di Carlo Benedetti 

MOSCA. Tutto era nell’aria, ma in Russia nessuno aveva avuto il coraggio di parlarne per primo. Così ci ha pensato lui, il presidente Medvedev (classe 1965) da sempre considerato un lilliput di Putin. Sembrava un quisling fedele e privo di iniziative. Prono. Ed eccolo invece impegnato a sparare una serie di raffiche contro i vertici del potere organizzato da Putin. Tutto questo va in onda ad appena 12 mesi dalle prossime presidenziali.

La storia, vista dalle rive della Moscova, riporta indietro a quel 1934, quando con il pretesto dell’assassinio per mano di presunti trotzkisti di Sergej Kirov, Stalin, per rafforzare ulteriormente la propria egemonia, diede avvio a una stagione di epurazioni interne.

E così chiunque fosse sospettato di essere oppositore veniva allora imprigionato e quindi deportato in Siberia o direttamente eliminato. Le “purghe” staliniane andarono a colpire soprattutto i membri del Comitato centrale del Partito comunista, tra cui importanti dirigenti come Zinov’ev, Bucharin e gli ufficiali dell’Armata Rossa. I tempi sono fortunatamente cambiati. Nessuna vittima, nessuno spargimento di sangue. Ma i furbetti del quartiere moscovita finiscono da parte. Ci pensa il professor Medvedev che con la sua aria sbarazzina si dichiara stanco di assecondare il duro Putin. E passa all’attacco.

Ha cominciato, nei mesi scorsi, cacciando a calci il potente sindaco della capitale, Jurij Luskov, re di tangentopoli e massacri urbanistici stratosferici (coadiuvato da Elena Baturina, una moglie palazzinara) ed ora in fuga all’estero. Ed ecco che, dopo aver sistemato alla guida di Mosca il siberiano Sergej Sobjanin (che ha messo a nudo scandali faraonici legati anche a quel tempio che è la metropolitana della capitale) passa alla seconda fase delle purghe che assumono un significato strategico.

Rotolano così molte teste doc sui sanpietrini della Piazza Rossa. Sono allontanati, sospesi, cacciati, sostituiti personaggi che sembravano intoccabili e che avevano dato vita ad una nuova casta post-sovietica. Personaggi tutti di scarsissimo valore. Spesso usciti dalle caserme della sicurezza (ex Kgb). Ambiziosi che si erano sistemati soprattutto nei gangli delle aziende di Stato.

Il Cremlino scarica così una sfilza di decreti che escludono dai vertici ministri e vice primi ministri dai consigli di amministrazione delle aziende pubbliche.  Si tratta di veri e propri oligarchi che si erano sistemati sotto le ali protettive dell’attuale premier Vladimir Putin. Personaggi accolti bene anche in Italia e introdotti negli ambienti della nostra economia, pubblica e privata.

E parte l’elenco dei nomi. Viene cacciato quel vice primo ministro Igor Sechin (classe 1960) da sempre considerato il braccio destro di Putin e soprannominato “zar del petrolio” ed “eminenza grigia del governo”. Una delle figure più enigmatiche del vertice russo. E via anche Viktor Zubkov, primo vice ministro e presidente di quella piovra economica che si chiama “Gazprom”. Fuori dal Cremlino anche Anatolij Serdyukov, titolare del dicastero della difesa. Viene cacciato senza gli onori delle armi.

Assieme a tutti questi uomini dell’alta nomenclatura vengono colpiti dall’ukaz di Medvedev anche diversi altri personaggi che non possono essere però ricondotti al gruppo dei silovikì, come vengono chiamati gli uomini che provengono dai ministeri «armati», cioè difesa, interno, Fsb (ex Kgb). Tra questi, il ministro delle Finanze Alexei Kudrin una figura estremamente ambigua. Un personaggio legato ai mondi della finanza degli Usa e di Israele.

E mentre il palazzo russo si agita per questi improvvisi cambiamenti ci si interroga sul significato di questi ukaz che hanno tutti il sapore di purghe. Non si è, ovviamente, ad un nuovo Russiagate, quello scandalo che sconvolse il mondo della politica russa e che sembrò destinato ad allargarsi a macchia d'olio, con uno sfondo che andava dalla mafia alla finanza alla nomenclatura del Cremlino.

Ma è certo che si è ad una fase di estrema delicatezza. Proprio perché la mossa di Medvedev anticipa nuove lotte di potere e nuove soluzioni. Si è ad una riedizione di quel “periodo dei torbidi” per la Russia? E cioè quegli anni d’interregno dominati da una anarchia assoluta e così ben narrati dallo storico Karamzin e dal Puskin del “Boris Godunov”?  Si dirà: altre epoche, altri uomini. Ma il Cremlino - con i suoi attuali inquilini - sembra sempre lo stesso.

 

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