di Raffaele Matteotti

Philip Claeys, un parlamentare belga, ha affermato al Parlamento Europeo che in Turchia non esistono i diritti umani. Nelle ultime settimane l'esercito turco affronta una nuova intifada curda che ha già provocato la morte di decine di persone. Circa un mese fa la Turchia ha rischiato il golpe, quando i militari hanno risposto a muso duro all'accusa fatta al generale Buyukanit, numero due militare turco in attesa di diventare il numero uno a giugno, di aver organizzato attentati per attribuirli ai curdi. Nonostante l'evidenza della cattura di ufficiali sulla scena di un attentato, alla fine sul banco degli accusati c'é andato il Procuratore di Van, incaricato dell'inchiesta, mentre gli ufficiali sono liberi e difficilmente subiranno conseguenze.
Nelle ultime settimane l'esercito turco ha quindi forzato la mano nella repressione fino a provocare la reazione di massa dei curdi, che sono scesi in piazza a migliaia. Manifestazioni molto partecipate hanno scosso la provincia curda, facendo parlare di intifada curda. La situazione è caotica e intreccia la messa a nudo del gioco sporco dell'esercito con la resistenza alla giustizia civile e all'opera di una commissione d'inchiesta parlamentare; mentre monta la ribellione, la repressione ha provocato un paio di stragi con centinaia di feriti e decine di morti, alcune delle quali difficilmente giustificabili come quelle di alcuni ottantenni curdi.
La situazione sul campo è caotica, e la rivolta alle recenti violenze è molto partecipata dalla popolazione, le grandi manifestazioni diventano sempre più spesso occasione di rappresaglie casuali, spari sulla folla ed esecuzioni brutali. In un paese democratico i militari dovrebbero dipendere dal potere politico e dovrebbero servire a difendere le vite dei cittadini, non certo ad ucciderli.

L'esercito controlla storicamente la politica turca, ponendosi come garante contro i nemici dello Stato, qualifica a turno rivestita dagli islamici e dai curdi, che hanno sostituito egregiamente l'antico nemico greco come fonte di legittimità necessaria ad un apparato militare elefantiaco in grado di bruciare miliardi di dollari. L'esercito turco giustifica infatti le sue dimensioni solo perché esiste il "problema curdo": da quando la Turchia ha stipulato la pace con la Grecia, solo la ribellione curda mantiene al centro dello scenario politico le forze armate di Ankara.
Come in altri teatri sembra esistere un interesse dei militari per il mantenimento dello stato di militarizzazione, così come appare evidente che gli stessi operano per fomentare i tumulti piuttosto che per favorire i timidi tentativi di normalizzazione, portati avanti con grande fatica dal governo civile sottoposto alle pressioni ansiogene della UE.
Mentre il leader curdo Ocalan continua la sua permanenza in carcere, l'esercito pare avere tutta l'intenzione di giocarsi una escalation della violenza nelle province curde, già ora capace di azzerare i recenti progressi nel confronto tra il governo e gli autonomisti. La politica ha capito e la parola d'ordine del "dialogo" con i curdi è diventata di nuovo "prima lo Stato".


La Turchia mette in pericolo la sua ammissione alla UE, posto che non sarebbe possibile ammettere nell'Unione una dittatura militare, o anche semplicemente un sistema politico dominato dalla casta in uniforme. Questa è da sempre il peggior peso all'ammissione della Turchia, che con l'ammissione alla UE deve necessariamente rinunciare agli storici atteggiamenti bellicosi con il vicinato e quindi ridimensionare la dimensione e l'ingombrante presenza del suo esercito. Una presenza che, storicamente, nella visione di Ataturk, è stata eletta garante dello Stato; che non rinuncia alla sua supremazia e non esita ad intimidire la politica con segnali espliciti, non riconoscendo alla giustizia la giurisdizione sui militari e rivendicando libertà di manovra contro il "nemico", che non è ovviamente un popolo, ma uno sparuto gruppo di "terroristi".

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