di Elena Ferrara

Dagli Usa la Casa Bianca annuncia che il presidente Barack Obama incontrerà il 16 febbraio, negli Usa, il Dalai Lama: e subito - e non è che l’inizio - esplode la tensione tra Washington e Pechino. Hu Jintao lancia un monito: “Il nostro governo è risolutamente contrario a qualsiasi contatto tra il presidente degli Stati Uniti e il Dalai Lama con qualsiasi pretesto e in qualsiasi forma". E mentre i canali diplomatici entrano in fibrillazione, il  portavoce del ministero degli Esteri cinese, Ma Zhaoxu - dalle colonne del China daily - ricorda che nell'incontro con Obama del novembre scorso Hu aveva ribadito "la rigida posizione della Cina contraria a qualsiasi incontro di esponenti e funzionari del Governo" con il leader tibetano.

"Esortiamo ora gli Stati Uniti - sottolinea il portavoce cinese - a comprendere in pieno la gravità della questione tibetana e ad affrontare in modo prudente e appropriato ciò che ne consegue, evitando di arrecare ulteriori danni alle relazioni sino-americane". Il riferimento è all'annunciata vendita di armamenti statunitensi a Taiwan e alla polemica su Google e la censura su Internet che ha già portato Washington e Pechino ai ferri corti.

La situazione generale dei rapporti - come scrive il Time Asia - resta quindi bloccata. E a dare man forte al presidente cinese arrivano anche i massimi organismi del partito comunista. Prese di posizione e “minacce” che assumono il carattere di una vera campagna antiamericana. Zhu Weiqun, responsabile del partito per le etnie e gli affari religiosi ribadisce, in una conferenza stampa, che il governo del paese si opporrà con forza a un eventuale incontro tra Obama e il Dalai Lama e sostiene che "i rapporti tra il Governo centrale e il Dalai Lama sono una questione interna alla Cina. Ci opponiamo - dichiara - a qualsiasi tentativo di una forza straniera di interferire con le questioni interne cinesi usando come pretesto" il leader tibetano.

Dall’America così risponde il portavoce della Casa Bianca: "Il Dalai Lama è un leader culturale e religioso rispettato in tutto il mondo e il presidente Obama si incontrerà con lui in questa veste e dev'essere chiaro che noi, pur considerando il Tibet parte della Cina, abbiamo serie preoccupazioni nel campo dei diritti umani sul trattamento riservato ai tibetani. Sollecitiamo, di conseguenza, il Governo cinese a proteggere le tradizioni religiose e culturali del Tibet. Riteniamo le nostre relazioni con la Cina abbastanza mature per cercare di lavorare insieme sulle questioni di interesse comune, come il clima, l'economia globale, la non-proliferazione, affrontando nello stesso tempo in modo franco i problemi dove non siamo d'accordo".

Parole e dichiarazioni a parte, il fatto è che ormai  tutte le carte sono sul tavolo e i due giocatori non si risparmiano colpi. Sul tavolo delle contestazioni c’è ora anche l’inequità degli scambi con Pechino e la svalutazione artificiale della moneta cinese. “L’atteggiamento che dobbiamo adottare verso la Cina è di cercare di essere più decisi sul rispetto delle regole già esistenti”, dichiara il presidente ai deputati democratici a Washington. Obama - fa notare - ha aggiunto che gli squilibri nei tassi di cambio della valuta cinese “gonfiano in modo artificiale il prezzo dei nostri prodotti e abbassano in modo artificiale quello dei loro prodotti”. Ed è questa tutta benzina sul fuoco delle polemiche.

Intanto si accentuano i dissidi sugli scambi e sulle relazioni militari. Pechino risponde così alla decisione di Washington di vendere armamenti a Taiwan (per 6,4 miliardi di dollari) imponendo sanzioni alle aziende americane che riforniranno di armi l'isola. La decisione viene illustrata dal  portavoce del ministero della Difesa di Pechino, Huang Xueping, il quale sottolinea che i passi di Washington, "oltre a violare i tre comunicati congiunti tra Cina e Stati Uniti, in particolare quello del 17 agosto del 1982 con cui Washington si impegnava a ridurre gradualmente la sua vendita di armi a Taiwan, sono in contrasto anche con i principi della dichiarazione congiunta" emessa durante la visita in Cina del presidente americano Barack Obama nel novembre scorso.

"La decisione degli Stati Uniti - attacca il portavoce - mette seriamente a rischio la sicurezza nazionale cinese e danneggia gli interessi vitali della Cina. Il piano americano creerà seri problemi alle relazioni tra i due Paesi e tra le loro Forze armate e danneggerà la situazione generale della cooperazione tra Stati Uniti e Cina, la pace e la stabilità negli Stretti di Taiwan". Pechino, quindi, ribadendo la gravità della situazione non manca di far rilevare l’entità degli “aiuti” americani a Taiwan. E rende noto che sulla base delle indicazioni date dalla Defense security cooperation agency del Pentagono - il pacchetto riguarda la vendita di 60 elicotteri Black Hawk UH-60 (del valore di 3,1 miliardi di dollari), di 114 missili intercettatori Patriot a capacità avanzata PAC-3 (2,81 miliardi), equipaggiamento per le comunicazioni dei cacciabombardieri F-16 di Tapei (340 milioni), due cacciamine classe Osprey (105 milioni) e 12 missili antinave Harpoon (37 milioni). E così anche il viaggio del Dalai Lama diviene merce di scambio sul piano delle relazioni intergovernative tra Pechino E Washington.

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