Negli ultimi anni sulla stampa occidentale va di moda parlare a vario titolo dell'evoluzione politica nella Russia di Vladimir Putin. Il refrain dei giornalisti americani ed europei è comunque quasi sempre il medesimo, ovvero i passi indietro che la Russia ha compiuto in questi anni sulla strada della democrazia e dei diritti umani. A questo scopo vengono spesso citati episodi come il takeover ostile della NTV (unica tv privata russa) da parte del gigante di Stato, Gazprom, o il processo farsa nei confronti di Michail Khodorkovsky, l'ex magnate della Yukos Oil e uomo più ricco della Russia, la cui vera colpa, secondo molti, è stata quella di voler finanziare e foraggiare l'opposizione a Putin. Oggi le critiche allo stato della democrazia in Russia si sono arricchite di un nuovo capitolo. Il 27 maggio è stato infatti il 13esimo anniversario della decriminalizzazione dell'omosessualità in Russia, che ai tempi sovietici era considerata come un reato, e gli organizzatori di un festival del cinema lesbico ed omosessuale avevano espresso la loro volontà di tenere un Gay Pride nella capitale russa. Sarebbe stato il primo in assoluto nella storia, ma il sindaco di Mosca, appoggiato dalla destra ortodossa e da gran parte della cittadinanza, ha deciso di vietare questa manifestazione adducendo motivi di ordine pubblico e di morale. Alla fine uno sparuto gruppo di attivisti omosessuali ha tentato comunque di tenere una manifestazione ma è stato arrestato dalla polizia schierata in assetto antisommossa, e ci sono stati anche dei piccoli scontri con una serie di gruppuscoli fascisti, nei quali è stato ferito anche il deputato dei verdi tedeschi, Volker Beck, omosessuale dichiarato presente a Mosca per partecipare alla rassegna cinematografica. Lo stesso Beck, una volta rilasciato dalla polizia dopo essere stato arrestato per aver partecipato alla manifestazione non autorizzata, ha espresso tutto il suo disappunto per la decisione definita, a ragione, antidemocratica, di non autorizzare il corteo.
Ciò che è sicuro, è indubbiamente il fatto che negli ultimi anni la Russia abbia visto una serie di passi indietro sulla strada delle riforme democratiche. Il principale di questi è stato preso dal governo russo sfruttando l'onda emotiva dell'orribile attacco terrorista alla scuola di Beslan, ed ha comportato l'abolizione dell'elezione diretta dei governatori delle regioni russe da parte degli elettori, che ora invece vengono nominati direttamente dal Cremlino come ai tempi sovietici. Per molti esperti della politica russa una tale decisione potrebbe avere effetti devastanti sul futuro delle riforme democratiche in questo Paese, così come la contestuale approvazione di una legge che ha ristretto pesantemente i requisiti per la registrazione dei partiti politici e quindi per la loro partecipazione alle elezioni federali.
Ciò nonostante nel luglio di quest'anno, la Russia ospiterà il G8, ovvero la riunione degli 8 Paesi democratici più industrializzati. Alla luce delle critiche nei confronti dei russi non sono mancate le richieste venute soprattutto da ambienti repubblicani del Congresso americano, di sospendere la Russia dal G8 fino a che non tornerà sulla strada delle riforme democratiche. Il principale sostenitore di questa ipotesi è senza dubbio il senatore repubblicano John McCain, visto da molti come il papabile prossimo candidato repubblicano alla Presidenza degli Stati Uniti, quindi un vero peso massimo della politica americana. Ma davvero le cose sono messe così male per la democrazia in Russia?
Il problema, anzitutto, è di prospettiva. Agli occhi di un occidentale abituato nella sua vita a considerare la libertà e la democrazia come valori normali di una società, la Russia di oggi può sembrare un Paese arretrato e autoritario. Non è così però dinanzi agli occhi dei russi, i quali oggi possono godere di libertà che non potevano neanche sognare ai tempi dell'Unione Sovietica. Per un Paese che all'epoca sovietica era abituato a incarcerare dentro cliniche psichiatriche chiunque la pensasse in modo diverso rispetto ai governanti, il fatto che oggi i russi possano, bene o male, esprimere liberamente le proprie opinioni, è un passo avanti enorme sulla strada della democrazia. Soprattutto, quello che è più importante da questo punto di vista è che l'opinione pubblica sembra supportare quelle che sono, oggettivamente, le caratteristiche principali di una democrazia, ovvero le libere elezioni, la stampa indipendente, il diritto a esprimere la propria opinione politiche e le libertà civili.
