di Carlo Benedetti

Tante le definizioni politico-diplomatiche per quest'isola Lost dei nostri giorni. L'antica e mitica Cipro è definita, di volta in volta, come terra dell'assurdo, zona della linea verde e dell'ultimo muro, spina nel fianco della Nato, isola di tensione permanente, quartier generale della criminalità. E ancora: Tortuga del Mediterraneo, paradiso fiscale dei nuovi russi, miccia a lenta combustione… Ma una cosa - al di fuori di queste definizioni - è certa: Cipro è un'isola che può esplodere in ogni momento per il fatto che è uno dei punti critici dell'Europa. E dove le sinistre fanno, dal punto di vista politico, il bello e il cattivo tempo. Tanto da arrivare, nei giorni scorsi, alla vittoria nelle elezioni legislative (le prime dopo il rifiuto del piano di riunificazione proposto dall'Onu) con una coalizione a dir poco eterogenea. Con cinque partiti i quali, pur se di diversa estrazione, hanno trovato un minimo comune denominatore per la gestione del potere. In prima linea quel "Dyko" che è sì di centrodestra (finanziato dagli americani) ma che esprime forti posizioni di centro: è il partito del presidente della Repubblica, Tassos Papadopoulos, che non nasconde le sue simpatie per le forze nazional-democratiche. A ruota c'è l'"Akel", di chiara ispirazione comunista, sostenuto dai nazionalisti di sinistra e guidato dal presidente del Parlamento Demetris Christofias. Partito sempre egemone (pur se ora con un calo in percentuale) che segna nel profondo le scelte di politica estera. Seguono poi, sempre nella coalizione vittoriosa, l'"Edek" socialista, l'"Evroko" europeista e la formazione ecologista dei Verdi. I problemi che la squadra di governo ha già affrontato (e che dovrà ora continuare ad affrontare) sono quelli tradizionali: lo status del Paese, diviso in due dal 1974; l'ingresso nella zona scura dell'euro ed il troppo rapido aumento del costo della vita. Temi cruciali sui quali si concentra l'attenzione del nuovo Parlamento della Repubblica, il nono dall'indipendenza dalla Gran Bretagna avvenuta nel 1960. Intanto la situazione generale resta quella tradizionale: tutti gli uomini del potere sono concordi con il presidente Papadopoulos. Domina la politica contraria al piano previsto dall'Onu per la riunificazione.

Ma sul voto di questi giorni pesa sempre il rifiuto da parte dei grecociprioti (avvenuto nell'aprile 2004) del piano del segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan. E precisamente quell'idea di riunificare l'isola divisa dall'estate 1974 dopo un'invasione militare turca seguita ad un fallito colpo di Stato di nazionalisti grecociprioti, che era teso ad unificare Cipro alla madrepatria greca. E' in quel periodo che il partito di centrodestra "Dyko", lanciò e sostenne la campagna del no alla riunificazione.
I risultati attuali, comunque, hanno pur sempre un volto ambiguo, tipico di un'isola carica di misteri e sinistra sotto tutti i punti di vista. Tra l'altro il successo elettorale della coalizione mette in difficoltà anche lo zoccolo duro dell' "Akel". ''L'economia di Cipro - ha detto nei giorni scorsi Demetris Christofias - sta attraversando una fase di transizione. Tutto si svolgerà meglio se avremo più tempo, almeno sino al 2009''.

Intanto le polemiche storiche nei confronti della Turchia non si placano. Ankara - lo ricordano i ciprioti - è ritenuta responsabile dell'occupazione dell'isola, del massacro dei curdi, della pulizia etnica dei greci dell'Anatolia e del genocidio degli armeni. Quanto alla situazione interna, è chiaro che il paese è profondamente mutato soprattutto sul piano istituzionale. C'è una certa rivalutazione della cultura e della tradizione in alternativa all'occidentalizzazione; i cambiamenti, di conseguenza, sono molti e di notevole portata, tenendo anche conto che le nuove regole del gioco, imposte da una ibrida e sinistra coalizione, rafforzeranno sicuramente la gerarchia del potere. Il governo di Nicosia tende ora ad ottenere dalla Turchia il massimo delle concessioni, facendo leva sull'importanza che hanno per Ankara i negoziati per l'adesione all'Eu. In pratica i greco-ciprioti minacciano di porre il proprio veto al prosieguo dei colloqui, nel caso in cui la Turchia non rispetti l'impegno che si è assunta con l'Europa di aprire, entro la fine dell'anno, porti e aeroporti al traffico proveniente dalla Repubblica di Cipro.

Nicosia, in ogni modo, dovrà ora basare la sua attività ricordando che la situazione del Paese ha registrato anche situazioni di disgelo. Come quelle elezioni del febbraio 2005 che si svolsero nella Repubblica Turca del Nord e che videro la vittoria del premier Mehmet Ali Talat alla testa del Partito repubblicano, favorevole alla riunificazione dell'isola e all'ingresso in Europa. La sinistra cipriota si troverà quindi sempre più con un Paese "inserito" in Europa, ma diviso da un vecchio muro che mostra già tante crepe.

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