di Michele Paris

Quasi in contemporanea con il rilascio a Washington delle prime licenze di matrimonio a coppie dello stesso sesso che intendono sposarsi nella capitale statunitense, la principale città messicana si è proiettata all’avanguardia nella lotta per i diritti degli omosessuali in America Latina. In un paese profondamente cattolico e guidato da un governo centrale conservatore, l’amministrazione del distretto federale della capitale, Città del Messico, a partire da giovedì 4 marzo ha iniziato infatti ad applicare una nuova legge che legalizza i matrimoni e le adozioni per le coppie gay.

La costituzione del Messico garantisce ampi poteri ai singoli stati - e, appunto, al distretto federale della capitale - per legiferare autonomamente su molte questioni. Sfruttando tale facoltà, l’Assemblea Legislativa della metropoli centro-americana, controllata dal Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) di centro-sinistra, lo scorso dicembre aveva approvato a larga maggioranza la nuova legge che permette i matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Di fronte alle proteste impotenti degli esponenti del partito del presidente Felipe Calderón (Partito d’Azione Nazionale, PAN), il sindaco Marcelo Ebrard ha così ratificato un provvedimento che ha trasformato la sua città nella prima giurisdizione dell’America Latina a consentire per legge i matrimoni gay. Nonostante la portata territorialmente limitata, la legge rappresenta una grande vittoria non solo simbolica per quanti si battono per i diritti civili, dal momento che, oltre ad essere la capitale federale, Città del Messico ospita quasi il dieci per cento della popolazione totale del paese.

Che questa città di dieci milioni di abitanti sia diventata il simbolo di una battaglia culturale in corso più o meno silenziosamente in tutto il continente non è un caso. Già nel 2007, infatti, il distretto federale della capitale aveva introdotto il riconoscimento delle unioni civili omosessuali. Allo stesso modo, recentemente sono state approvate leggi che hanno legalizzato il cosiddetto divorzio “no-fault” (senza colpa né motivazioni), l’aborto durante i primi tre mesi di gravidanza e la possibilità per i malati terminali di rifiutare le cure mediche.

Tutti successi importanti per il partito di opposizione che nelle elezioni del 2006 aveva sfiorato la presidenza con il suo leader, Manuel López Obrador, ma che sono giunti solo dopo una lunga battaglia contro il tradizionalismo cattolico che domina in gran parte del paese al di fuori della capitale. “È un attacco alla famiglia”, ha tuonato infatti il cardinale di Città Messico, Norberto Rivera, aggiungendo che questa misura “perversa” infliggerà pesanti danni psicologici a “bambini innocenti”. “La Costituzione della repubblica parla esplicitamente di matrimonio tra un uomo e una donna” gli ha fatto eco il devotissimo presidente Calderón.

Prima di ottenere il via libera definitivo, la legge sui matrimoni gay aveva dovuto passare attraverso una sentenza della Corte Suprema messicana. Alcuni governatori appartenenti al PAN si erano infatti appellati al tribunale costituzionale, sostenendo che il provvedimento adottato dalla capitale avrebbe costretto i loro stati a riconoscere i matrimoni gay. Ai primi di febbraio, tuttavia, la Corte ha respinto il ricorso, in quanto un governatore non possiede l’autorità per appellarsi contro le leggi emanate da un altro stato o dal distretto federale. Pendente di fronte alla Corte Suprema rimane ora un’istanza simile, presentata dal Ministro della Giustizia messicano.

Secondo i sostenitori del provvedimento, in ogni caso, le reazioni negative sono state limitate in gran parte all’ambiente politico e alle gerarchie ecclesiastiche. Nessuna protesta significativa pare essere giunta finora dai cittadini. Nonostante a Città del Messico ci sia la possibilità di ricorrere a unioni civili tra persone dello stesso sesso da quasi tre anni, solo il matrimonio può garantire alcuni diritti fondamentali, come quelli legati alla proprietà e alla custodia del partner.

Il timore maggiore, ora, è che l’introduzione della nuova legge nella capitale possa produrre una reazione contraria nel resto del paese. Come fanno notare alcuni attivisti per i diritti civili, infatti, quando il distretto federale di Città del Messico legalizzò l’aborto, qualche stato modificò la propria costituzione, stabilendo l’inizio della vita al momento del concepimento. Analogamente, alcuni governatori del PAN hanno già promesso iniziative simili, volte a limitare gli effetti della legge sui matrimoni gay nei territori da loro amministrati.

L’opinione pubblica nella capitale, d’altra parte, non sembra essersi particolarmente risentita. Se anche il partito del presidente Calderón ha stimato che la metà degli abitanti di Città del Messico sia contraria ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, e quasi i tre quarti alle adozioni, altri sondaggi indipendenti presentano uno scenario differente. Secondo l’autorevole quotidiano El Universal, ad esempio, il 50% dei residenti della metropoli messicana sarebbe a favore dei matrimoni, contro un 38% di contrari. La percentuale di favorevoli risulta poi notevolmente superiore tra gli abitanti di età compresa tra i 18 e i 39 anni.

Se Città del Messico è dunque il primo luogo, e finora l’unico, in tutta l’America Latina ad essersi spinto così avanti nell’ambito dei diritti degli omosessuali, qualche segnale altrove nel continente era già emerso negli ultimi mesi. Il 23 febbraio scorso, un giudice di Buenos Aires nel corso di un’udienza ha invitato una coppia gay a fissare liberamente la data del matrimonio, nonostante la legge argentina non lo preveda. A fine dicembre, invece, due uomini che si erano visti rifiutare la licenza di matrimonio sempre a Buenos Aires hanno potuto celebrare le nozze nella Terra del Fuoco, diventando di fatto la prima coppia gay in l’America Latina a potersi sposare legalmente.

Discorso differente per le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Oltre a Città del Messico, questa forma di unione, che esclude comunque una serie di diritti civili, è attualmente riconosciuta anche in Argentina, Brasile, Colombia, Ecuador e Uruguay.

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