Vista la differenza di opinioni, per parlare seriamente di quali siano le prospettive della democrazia nella Russia attuale, vale quindi la pena di vedere più da vicino quale sia la situazione in questo Paese. Iniziamo dalla stampa. Attualmente il Cremlino, dopo il takeover della NTV, controlla direttamente o indirettamente la stragrande maggioranza dei media russi: Russia Today TV, All-Russia State Broadcasting Company (VGTRK), il cosiddetto "Primo" Channel, l'Agenzia di Stampa RIA-Novosti, NTV, la radio Ekho di Mosca e persino il 25% di Euronews, la televisione europea che trasmette in sette lingue ed è diventata una delle principali fonti di informazione in Russia. Al di fuori del controllo del Cremlino rimangono quindi solo la Ren Tv, la Tv Centr e buona parte delle radio locali e dei quotidiani, che sono comunque in gran parte riconducibili a oligarchi vicini al Cremlino.
Non è certo dunque una situazione rosea. Anche per questo motivo le organizzazioni internazionali per la difesa della libertà di stampa, ogni anno denunciano le condizioni in cui i giornalisti sono costretti a lavorare in Russia. Ma non tutto è come potrebbe sembrare a prima vista. Prendiamo ad esempio la radio Ekho di Mosca, una delle emittenti storiche della nuova Russia, l'erede della radio che trasmise in diretta i proclami di rivolta di Eltsin durante il colpo di Stato nell'agosto 2001 contro Gorbaciov. Oggi è vero che la radio Ekho è possieduta in maggioranza dalla Gazprom, ma è anche vero che si tratta di uno dei media più critici nei confronti del Cremlino, l'unica dopo Radio Svoboda, il braccio russo della Radio Free Liberty americana, a potersi permettere di mettere in onda, ad esempio, le interviste rilasciate dagli arcinemici ceceni. Oggi radio Ekho è di gran lunga una delle più ascoltate a Mosca e nel resto della Russia europea, nonché tappa obbligata per tutti gli ospiti occidentali che vengono in visita in Russia.
Uno dei principali critici della Russia di Putin è di sicuro Andrei Ilarionov, ex consigliere economico del presidente russo, dimessosi a febbraio di quest'anno dopo aver dichiarato dinanzi alla stampa mondiale che la Russia aveva abbandonato la strada verso la costruzione di una democrazia e che, anzi, stava andando verso un nuovo totalitarismo. Nel suo discorso di abbandono aveva citato tra le altre cose le atrocità russe in Cecenia ed aveva quindi inserito la Russia nella lista dei Paesi più repressivi del mondo, assieme ad Iran, Siria e Somalia. Oggi Ilarionov è diventato un editorialista che scrive per alcuni giornali occidentali, come il Telegraph, da cui lancia strali nei confronti del suo ex principale. Molto di ciò che afferma Ilarionov è oggettivamente vero e c'è davvero da preoccuparsi per alcune decisioni prese da Putin negli ultimi anni. D'altronde la stessa storia politica di Putin, ex agente del KGB e direttore dell'FSB negli ultimi anni dell'epoca Eltsin, non ha mai lasciato granché sperare nelle sue credenziali democratiche.
Ma c'è comunque qualcosa che manca nelle analisi di tutti coloro che si lamentano ora dei passi indietro compiuti dalla Russia sulla strada della democrazia. Il punto è infatti che la Russia non è mai stata una vera democrazia, neppure all'epoca di Eltsin. Questa è una credenza che va assolutamente sfatata. Un governo democratico non avrebbe mai usato i carri armati per bombardare il legittimo Parlamento del Paese, come ha fatto Eltsin nell'ottobre del 1993 per poi rimanerne di fatto il dittatore incontrastato per due mesi, prima delle elezioni parlamentari che avrebbero visto la vittoria di Zhirinovksy. La stessa rielezione di Eltsin, miracolosa sotto certi aspetti, fu dovuta in gran parte ai soldi investiti dagli oligarchi e dalla massiccia campagna di stampa effettuata dagli organi statali e privati contro il "pericolo rosso". Gli stessi oligarchi sono poi stati premiati con una vera e propria spartizione della torta negli anni seguenti, che alla fine ha portato al crollo rovinoso del rublo nell'agosto 1998 ed alla crisi economica e politica che ne é seguita e che ha visto alla fine uscire l'uomo forte Putin come un salvatore della Patria.
Anche la vicenda Khodorkovksy, da molti vista come emblema della persecuzione politica sotto il regime di Putin, deve essere considerata non solo in bianco e nero. E' vero senza dubbio che il processo Khodorkovsky è stato in gran parte un processo farsa e che quindi lo stesso ha ragione di ritenersi una vittima politica di Putin. Ma è anche vero, ad esempio, che le accuse formulate sono reali: è vero che la Yukos Oil di Khodorkovsky ha frodato milioni di rubli al fisco russo ed ha pagato tangenti per gran parte della sua storia. Probabilmente, più che il finanziamento all'opposizione russa, il vero motivo per il quale Michail Khodorkovsky ora deve scontare una pena di otto anni in una sperduta colonia penale siberiana, è stato il fatto che la Yukos Oil avesse deciso di non pagare più le tangenti al potere e di vendere il 40% del petrolio russo agli americani, mossa vista come il fumo negli occhi dai piani alti del Cremlino. Ciò nonostante l'attenzione dei media e dei cittadini russi sulla vicenda Khodorkovsky è ancora alta ed in questi giorni la Corte Suprema dovrebbe decidere se riaprire la vicenda in base a nuovi incartamenti forniti dagli avvocati difensori.
