di Giuliano Luongo

Una delle caratteristiche più condivise tra tutti numerosi paesi dell’ex Unione Sovietica, accanto ad amenità come corruzione dilagante, instabilità delle regioni di confine e fallout nucleare, è quella degli omicidi politici. Mentre tutti abbiamo ancora negli occhi e nelle orecchie le “finezze” al polonio di Putin, ultimamente dobbiamo riconoscere che il primo posto nella top ten dei complotti omicidi va alla nomenklatura dell’Ucraina indipendente, con in testa l’ex-Presidente Leonid Kuchma.

Questo schietto individuo, in carica dal 1994 al 2005, è stato recentemente accusato di essere il mandante dell’omicidio - con tanto di sequestro e decapitazione postuma - del giornalista Georgiy Gongadze, ultimo atto in uno scandalo che ha già colpito numerose alte cariche politiche dell’Ucraina e che potrebbe rivelarsi critico per il futuro di un paese tanto geostrategicamente importante quanto instabile. Diviene dunque interessante ripercorrere le tappe di questo caso, tanto noto oltre l’ex cortina di ferro quanto sconosciuto a chi non s’interessi degli affari di quell’area geografica.

Correva l’ormai lontano anno 2000: Kuchma, da poco rieletto Presidente, si accingeva a caratterizzare anche la sua seconda legislatura con forti legami con Mosca in politica estera e con una politica de facto dittatoriale sul territorio nazionale. La strategia del governo Kuchma era fondamentalmente basata su quella eltsiniana dei primi anni ’90, costruita su di una serie di privatizzazioni “pilotate” per creare un establishment di potere condiviso tra oligarchi, politici e leaders veri, presunti e potenziali del crimine organizzato.

La repressione della libertà di stampa era all’ordine del giorno, quasi ci fosse ancora il regime: il governo infatti non gradiva molto che le sue azioni volte a favorire le lobbies di oligarchi “locali” e gli interessi del “jet set” di imprenditori legati alla mala orbitanti attorno ai governi di Kiev e Mosca.

Il giornalista Gongadze, originario della Georgia, si era trasferito in Ucraina doveva aveva iniziato la carriera, già alla base parzialmente tarpata da un ambiente politico come detto non propriamente lieto di vedere attaccate verbalmente le proprie attività. Gongadze riuscì a portare ad un alto livello la propria attività con la fondazione del giornale online Ukrainska Pravda, testata indipendente al 100% agli antipodi delle posizioni governative. Fu l’interesse di Gongadze non solo per le attività illecite del governo in politica interna, ma anche in politica estera a segnare probabilmente la sua tragica dipartita.

Durante la primavera del 2000, il giornalista stava seguendo l’intensificarsi delle relazioni del governo di Kiev con numerosi “soggetti interessanti” della politica del Medio Oriente e un caso di omicidio (a sfondo probabilmente politico) avvenuto nell’area portuale di Odessa, quando alcuni ufficiali della SBU - il servizio di sicurezza dell’Ucraina indipendente, il nuovo “KGB locale”, per intenderci - iniziarono ad effettuare forti pressioni materiali ai danni suoi e dei suoi collaboratori, featuring, minacce fisiche e alla sua reputazione.

Lo stesso Gongadze denunciò sia alle autorità competenti che sulle pagine del suo giornale questa serie di avvenimenti a metà giugno del 2000: solo qualche mese dopo, per la precisione il 16 settembre, il giornalista non tornò a casa dal lavoro, per essere poi ritrovato ben due mesi dopo in un’area boscosa a 70km dalla capitale, decapitato e carbonizzato. Le indagini furono condotte in maniera a dir poco fallace, a cominciare dal fatto che le stesse forze di polizia diedero la conferma dell’identità del cadavere quasi 3 anni dopo dal suo ritrovamento.

Nel 2003, grazie alle rivelazioni dell’ex-bodyguard di Kuchma, Mikola Mel’nichenko, fu rivelata la possibile causa scatenante dell’omicidio: stava per venire alla luce nei dettagli una serie di trattative illecite in tema di traffico d’armi tra il governo ucraino e Saddam Hussein, e Gongadze poteva avere un ruolo di spicco nella diffusione di queste informazioni.

Le conseguenze politiche dell’omicidio e di questo scandalo ad esso legato furono importanti per l’evoluzione politica del paese, rafforzando il fronte popolare antipresidenziale che culminò nella “Rivoluzione Arancione” del futuro Presidente Viktor Yushchenko, che fece sua la causa di Gongadze e promise di assicurare i colpevoli alla giustizia una volta eletto. Dopo aver fatto incriminare e poi “suicidare” un sospettato (l’ex Ministro dell’Interno Kravchenko), come prevedibile non fece un tubo, a parte sfruttare l’onda di consenso scaturita dal sostenere la causa di un uomo morto per la libera informazione; il caso, negli anni a venire, scivolò nel dimenticatoio, almeno fino alla nuova campagna elettorale. Nel 2009, a circa sei mesi dalle elezioni politiche, Yushchenko decise improvvisamente di far riaprire il caso, proprio in concomitanza del suo crollo verticale nei sondaggi (dal 50% al 2% dei consensi) e del ritorno sulle scene del rivale Yanukovich, ex-protetto di Kuchma.

Tale strategia riuscì solo ad attirare un vago interesse dei media stranieri e poco di più, mentre l’opinione pubblica ucraina rimaneva alquanto perplessa, vedendo in tutto ciò solo una deprimente manovra elettorale (conclusasi poi con la disfatta tragicomica di Yushchenko in favore di Yanukovich). Nonostante tutto, furono fatti due passi avanti: l’arresto di uno dei membri del gruppo di poliziotti che uccise il giornalista ed il macabro ritrovamento della testa di quest’ultimo. E dopo queste note di “colore”, più nulla. Fino a due settimane fa.

Nonostante un qualsiasi importante scontro elettorale sia lontano nel tempo, il nuovo Presidente Yanukovich ha spinto la Procura a riavviare le indagini, per poi far mettere in stato d’accusa il suo stesso ex-mentore Kuchma. La riapertura del caso sollecita una domanda sia tral’opinione pubblica che tra gli opinionisti: perché proprio ora? Stando ad alcuni analisti, quest’ultimo “guizzo” della procura farebbe parte di un ampio progetto per rinsaldare la leadership politica dell’attuale Presidente Yanukovich.

I vantaggi arriverebbero su due piani strettamente legati. In primo luogo Yanukovich potrebbe ottenere quel recupero d’immagine in tema di trasparenza e legalità che gli manca dalle accuse di brogli elettorali ricevute durante la Rivoluzione Arancione, proprio mentre la prima oppositrice politica Yuliya Timoshenko finisce sotto accusa per uno scandalo di fondi neri. Inoltre, “seppellire” definitivamente Kuchma significherebbe mandare dietro le sbarre una parte importante del passato recente dell’Ucraina e dei più torbidi affari legati all’ex-madrepatria Russia: affari, questi, nei quali molto probabilmente Yanukovich aveva le mani in pasta fino al gomito.

Non solo: nel mirino dei giudici potrebbero finire influenti politici che hanno mantenuto il potere durante il susseguirsi dei governi, tra cui Volodimir Lytvyn, segretario dell’amministrazione presidenziale sotto Kuchma e speaker del Parlamento sotto Yushchenko; e la lista potrebbe allungarsi, in una “purga legalizzata” che lascerebbe al potere i meglio visti dall’amministrazione attuale e dunque, indirettamente da Mosca. Fantapolitica? Conoscendo gli standard dell’Europa orientale, probabilmente no.

 

 

 

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