di Carlo Benedetti

Mosca. In Ucraina il 7 febbraio si va al ballottagio per eleggere il nuovo presidente: si dovrà scegliere tra Viktor Janukovic (che nel primo turno del 18 gennaio ha toccato il 35% dei voti) e Julija Timoshenko (che si è attestata sul 25%). La situazione non è facile per nessuno dei due. Il pericolo maggiore è che si resti racchiusi nel ghetto di un passato segnato da quella “rivoluzione arancione” sponsorizzata dagli americani e da un personaggio come il megaspeculatore George Soros, che cerca di imporre le sue scelte - finanziarie ed ideologiche - sui territori dell’ex Unione Sovietica alimentando soprattutto uno scontro tra Kiev e Mosca.

Le due figure in ballo in questo ballottaggio, comunque, non vanno considerate come comparse nelle mani di burattinai che risiedono a Mosca o negli Usa. Janukovic ha un suo volto ben preciso. Si presenta come uomo forte, scattante e aggressivo. Vuole mantenere il Paese nel campo della completa autonomia - politica, economica e militare - senza nessuna concessione a quell’antirussismo che in Ucraina ha preso il posto dell’antisovietismo. E per portare avanti questa linea spinge l’acceleratore verso il futuro, senza però tagliare i ponti con la vecchia e forte struttura “sovietica” dell’intero Paese. E così le sue riserve si trovano in quelle fortezze operaie che confinano con la Russia.

Sul fronte opposto c’è la signora Timoshenko, una nazionalista “antirussa” quanto ad ideologia, ma “occidentalista” per quanto concerne l’economia. E’ impegnata nel mondo degli affari del gas e, quindi, legata a quelle oligarchie che, rivendicando il pieno controllo delle industrie, vorrebbero gestire le relazioni con l’ovest operando per costituire un loro vero e proprio governo parallelo capace di realizzare mostruose speculazioni.

Ed ecco che mentre a Kiev, nei corridoi del potere, si sente il rullo compressore d’un passato che non si da per vinto, avanzano le quotazioni di una terza forza che è però fuori dalle urne del prossimo ballottaggio. Ci riferiamo a Serghej Tighipko, che esprime interessi economici e sociali nonchè correnti di opinione. Si presenta sulla scena con un forte potere personale, ma con marcati tratti dispotici sino ad essere soprannominato un “Putin ucraino” carico di ambizioni. Saranno ora gli elettori a stabilire da che parte dovrà rivolgersi l’ago della bilancia politica.

Sin qui l’avventura ucraina, segnata da opzioni eminentemente politiche che, nell’area geografica del post-sovietismo, vengono  interpretate e guardate con occhi particolari. Perchè è la prima volta che dal crollo dell’Urss, in un paese coinvolto nella dissoluzione del sistema, nascono vere alternative politiche. Nessuna processione degli sconfitti, nessuna sfida all’ultimo sangue. Anzi: c’è stata e c’è una corsa verso il consolidamento di progetti riformisti e verso la creazione di una “società civile”. Perchè nell’Ucraina di oggi, ad esempio, i partiti esistono e si fanno sentire. Muovono le piazze  e si caratterizzano con precisi interventi a livello parlamentare. Editano giornali ed intervengono regolarmente nelle tribune televisive.

Non c’è - tanto per dirla tutta - quel peso del potere centrale che si sente a Mosca, dove il Cremlino dei due (Putin e Medvedev) detta l’ordine del giorno proibendo le diverse manifestazioni e le varie pulsioni. In Ucraina, tutto sommato, le travolgenti manifestazioni della “rivoluzione arancione” e gli scontri tra l’ala orientale e quella occidentale (Kharkov e Lvov tanto per fare i nomi delle città simbolo) non hanno bloccato il processo pluralista. E la situazione di questo momento sta a dimostrare che si è raggiunto un punto di non ritorno. Spetterà ora al nuovo voto stabilire i passi futuri del Paese.

 

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