Un'altra delle mosse più criticate del governo di Putin è stata l'approvazione, nel dicembre dell'anno scorso, di una nuova legge sulle Organizzazioni non Governative che, stando a ciò che lamentano molte di loro, ha di fatto tarpato le ali alla loro opera sul territorio russo. C'è però anche da dire che, stando a rilevazioni fornite da fonti indipendenti, su 450.000 ONG presenti in Russia, solo 1.000 conducono davvero attività trasparenti e senza ottenerne profitto. La stragrande maggioranza servono per riciclare denaro poco trasparente o anche per dare un'apparenza legale alle operazioni di spionaggio straniero su territorio russo. Per di più, negli Stati Uniti, uno dei Paesi che sono stati più critici nei confronti di Putin per questa scelta, la legge non permette agli stranieri di fare donazioni a candidati o a partiti politici. Per quale motivo la Russia si sarebbe dovuta comportare diversamente?
Anche la questione dei diritti umani è piuttosto complessa. E' indubbiamente vero che l'esercito russo si è macchiato di enormi atrocità in Cecenia. Le ultime notizie parlano della presenza di veri e propri campi di concentramento segreti dove i ribelli ceceni arrestati sarebbero stati torturati dalle truppe russe. Ma tutto questo non vi fa venire in mente qualche altra storia? Bene fa l'Occidente a condannare senza appello i crimini compiuti dai russi in Cecenia, ma non si può oggettivamente negare che le condanne occidentali sembrano alquanto ipocrite di fronte alla vergogna di Abu Ghraib, Guantanamo e delle carceri speciali della CIA. E' un dato di fatto che l'Occidente, di fronte ai russi, ha sempre usato un doppio standard. Il caso più lampante è avvenuto proprio negli ultimi mesi quando il vicepresidente Dick Cheney ha pesantemente accusato Putin di aver riportato indietro la lancetta della storia in Russia e di aver usato il ricatto economico nei confronti dei vicini che si erano ribellati al dominio russo (l'Ucraina "arancione", nb). Peccato che negli stessi giorni Cheney si era incontrato con il dittatore del Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev, affermando che "gli americani erano rimasti profondamente ammirati dai progressi che il Kazakhstan ha ottenuto negli ultimi 15 anni" e che "il Kazakhstan era divenuto un buon amico ed un partner strategico degli Stati Uniti".
Il Kazakhstan è indubbiamente una delle migliori dittature tra i Paesi ex sovietici dell'Asia Centrale, ma è anche di gran lunga meno tollerante e democratico della Russia di Vladimir Putin. In Kazakhstan, a differenza che a Mosca, non esiste neppure un simulacro di una opposizione e si può finire in galera per una semplice critica nei confronti del potere. Nazarbayev regna indisturbato da 15 anni il Paese. Così per quale motivo Dick Cheney che ha criticato l'imperfetta democrazia russa non ha detto nulla nei confronti di un Paese ben più autoritario come il Kazakhstan? La risposta è semplice: gli interessi economici americani ed in particolare il progetto di un oleodotto alternativo per portare il petrolio del Caspio in Asia ed in Europa "bypassando" il territorio russo. Ulteriore dimostrazione del doppio standard della politica estera americana.
Questo passo falso non è passato inosservato a Mosca. Otto giorni dopo le dichiarazioni di Cheney, Putin, dinanzi alla Duma, in occasione del Discorso sullo Stato dell'Unione, ha dichiarato che la Russia ha diritto di comportarsi come gli Stati Uniti e difendere i propri interessi economici e politici. Ha poi criticato neanche tanto velatamente i lupi che prima si ergono a difensori della morale e della democrazia e poi la dimenticano quando si tratta di fare affari.
La Russia di oggi è ancora molto lontana dall'essere una democrazia compiuta. Ha compiuto molti passi avanti ed anche alcuni indietro. E' compito dell'Occidente, oggi come domani, quello di essere vicini al popolo russo nel titanico compito della transizione verso una democrazia compiuta. Una Russia davvero democratica sarebbe un bene per la stabilità e la pace dell'intero pianeta, vista l'importanza che questo Paese ha avuto in passato e tornerà ad avere nel futuro. Di certo non si può però capire la Russia e quindi aiutarla, se si continua a ragionare ancora con la mentalità della guerra fredda. E' questo il principale compito che hanno di fronte i politici occidentali quando dovranno trattare con la Russia, e molta parte degli sviluppi futuri dipenderà da questo. Non ci resta che stare alla finestra e guardare.