di Carlo Benedetti

Il vero, tragico ed apocalittico terremoto, colpì l'intera regione macedone il 26 luglio del 1963, con la capitale Skopje praticamente annullata dal sisma. I morti furono centinaia di migliaia. Ma anche le vicende storiche che sono poi seguite - caratterizzate da fantasmi nazionalistici, ideologici e religiosi (i cristiani ortodossi sono il 54,4% e i musulmani sunniti il 29,9%) - hanno sempre ferito il paese sconvolgendone il tessuto sociale ed accelerando, spesso, la discesa verso il caos. Ora la Macedonia - dopo lo "strappo" del Montenegro - si ripropone al centro dell'attenzione perché annuncia un voto che potrebbe aprire nuovi scenari geopolitici e geostrategici. L'appuntamento - come ha reso noto il presidente del parlamento Ljupco Jordanovski - è fissato per il prossimo 5 luglio. Una consultazione anticipata decisa al termine di lunghe consultazioni fra maggioranza ed opposizione. Su tutta la vicenda pesano ora come macigni le difficoltà interne del Paese e una serie d'aspetti internazionali. Perché la Macedonia non ha ancora uno status particolare (ci fu molti anni fa ad Atene in un incontro-lampo tra Milosevic, presidente della Yugoslavia e il primo ministro greco Andreas Papandreu, durante il quale fu lanciata l'idea di una "confederazione" tra Serbia, Grecia e Skopje...) e non gode di ampi riconoscimenti diplomatici, pur se gli americani ne sponsorizzano da tempo il governo. La vicenda macedone si ripropone così nella sua complessità anche in questa consultazione elettorale che vede impegnati partiti di varia estrazione e con radici complesse: si va dai nazionalisti locali (che denunciano la pratica di una energica campagna di serbizzazione) ed albanesi, alle formazioni che si sentono vicine alla guerriglia dell'Uck che segnò, negli anni passati, pagine nere relative agli scontri tra serbi e kosovari. Ma ora le elezioni di luglio hanno anche un'appendice ad Atene. La Grecia confinante, infatti, non ha mai riconosciuto la realtà di una Macedonia autonoma, indipendente e repubblicana. Continua a considerare questo Paese come una "sua" entità, un tutt'uno senza le differenziazioni di Macedonia bulgara o di Macedonia jugoslava. Paese greco, quindi - come ricorda a Salonicco, capoluogo della Macedonia greca, un museo storico dedicato alla esaltazione della grecità macedone - con il quale si era stabilito, sin dagli anni della Yugoslavia di Tito, un rapporto di pace fredda. Dove la Republika Makedonija era considerata come uno stato della Penisola Balcanica nell'ambito della Federazione di Belgrado. Con il dialetto slavo che, parlato dai suoi abitanti e contaminato da elementi bulgari, fu elevato a rango di lingua nazionale. Skopje è restata in questa Yugoslavia fino al 1991 quando, a seguito del processo di smembramento della nazione, ha proclamato la sua indipendenza. Ma il riconoscimento da parte dell'ONU è venuto solo nel 1993, con il nome - abbastanza singolare - di "Repubblica ex yugoslava di Macedonia" (FYROM, nella sigla adottata internazionalmente). Una definizione diplomatica, de facto. Ma che ha lasciato aperte le controversie di carattere internazionale. Va, infatti, ricordato che nel '91, quando il Paese cominciò la sua nuova strada istituzionale, Atene sostenne l'illegittimità della denominazione. E comunque il primo stato macedone indipendente fu sancito da un referendum e fu subito approvato da paesi come Russia, Bulgaria e Turchia. Mentre la Grecia accettò di riconoscere Skopje esigendo nuovi negoziati per risolvere la questione della "dicitura". Ma nonostante i tanti processi distensivi, la nazione macedone è stata (ed è) considerata come un elemento di disturbo.

