di Giuliano Luongo

Dalla sogghignante soddisfazione che trapela dalle pagine del Wall Street Journal allo stupore più contenuto del moscovita Kommersant, il fiasco della compagine di sedicenti socialisti guidata da Zapatero ha visto salire agli onori della cronaca una nuova interessante prospettiva per una politica di piazza, fuori da schemi rigidi e non rappresentativi della realtà come quello bipartitico. Ad aver attratto le luci della ribalta non è stato solo il fiasco alle urne, ma soprattutto l’avvento del Movimento 15-M o “Indignados”.

Cioè di una massa eterogenea di giovani e meno giovani che, grazie ad un rapido passaparola su internet, si sono riuniti per manifestare alla vigilia delle elezioni e poi a oltranza il loro scontento a 360° non solo verso il governo attuale, ma soprattutto verso il sistema politico in generale e i due maggiori partiti di massa - Socialisti (PSOE)  e Popolari (PP). Forti le critiche verso l’azione del governo in carica, ritenuto troppo vicino alle banche e colpevole di aver scaricato la crisi sulle spalle dei giovani e delle famiglie di risparmiatori, tagliando il welfare e appesantendo il gettito fiscale.

Una delle peculiarità del movimento è la sua dichiarata apartiticità: i suoi membri non hanno dato indicazioni di voto, né hanno favorito la nascita di un partito politico proprio foriero delle idee discusse in piazza. Sin dal momento dell’occupazione di Puerta del Sol il movimento ha suggerito - a volte tra le righe, a volte meno (dipende da quale giornale o tiggì riferisse la notizia) - il boicottaggio ai danni dei due grandi partiti politici, visto come l’unica “cura” contro un sistema partitico che porta alla vittoria solo formazioni ancora abbarbicate su posizioni pro-lobbistiche. E’ giusto dunque soffermarsi in attimo più sugli intenti di questa marea di volenterosi, onde evitare di commentare il tutto superficialmente, liquidandoli come i “grillini iberici”.

Gli Indignati hanno pubblicato online (in inglese e nelle varie lingue regionali spagnole) il loro manifesto e una serie di proposte in otto punti, lodevole tentativo di chiarezza. Il tutto è pervaso di un gusto rivoluzionario e di un senso di partecipazione piacevolmente retrò, quello che i sedicenti riformisti contemporanei hanno clamorosamente perso: in esso si afferma che il corrente assetto governativo ed economico del Paese non tiene conto di diritti basilari come quello alla casa, al lavoro, all’educazione, allo sviluppo personale e alla partecipazione politica.

Il sistema bipartitico PSOE-PP sarebbe totalmente disinteressato a tutto ciò, ponendosi come il grande muro dello status quo a difesa delle lobby e degli interessi economici di pochi. Il manifesto prosegue criticando in linea generale il modello economico attuale non solo spagnolo, creatore di disuguaglianze e mirante solo all’accumulazione di denaro e del potere che da esso deriva: in chiusura, si fa un accorato appello ad una “rivoluzione etica” che porti all’uscita di questo sistema che fa gli interessi di pochi a scapito delle masse dei semplici cittadini, che vengono ridotti a meri “oggetti economici”.

Le proposte sono in otto punti, dalla politica economica alla gestione della pubblica amministrazione fino alle libertà civili. Volendone riportare gli highligts, vediamo che viene proposto uno stretto controllo sull’assenteismo e la pubblicazione degli stipendi di chi ricopre un incarico pubblico, accanto all’eliminazione dell’immunità per chi svolge incarichi di rilievo e la soppressione dei privilegi fiscali per gli eletti. In tema di lavoro, si propongono vantaggi alle imprese con meno del 10% dei dipendenti a progetto, la redistribuzione delle ore di lavoro per assorbire disoccupati, licenziamento solo con giusta causa e in pensione a 65 anni.

Ci sono anche note interessanti sulle banche: niente salvataggi, chi toppa o fallisce o viene nazionalizzato per divenire banca pubblica sotto controllo sociale (punto interessante, purtroppo ancora embrionale), divieto di usufruire dei paradisi fiscali. Si parla di riduzione delle spese militari (senza definire il quibus), maggiori imposte per grandi capitali e banche, introduzione della discussa Tobin Tax e tagliare gli sprechi della PA.

A livello elettorale i voli pindarici aumentano: si propone - giustamente - un sistema più proiettivo (del quale non si danno alcuni dettagli), per poi chiedere una rappresentanza assembleare per gli astenuti e “un sistema che garantisca democrazia interna ai partiti”. Si chiede un maggiore uso del referendum, che diverrebbe obbligatorio per l’applicazione di ogni norma europea.

Dunque, diciamocelo: checché ne dicano gli stessi fondatori, il movimento segue una linea ideologica ben chiara, con la speranza di far sì che si concretizzi una risposta politica alle richieste della popolazione onde mandare a casa non solo gli attuali governanti - rei di essere dei socialisti di carta - ma anche in grado di contenere eventuali altre spinte al conservatorismo. Il movimento, la gente, vuole che qualcuno non solo “dica qualcosa di sinistra” ma, a differenza di Zapatero, lo faccia anche.

Dopo due legislazioni con i conservatori al comando, il fiasco dei socialisti è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso della pazienza degli elettori, giovani e meno giovani, che si sono decisi a spingere con la forza delle idee la coscienza del Paese e dei suoi politici verso una società meno “economica” e più umana, più al servizio della gente. Di contro, alcune proposte non hanno una base definita, con il rischio di sembrare, se non divenire, fuffa.

E dunque, quali saranno i risultati politici di questo movimento? Far vincere i conservatori? Detto così sembra un controsenso, ma è quello che succederà a breve se il trend non si concretizzerà in una proposta politica che riesca a superare le barriere imposte dal sistema attuale. Visto che il cambiamento verso un sistema elettorale meno bipartitico sarà difficilmente fatto da chi è al potere oggi, bisogna riuscire a vincere con le regole del gioco attuali.

Purtroppo per fare questo serve un partito nuovo, partendo dall’assunto pessimistico-realista che con PSOE e PP c’è ben poco da fare: allo stato attuale delle cose, è più che plausibile che numerosi partiti progressisti minori assorbiranno i voti degli indignati, finendo di fatto per sprecarli.

Le recenti amministrative hanno mostrato che il deflusso verso partiti minori più sulle posizioni degli indignati è stato minimo, con risultati degni di Rutelli. Di contro, il PP ha mantenuto i suoi voti: il suo è un elettorato che di certo non vede di buon occhio i movimenti di piazza, e in più, temendo una radicalizzazione del conflitto sociale e derive riformiste eccessive, potrebbe impegnarsi ancor più nel sostegno alla formazione dell’ultraconservatore Rajoy.

In un modo o nell’altro, i rischi di clamorosa autorete sono più che tangibili. Ora come ora, a fronte anche della tentata espansione in altri paesi, bisognerà vedere come e quanto velocemente gli indignati sapranno dare un senso più organizzato alla propria azione. Un’espansione a macchia d’olio del movimento potrebbe davvero portare ottimi risultati per la presa di coscienza di cittadini e politici, ma per ora abbiamo solo degli extraparlamentari volenterosi. Dunque, restiamo con i piedi per terra - e il sedere in piazza - e lavoriamoci su. Forse qualcosa si può fare.

 

 

 

 

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