di Elena Ferrara

I “dalit” agitano l’India. Sono circa 200 milioni e rappresentano il 17% della popolazione. Scendono in piazza, protestano e lanciano la loro sfida pacifica al potere di Delhi. Stanchi di essere discriminati, offesi, umiliati, repressi. Sono i cristiani dell’India - la categoria più in basso nel sistema castale - e vengono sempre più penalizzati per la loro fede religiosa. La situazione è ad un alto livello di conflittualità e si rischiano nuove e forti rivolte di massa.

Esclusi dal mondo del lavoro e dalle attività sociali, i “dalit” registrano ogni giorno il peso delle discriminazioni: i loro bambini, a scuola, devono sedersi in fondo alla classe e sono trattati senza rispetto da insegnanti e compagni. Le loro baracche e abitazioni vengono speso distrutte o bruciate. Sono oggetto di aggressioni, insulti e propaganda razzista. E nonostante la legge punisca le affermazioni razziste, nessun giornale o politico è mai stato condannato per aver seminato odio contro di loro.

Le donne, quando restano sole, sono oggetto di violenze o stupri. La gente non stringe la mano a questa “minoranza” indiana né gli consente di mangiare o di comprare oggetti di uso domestico. Anche nei templi indiani si attua la discriminazione, vietando l'ingresso ai “dalit” e i sacerdoti chiamano la polizia quando li vedono mendicare nei pressi dei luoghi di culto. Il 66% dei “dalit” sono analfabeti. La loro mortalità infantile è la più alta fra tutti i gruppi etnici o sociali dell'India, mentre la speranza di vita media è la più bassa. Quando è concesso loro di lavorare, vengono costretti a condizioni di semi-schiavitù. Le istituzioni non forniscono acqua, servizi igienici, corrente elettrica, assistenza sociale. Questa è la realtà.

Intanto monta la protesta. A Chennai (capoluogo dello Stato del Tamil Nadu) una pacifica marcia a sostegno dei diritti dei “dalit” è degenerata nei giorni scorsi nell'arresto, per alcune ore, di centinaia di cristiani, tra cui tre presuli cattolici. La marcia aveva preso le mosse il 10 febbraio dalla città di Kanyakumari e in varie tappe, lungo un percorso di ben ottocento chilometri, era approdata a Chennai (città culla della cristianità indiana) dove ai manifestanti si erano uniti i membri della comunità locale.

L'iniziativa – che ha visto l'adesione di migliaia di persone – ha avuto come obiettivo quello di  sensibilizzare le autorità statali sulle discriminazioni subite dai cosiddetti "fuori casta". Ma quando il corteo si è snodato per le vie di Chennai, la polizia ha reagito compiendo numerosi fermi. Tra questi, anche vari prelati cattolici. In un comunicato della “Catholic Bishop's Conference of India (Cbci)” si sottolinea che "questo è il modo con il quale il governo del Tamil Nadu e quello centrale rispondono alle legittime e democratiche istanze di pace e di amore della comunità cristiana".

La questione dei “dalit” è ora al centro dell'assemblea della Cbci a Guwahati. La marcia, si sottolinea, era un'iniziativa annunciata da tempo e, proprio per questo, conosciuta da parte delle autorità e le forze dell'ordine. I leader della comunità cristiana hanno aperto un'indagine su quanto avvenuto evidenziando che, nonostante gli arresti, continueranno a sostenere i diritti dei “dalit”. La lotta per l’affermazione dei diritti, comunque, si fa sempre più difficile e complessa. Si registrano ritardi nell'iter di approvazione di un provvedimento legislativo che consenta un uguale trattamento tra i “dalit” delle varie minoranze presenti nel Paese. Ai "fuori casta" cristiani e musulmani, per esempio, è tuttora inibito l'accesso al lavoro e ai servizi di base, concesso invece ai “dalit” indù; oppure i “dalit” che si convertono al cristianesimo o all'islam perdono ogni diritto goduto in precedenza.

In pratica, i “dalit” cristiani e musulmani chiedono al governo centrale di cancellare il terzo paragrafo del “Constitution Scheduled Castes Order” del 1950, che concede lo status e i diritti previsti per i fuori casta solo a indù, buddisti e sikh. Peraltro, la commissione nazionale per le minoranze linguistiche e religiose ha definito la norma discriminatoria e contraria ai dettami della Costituzione. In occasione delle celebrazioni per il 60° anniversario della proclamazione della Repubblica e dell'entrata in vigore della Costituzione, avvenuti il 26 gennaio 1950, il presidente della Cbci, il cardinale arcivescovo di Bombay, Oswald Gracias, aveva affermato: "In India, la Chiesa cattolica è sempre stata al servizio della nazione per realizzare il bene comune. Dopo lo Stato, la Chiesa è la principale istituzione che provvede all'istruzione per formare persone che possano dare un effettivo contributo alla società e al Paese. I cattolici sono promotori del dialogo per costruire ponti di comprensione, fiducia e armonia tra persone di ogni casta, credo politico e religioso e appartenenza etnica".

Intanto, nei giorni scorsi a Sagar, nel Madhya Pradesh, si è svolta un'altra manifestazione di sostegno per i diritti delle donne, alla quale, fra gli altri, ha partecipato un gruppo di religiose. In particolare, la protesta verteva sull'esigenza di migliorare l'accesso al sistema scolastico. Anche se il governo indiano ha espresso un forte impegno verso l'istruzione a favore di tutti, senza distinzioni tra sessi, il Paese risulta ancora tra quelli con l'indice di analfabetizzazione più alto tra le donne.

Per quanto riguarda infine l’aspetto prettamente politico della questione “dalit”, va ricordato che esiste un’organizzazione che fu fondata nel 1970 da Kanshi Ram, il “Messia degli intoccabili”, e cioè la “All India Backward and Minority Employess Federation”, dalla quale è poi scaturito un partito che ha dato ai “dalit” la possibilità di alzare la voce nei confonti di Delhi. Ed è chiaro che oggi, nel momento in cui monta la protesta, l’intera questione della “minoranza” diviene un fatto nazionale destinato, forse, a sconvolgere il sistema castale, scatenando un serrato confronto a livello politico.


 

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