di Carlo Musilli

In ogni campagna elettorale americana che si rispetti, le ultime fasi sono quelle in cui si tira fuori il coltello e si combatte all’ultimo sangue. Non è un gioco raffinatissimo, ma di solito funziona. E stavolta ce n’è davvero bisogno. Alle elezioni di mid-term del prossimo 2 novembre sono in ballo tutti i 435 seggi della Camera, 37 dei 100 seggi del Senato e 39 delle 54 poltrone da governatore. Ce n’è abbastanza da giustificare la mattanza pre-elettorale. In particolare, gli scontri più efferati degli ultimi giorni si sono concentrati nelle due più importanti metropoli del Paese, Chicago e New York.

Nella Grande Mela continua a far parlare di sé Carl Paladino, candidato repubblicano alla carica di governatore. Alla tenera età di 64 anni, Carl si è buttato in politica sotto il segno dell’agguerritissimo Tea Party, frangia estremista del partito dell’elefante. Pubblicamente, è un bigotto irreprensibile: contrario all’aborto anche in caso di stupro e nemico giurato di chiunque non sia cristianamente eterosessuale. Ma, quando si tratta di business, per il ricco imprenditore è un’altra storia.

Il New York Post e il Daily News hanno però rivelato agli elettori che uno dei locali di Carl è affittato da una clinica in cui si distribuisce la pillola abortiva RU486. Altri due stabili del repubblicano fondamentalista sono occupati da discoteche per omosessuali. Allora Carl rincara la dose. Per ribadire che la sua moralità puritana va aldilà degli affari, arriva a sostenere che “i gay possono fare il lavaggio del cervello” e “i bambini non dovrebbero essere esposti a uno spettacolo terribile come il Gay Pride”. Il giorno dopo, il New York Post pubblica la foto di  un membro dello staff paladino. È a torso nudo, in mezzo alla parata omosessuale. E una bellissima lesbica gli lecca la faccia.

La guerra continua a Chicago, dove a contendersi il seggio che fu di Obama sono rimasti il democratico Alexi Giannoulias e il repubblicano Mark Kirk. Invece di una radura nebbiosa, i due scelgono un programma tv di prima serata per prendersi a stilettate. Dapprima, Kirk accusa Giannoulias per l’istituto di credito di cui è proprietario. Non solo in tempi di crisi la “Broadway Bank” eroga prestiti che i poveri contribuenti americani non riescono a restituire, ma finanzia addirittura la malavita locale.

Non spiccioli riciclati per i ladruncoli, ma miliardi dollari finiti nelle tasche di oscuri gangster. Alexi suda freddo, arrabatta una giustificazione improponibile. Poi passa al contrattacco e svela al Paese le bugie che l’ufficiale di Marina Kirk ha scritto sul curriculum. Non è mai stato nominato “ufficiale d’intelligence dell’anno”, non ha mai combattuto nel Golfo, né in Iraq. Il candidato repubblicano non prova neanche a replicare e si accartoccia in un goffo mea culpa.

Nel frattempo, il presidente Obama fa di tutto per recuperare consensi. L’obiettivo principale sono i giovani. Se nel 2008 sono stati il pilastro del successo alle Presidenziali, oggi il gli under 30 sono delusi. Dal riformismo del “Yes we can” si aspettavano qualcosa di più e alle prossime elezioni potrebbero decidere di tornare al “come eravamo”. Obama sa di doverli riprendere per i capelli e si scatena. Va in giro per università a tenere discorsi in maniche di camicia, compare sulla copertina della rivista “Rolling Stones” e rilascia interviste a Mtv e ad altre reti musicali. Imperversa su Facebook e Twitter.

Non appena il presidente sembra imboccare la strada giusta, subito spuntano fuori nuove beghe a distrarlo. Stavolta la seccatura arriva dai californiani. Lo stesso giorno delle elezioni, quei libertini vogliono votare anche per legalizzare la marijuana. Non una vera rivoluzione, ma una leggina che consenta di portarsi in tasca appena 30 grammi d’erba. L’iniziativa è riuscita a mettere d’accordo Obama e il “governetor” della California Arnold Swarzenegger, entrambi contrari. Il ministro della Giustizia Eric Holder ha fatto sapere che Fbi, polizia federale, Dea e antidroga in nessun caso permetteranno “la coltivazione, il trasporto o la vendita di marijuana”.

Scaramucce a parte, le ultime settimane hanno segnato per i democratici la parziale resurrezione politica. La clamorosa affermazione del Tea Party alle primarie, indebolendo i repubblicani, ha ridato al partito di Obama la fiducia smarrita. Resistere è possibile, bisogna conservare i numeri per continuare con le riforme. Secondo un sondaggio nazionale eseguito per Abc e Washington Post, fra metà settembre e metà ottobre il vantaggio repubblicano si è più che dimezzato, passando dal 13 al 6%. Alla Camera servono 218 seggi per avere la maggioranza: i repubblicani sono certi di averne almeno 204, i democratici si fermano a 184. Ma altri 39 sono in bilico. La partita è ancora aperta.  

 

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