Altro momento significativo riguarda poi quel settembre del 1995 quando ci fu un processo distensivo: l'embargo greco nei confronti di Skopje venne rimosso in seguito alla firma di un trattato con Atene. I due paesi, allora, si impegnarono a rispettare le reciproche sovranità. Poi la Macedonia fu ammessa al Consiglio d'Europa e nell'Osce. Nel 1996 nella repubblica venne dispiegata una forza di pace dell'Onu che, stanziata ai confini con la provincia serba a maggioranza albanese, tenne testa al fronte con il Kosovo. Ed è stato in questo periodo che la Macedonia è restata coinvolta in un forte conflitto causato dalla comparsa di movimenti indipendentisti albanesi che sostenevano la riunificazione della nazione in una "Grande Albania". Ne seguì un nuovo e duro periodo di sconvolgimenti interni che si produssero - a livello yugoslavo - in concomitanza con l'inizio della guerra della Nato contro la Serbia. E la Macedonia si trovò nel mezzo del nuovo conflitto balcanico. Fu obbligata ad accettare le truppe della Nato sul suo territorio chiedendo però che non vi fossero azioni militari contro la Serbia. Le operazioni successive furono quelle della lotta contro le formazioni dei ribelli albanesi dell'Uck e l'arrivo, nell'agosto 2001, di un contingente di 3500 soldati Onu incaricati della raccolta delle armi illegali (oltre mezzo milione secondo autorevoli fonti militari) nel quadro di una operazione chiamata Essential harvest. Quindi nel marzo 2003 le forze delle Nazioni Unite vennero sostituite da un contingente dell'Unione Europea. Da quel momento l'Albania, pur riconoscendo lo Stato e la nazione macedone, ha messo in chiaro che l'assenso è subordinato allo status delle consistente minoranza albanese in Macedonia. La Bulgaria, invece, ha riconosciuto lo Stato, ma si è categoricamente rifiutata di ammettere l'esistenza di una legittima nazione macedone anche per paura di incoraggiare le tendenze secessioniste fra gli abitanti della Macedonia bulgara: molti dei quali, tra l'altro, hanno rifiutato l'identità bulgara, optando invece per quella macedone.

Esiste, quindi, una "questione macedone". Tenendo conto soprattutto del fatto che fin dal gennaio 1992, mediante referendum autoconvocato, gli albanesi si sono pronunciati a favore di una forte autonomia amministrativa e nell'aprile successivo hanno proclamato una loro Repubblica Autonoma dell'Illiria, chiedendo, allo stesso tempo la suddivisione della regione in cantoni federati. Le rivendicazioni albanesi, rilevanti sotto il profilo interno, sono espressione di un più ampio movimento autonomistico che include anche gli Albanesi del Kosovo e si riconosce nel disegno comune della Grande Albania. Altrettanto ricca d'implicazioni è la presenza dei Serbi, che rappresentano soltanto il 2% della popolazione, concentrati nella regione nord-orientale del Paese. Più numerosa di quella serba, anche se meno attiva e priva di compattezza territoriale, è poi la minoranza turca che rappresenta il 3,9% della popolazione complessiva. Diminuita è, invece, la consistenza degli zingari. Sostanzialmente stabile è poi, negli ultimi anni, il numero degli Aromuni (popolazione di lingua romena e di religione ortodossa), che rappresentano una percentuale minima, mentre nel primo dopoguerra erano almeno centomila. Il voto del prossimo luglio annuncia una battaglia elettorale che ricorderà a tutti l'esistenza di contrasti etnici ed istituzionali che si credevano assopiti. Si torna già a riferirsi a quelle dichiarazioni del novembre 1961, quando l'allora primo ministro della Repubblica popolare di Macedonia, Grlickov, denunciava l'esistenza in Grecia di una minoranza macedone oppressa. E si ritirano fuori le accuse contro quelli che vengono ancora definiti come "slavocomunisti", servi di Belgrado. Terremoto annunciato, quindi? Tutto avviene anche all'ombra di quel brutto ricordo del Il 14 febbraio 1992 quando a Salonicco, in Grecia, si svolse una grande manifestazione panellenica per "condannare gli usurpatori di Skopje e i loro manutengoli interni ed esteri". Una brutta storia che caratterizza ancora molti stati d'animo. Una cosa è certa ed è che "questa" realtà macedone è ancora in vorticosa trasformazione. Nelle urne ci saranno anche i voti dei grandi elettori lontani; di Atene, in primo luogo, e di Sofia.

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