di Fabrizio Casari

Tutto come nelle previsioni, percentuali comprese. La vittoria di Alvaro Uribe nelle elezioni presidenziali in Colombia non ha rappresentato una novità nel quadro politico colombiano né, più in generale, in quello latinoamericano. E' il secondo mandato presidenziale quello che ha avuto ieri l'inossidabile amico di Washington, che ha potuto ricandidarsi solo grazie ad un emendamento alla Costituzione che si era regalato con la complicità del Congresso durante il primo mandato. Solo Raphael Nunez, nel 1892, aveva governato il Paese latino per due mandati successivi. Il cinquantatreenne pupillo della Casa Bianca e dei paramilitari di destra, appena confermato, ha detto di voler tendere ad <<una democrazia moderna, con sicurezza democratica, con libertà, trasparenza e rispetto>> aggiungendo di voler lavorare <<per la costruzione di una nazione pluralista, multicolore, in un dibattito permanente ma in una permanente costruzione di consenso>>. Doveva essere ebro di vittoria il riconfermato presidente, perché il suo primo mandato si è caratterizzato proprio per una politica che ha letteralmente abbandonato l'idea della costruzione del consenso in ragione dell'affermazione dell'autoritarismo.

A fare da contraltare all'assoluta assenza delle politiche sociali, nella stretta osservanza monetarista, è stata la determinazione oltre ogni garanzia democratica nella lotta alle organizzazioni guerrigliere, che ha comportato una gestione della vita democratica colombiana schiacciata sulle esigenze di "sicurezza nazionale". Come in ogni replica locale del monetarismo globale, la macroeconomia è cresciuta a scapito della distribuzione della ricchezza, che resta gelosa prerogativa di pochi, mentre i debiti che porta con sé vengono democraticamente spalmati sui tanti. Come spesso accade, quando la "lotta al terrorismo" diventa il primo obbiettivo dei governi filo statunitensi, il prezzo più alto lo pagano le opposizioni tutte e le garanzie democratiche. Non è un caso che l'opposizione, guidata da Cesar Gavirìa, ha raccolto un successo notevole, pur in presenza di un clima elettorale contrassegnato da violenze e minacce ai candidati ed ai sostenitori dell'opposizione.

Con Uribe ha dunque vinto la continuità con la storia di un paese ostaggio di narcos, guerriglie e ingerenze statunitensi: egli infatti è stato ed è, in primo luogo, il garante degli equilibri interni alla Colombia, quegli equilibri che assegnano ai militari ed alle elites al governo un ruolo preponderante nella vita del paese. Della strombazzata campagna di disarmo e pacificazione è rimasto solo il patto d'acciaio con le AUC (Autodefensa Unida de Colombia), i paramilitari che, con la scusa di contrastare in armi la guerriglia, hanno insanguinato la Colombia intera e terrorizzato gli oppositori. Vestiti da militari hanno operato come squadroni della morte al comando del loro capo, Salvatore Mancuso, assassino di chiare origini italiane circa due anni fa omaggiato al Parlamento Europeo. Molti dei loro massacri venivano imputati alle formazioni guerrigliere colombiane e la proposta di disarmo di Uribe ha avvantaggiato soprattutto loro, gravando seriamente sulle finanze del paese; il tutto attraverso decreti legislativi fortemente anticostituzionali. Si è trattato di una sorta di buonuscita per i massacratori, che compivano le azioni che l'esercito non poteva e non doveva compiere. Il braccio destro che faceva quello che non poteva fare il sinistro.

Ma Uribe è in primo luogo il garante degli interessi di Washington nell'area. Continua a sostenere - unico nella regione - la giustezza del Plan Colombia, (il piano formulato nel 1998 dal governo colombiano di Pastrana, disegnato dagli Stati Uniti nel 1999 e finanziato dagli stessi con 3.200 milioni di dollari, che prevede la presenza di migliaia di militari statunitensi al confine tra Colombia, Venezuela e Brasile ndr) , ma è rimasto l'unico amico degli Stati Uniti nella regione del Cono sud. Primo ed entusiasta firmatario del TLC, il Trattato di libero commercio con gli Usa, nonostante la forte opposizione di ampi settori della società colombiana, che denuncia come il TLC risulti essere lo strumento per il controllo delle economie latinoamericane direttamente da Washington e segni, indubbiamente, sia un impoverimento dell'economia nazionale, sia un coefficiente ulteriore di difficoltà per lo sviluppo del Mercosur, l'alleanza economica latinoamericana che lavora ad una integrazione economica regionale. In nome e per conto della Casa Bianca, tiene alto il livello di belligeranza con il Venezuela chavista, pur dicendosi disponibile ad un dialogo costruttivo con Caracas. Adesso al pupillo di Washington non restano altre strade che non siano quelle per le quali è stato indicato dall'oligarchia locale ad obbedienza statunitense. Ma l'opposizione ha visto un successo che non potrà non pesare sugli equilibri interni del paese: piaccia o non piaccia alle elites dei quartieri alti, si preparano scene da lotta di classe a Bogotà.

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