di Carlo Musilli

La Corea del Nord continua a sbandierare i suoi progressi nucleari. Pochi giorni fa il quotidiano Rodong Sinmun ha fatto sapere al mondo che "migliaia di centrifughe" sono entrate in funzione per l'arricchimento dell'uranio, da utilizzare come combustibile per un reattore "ad acqua leggera", cioè finalizzato alla produzione di energia elettrica. Nelle stesse ore, l'agenzia ufficiale Kcna ha specificato che "il progetto di sviluppo di energia nucleare a scopo civile sarà accelerato".

Una comunicazione insistita da parte di Pyongyang, il cui obiettivo è quello di continuare a tenere sotto pressione Stati Uniti e Corea del Sud. Non ci sono infatti garanzie che la Corea del Nord non aumenti l'arricchimento dell'uranio dal 3% al 95%, cosa che consentirebbe di passare dalla produzione di elettricità a quella di bombe atomiche.

I timori sono stati alimentati dalla relazione fatta alla Casa Bianca da Siegried Hecker, il professore americano che a inizio novembre ha visitato il nuovo sito nucleare di Yongbyon. Appositamente invitato dalle autorità nordcoreane, Hecker è tornato in patria pieno di sospetti sulla reale funzione di quel reattore. Pyongyang gioca a spaventare il mondo. Probabilmente lo scopo è di usare la denuclearizzazione come moneta di scambio per ottenere maggiori aiuti dalla comunità internazionale, attualmente limitati dalle sanzioni Onu.

Ma nel Mar Giallo la tensione è alta, soprattutto sul fronte militare. Nel corso di un'audizione parlamentare, Won Sei-hoon, capo dei servizi segreti di Seul, ha messo tutti in allarme affermando di ritenere "altamente probabile" un nuovo attacco della Corea del Nord, dopo il bombardamento di martedì scorso contro l'isola sudcoreana di Yeonpyeong, costato la vita a quattro persone. Secondo Won Sei-hoon, inoltre, le recenti azioni militari di Pyongyang sarebbero legate "alla successione al vertice" del regime.

In effetti, il "caro leader" Kim Jong-il non gode ormai da tempo di buona salute e sta per essere sostituito dal suo terzogenito Kim Jong-un, che a fine settembre è stato nominato generale. In molti credono che il bombardamento della settimana scorsa abbia avuto offrire anche questo messaggio: nonostante l'imminente cambio di leadership, nulla cambia nella politica della Corea del Nord.

Di fronte a tale situazione di crisi, l'unica azione diplomatica possibile sembra essere quella della Cina, storico alleato di Pyongyang. Attraverso il suo ministro degli Esteri Yang Jiechi, Pechino continua a ribadire la necessità di riprendere le trattative a sei fra le due Coree, la Russia, gli Stati Uniti, il Giappone e la Cina stessa. Si tratterebbe di riunire per una consultazione d'emergenza il tavolo già indetto per cercare di convincere Pyongyang ad abbandonare la strada del nucleare.

Un'iniziativa che, fino ad ora, non ha trovato seguito. Tutti gli altri paesi preferiscono la linea dura: il Giappone ha definito "poco opportuna" la ripresa delle trattative in questo momento, mentre il Segretario di Stato americano Hilary Clinton e il Ministro degli Esteri sudcoreano Kim Sung-hwan hanno specificato dal Kazakistan, dov'è in corso il vertice Osce, che prima del dialogo è necessario che Pyongyang abbandoni ogni atteggiamento aggressivo e dimostri un reale impegno per la denuclearizzazione. Affermazioni giunte proprio mentre nel Mar Giallo si stavano chiudendo i quattro giorni di esercitazioni militari congiunte degli eserciti di Washington e di Seul. Manovre che riprenderanno entro breve: fine dicembre o inizio 2011.

Nella risposta secca della Clinton alla proposta di Yang Jiechi si può leggere il disappunto degli Stati Uniti per il ruolo che la Cina ha scelto di svolgere in tutta la vicenda. Gli Usa avrebbero voluto un segnale forte contro l'aggressività nordcoreana, ma da Pechino non si sono mai sbilanciati, evitando perfino di attribuire a Pyongyang la responsabilità degli scontri a fuoco di martedì scorso.

Il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, ha detto chiaramente che la Cina "ha il dovere di intervenire su Pyongyang". Un'affermazione che ha reso chiaro a tutti come il pallino del gioco sia interamente in mano a Pechino. La Cina potrebbe. Gli Stati Uniti, semplicemente, non possono.

Oltre a mostrare i muscoli sfoggiando nelle acque coreane la mostruosa portaerei George Washington, gli Usa sanno di non avere alternative. Senza un'attiva collaborazione di Pechino, non c'è nulla che possano fare per fermare l'escalation nordcoreana.

Forse per prendere atto di questa situazione e stabilire mosse comuni, i ministri degli esteri di Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone s’incontreranno lunedì prossimo a Washington. Un estremo tentativo, in realtà, si è già consumato. L'ambasciatrice americana alle Nazioni Unite Susan Rice ha chiesto di intensificare l'applicazione delle sanzioni contro la Corea del Nord. Purtroppo per lei, aveva in mano una pistola scarica. Sulle decisioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, la Cina ha potere di veto.

 

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