono poco più di inutili esercizi retorici, nel tentativo di recuperare una parvenza di credibilità di fronte ai lavoratori e ad una classe media sempre più scoraggiati da un sistema politico da tempo incapace di farsi carico delle loro necessità.

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