di Michele Paris

In vista delle votazioni in alcuni stati americani per la carica di governatore e per le elezioni di medio termine al Congresso del prossimo anno, l’amministrazione Obama sempre più frequentemente sta prendendo una netta posizione in appoggio a questo o a quel candidato. Mentre molti esponenti democratici hanno criticato l’atteggiamento di un presidente che era giunto alla Casa Bianca con la promessa di superare una volta per tutte le manovre di parte, altri appoggiano fermamente una strategia tesa a convogliare le risorse economiche verso quei candidati con le maggiori possibilità di garantire il consolidamento del potere al partito di governo.

L’interventismo presidenziale si è rivelato in tutta la sua chiarezza solo poche settimane fa, quando il governatore dello stato di New York - David Paterson - è stato invitato a farsi da parte e a rinunciare a correre per la rielezione nell’autunno del 2010. Subentrato al dimissionario Eliot Spitzer lo scorso anno dopo che quest’ultimo era stato coinvolto in un giro di prostituzione, uno degli unici due governatori di colore in carica degli USA (l’altro è il democratico Deval Patrick, del Massachusetts) è da allora precipitato rapidamente nell’indice di gradimento tra gli elettori del proprio stato.

Dal momento che l’ancora molto popolare ex sindaco di New York Rudolph Giuliani pare essere pronto ad annunciare la sua candidatura alla carica di governatore, la presenza di Paterson rappresenterebbe per i democratici una sconfitta quasi certa. L’impopolarità del governatore in carica minaccerebbe inoltre di ripercuotersi in maniera negativa sugli altri candidati di New York, quelli cioè in corsa per un posto al Congresso, i quali hanno infatti chiesto a Obama di intervenire per convincere Paterson a rinunciare alla sua candidatura. L’abbandono di Paterson, il quale ha però finora promesso di non voler abbandonare la corsa, lascerebbe allora strada al ben più popolare Andrew Cuomo, attuale procuratore generale dello stato e figlio dell’ex governatore Mario Cuomo.

I collaboratori del presidente Obama hanno d’altra parte messo in campo da tempo precise strategie per promuovere e sostenere in tutti i modi possibili i candidati democratici più affidabili nella tornata elettorale del 2 novembre 2010 che stabilirà il rinnovo di tutta la Camera dei Rappresentanti, di 36 seggi al Senato ed eleggerà 38 governatori. Un obiettivo particolarmente importante, soprattutto alla luce del prossimo processo di ridefinizione dei distretti elettorali che assegnerà un ruolo di spicco proprio ai governatori dei 50 stati americani.

La strategia interventista della Casa Bianca è dovuta in gran parte al ruolo svolto in questo contesto dal capo di gabinetto, Rahm Emanuel, artefice principale dei trionfi democratici nelle elezioni di medio termine per il Congresso del 2006 nel ruolo di presidente del Comitato Democratico per la Campagna Elettorale. L’ex parlamentare dell’Illinois è infatti tuttora molto attivo nel modellare il quadro politico democratico, mantenendo rapporti regolari con il suo successore al coordinamento delle strategie elettorali del partito, il deputato Chris Van Hollen del Maryland.

Questa tattica così aggressiva da parte dell’amministrazione in carica, che ricorda per certi versi quella adottata dal principale consigliere politico di George W. Bush, Karl Rove, si è vista chiaramente almeno in altre due competizioni elettorali molto accese. In Pennsylvania, la Casa Bianca sta fornendo tutto il suo appoggio al senatore Arlen Specter, veterano repubblicano passato ai democratici qualche mese fa, una volta assodata l’impossibilità di venire rieletto dal suo vecchio partito. I dirigenti Democratici avevano infatti promesso a Specter il sostegno del presidente per convincerlo a saltare il fossato. Le previsioni per una facile riconquista del suo seggio al Senato appaiono tuttavia ancora complicate, dopo che il deputato Joe Sestak ha ignorato l’appello di Obama per rinunciare a correre nelle primarie.

I tentativi dei democratici di risolvere senza conflitti interni una competizione elettorale caratterizzata dall’appoggio presidenziale rischiano di naufragare poi anche in Colorado. Qui la nomina dell’ormai ex senatore Ken Salazar a Ministro degli Interni aveva spinto il governatore democratico Bill Ritter a nominare il semi-sconosciuto Michael Bennet come suo sostituto. Da Washington ci si era affrettati ad esprimere il proprio appoggio al neo-senatore che ha dimostrato da subito formidabili qualità nella raccolta di denaro tra gli elettori. Il sostegno della Casa Bianca a Bennet prevedeva una sua corsa in discesa verso l’elezione di novembre, fino a che il popolare ex parlamentare locale Andrew Romanoff non ha deciso di cimentarsi in una sfida nelle primarie che rischiano di divedere il campo democratico, favorendo i repubblicani.

Non sono però solo le vicende legate alle prossime elezioni ad aver visto l’amministrazione Obama intervenire nelle vicende locali del Partito Democratico. Obama e il suo entourage recentemente hanno infatti operato notevoli pressioni sui parlamentari locali del Massachusetts per approvare una risoluzione voluta dal defunto Ted Kennedy che ha dato facoltà al governatore di nominare immediatamente il suo successore al Senato degli Stati Uniti senza attendere l’elezione suppletiva di gennaio.

Dalla Casa Bianca, nonostante tutto, si fatica ad ammettere l’esistenza di una strategia generale. Il coinvolgimento del presidente deriverebbe piuttosto da quelle competizioni nelle quali i candidati democratici si trovano maggiormente in pericolo, come nel caso dello stato di New York, oppure dalla possibilità di sostenerne altri che fornirebbero garanzie, una volta eletti, di appoggiare incondizionatamente l’agenda di Obama.

Il bene del partito tuttavia non sempre sembra essere al centro delle strategie del presidente. Come in New Jersey, uno degli unici due stati (assieme alla Virginia) che eleggerà il nuovo governatore quest’anno, dove il democratico in carica Jon Corzine, nonostante risulti estremamente impopolare persino tra gli elettori del proprio partito e in netto svantaggio rispetto al candidato repubblicano, ha ottenuto il pieno sostegno della Casa Bianca.

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