di Eugenio Roscini Vitali

A Kiev è tornato il sereno? Dopo tre mesi di crisi e il rischio di riportare il paese alle urne, la formazione politica del presidente Viktor Yushchenko, Nostra Ucraina (Ou-Psd), e il Blocco del premier Yulia Tymoshenko (ByuT) hanno riallacciato i rapporti e riformato la coalizione che all'indomani delle elezioni presidenziali del 21 novembre 2004 diede vita alla cosiddetta Rivoluzione Arancione. Più che di pace, per ora si può parlare di tregua, un accordo di non belligeranza che restituisce legittimità ad un governo in forte difficoltà ed è parte delle richieste del Fondo monetario internazionale (Fmi) che, in cambio di un assegno da 16,4 miliardi di dollari, ha chiesto stabilità politica e l’adozione di un’adeguata strategia anti-crisi. All’alleanza, che questa volta si chiamerà “Coalizione dell'Unità, stabilità e ordine nazionale”, prende parte anche il piccolo gruppo centrista del nuovo presidente della Rada, Volodymyr Litvin, una figura istituzionale che potrebbe mediare le forti tensioni che hanno caratterizzato lo scenario politico post-comunista. Per l’Ucraina l’iniezione di liquidità del Fmi potrebbe rappresentare l’ultima spiaggia, l’occasione per affrontare rapidamente una drammatica emergenza finanziaria ed evitare la bancarotta. Con una recessione che per il 2008 dovrebbe portare un calo del Pil del 6% e l'inflazione al 21%, le questioni sul tavolo sono tante: lavoro, debito pubblico, sanità, tutela dei diritti sociali, povertà diffusa, rapporti con la Russia e con l’Occidente e il rischio di rimanere al freddo e al buio, in pratica di fermare il paese. Il colosso energetico Gazprom pretende il saldo del debito pregresso entro il 31 dicembre, pena l'arresto delle forniture e la revisione delle tariffe, portandole dagli attuali 179,5 a 400 dollari per mille metri cubi; una cifra che rappresenta gli standard di mercato ma che in realtà è più del doppio del prezzo pagato oggi. Il debito verso la società russa è di 2,4 miliardi di dollari, una somma che la compagnia petrolifera nazionale, la Naftogaz Ukrainy, ha pagato solo in parte e che il ministro dell’Energia vorrebbe rifinanziare attraverso l’intervento di un pool di banche nazionali e straniere.

La crisi con la Russia è l’ennesimo atto di una querelle iniziata nel marzo 2005, quando Kiev sfida il Cremlino sul piano delle compensazioni per il passaggio dei tre gasdotti che rifornisce l’Europa occidentale e che rappresentano una buona fetta degli introiti di Gazprom. La mattina del primo gennaio 2006 la compagnia russa annuncia la chiusura dei rubinetti e le forniture, che rimangono sospese per tre giorni; riprendono solo grazie alle pressioni dei paesi europei sul Cremlino, che a sua volta accusa la Naftogaz di aver prelevato abusivamente 100 milioni di metri cubi di gas. In realtà, il 21 giugno 2002, Gazprom e Naftogaz Ukrainy firmarono un accordo decennale che per l’uso del gasdotto che attraversa il territorio ucraino prevede il pagamento di una somma che equivale al 15% del totale del combustibile trasportato, cifra che deve essere compensata con la fornitura di gas e servizi. Nell’agosto del 2004 Gazprom e Naftohaz stabiliscono che la tariffa del gas destinato all’Ucraina venga valutata di 1,09 dollari per mille metri cubi; la mancata revisione del prezzo per il 2006, che Mosca vuole inizialmente portare a 160 dollari per mille metri cubi, invalida però l’accordo; il 14 dicembre 2005 i russi propongono una tariffa di 1,74 dollari per mille metri cubi mentre la richiesta sul prezzo del gas fornito sale a 230 dollari, poi fissato a 179,5. Da qui la crisi e la chiusura dei rubinetti.

Per ora la neonata “Coalizione dell'Unità, stabilità e ordine nazionale” non ha ancora incassato il placet del presidente Yushchenko, che vuole prima definire le sfere di responsabilità e la suddivisione dei ruoli tra Capo dello Stato e premier. Oltre a contestare i rapporti con il Partito delle regioni (PR) di Viktor Janukovic, è proprio la questione sul rispetto delle competenze ad aver scatenato la crisi dell’estate scorsa. Per fare approvare le leggi che limitano i poteri del presidente in favore del premier, il Blocco Tymoshenko si era avvalso addirittura del determinante aiuto dei filo-russi di Janukovic, un fatto che Yushchenko ha definito “un golpe anticostituzionale” e che in vista delle prossime presidenziali (2009) lascia effettivamente pensare ad una cospirazione con Mosca.

La posizione del presidente non è certo delle più comode, soprattutto per la scarsa rappresentatività che ha Nuova Ucraina all’interno della Rada. Dalle elezioni del 2007, nel Parlamento sono presenti cinque partiti: il Partito delle regioni con 175 seggi, il Blocco Yulia Tymoshenko con 156, Nostra Ucraina con 72, i Comunisti con 27 e il Blocco Lytvyn con 20. C’è poi il problema dell’adesione all’Unione Europea e alla Nato, punti cardine della politica filo-occidentale intrapresa nel 2004 da Yushchenko. Per ora con Bruxelles c’è solo un accordo di associazione finalizzato ad approfondire le relazioni speciali con i paesi della Comunità e, nonostante il parere favorevole di alcuni membri, ci vorranno almeno 10 anni prima che Kiev aderisca all’Unione. Sulla Nato c’è invece la perplessità di molte nazioni, tra cui la Germania e la Francia, che condizionano l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica ai problemi legati all’adesione della Georgia. C’è poi una forte opposizione interna che secondo i sondaggi è rappresentata dal 53% della popolazione, contro il 32% di favorevoli. Per il momento l’entrata dei due paesi nella Nato è quindi da escludere, così come non è pensabile discutere lo status di candidati ufficiali.

Per ora in Ucraina la controrivoluzione si è presa una pausa: i due leader non hanno i numeri per andare avanti da soli e il rischio che i filo-russi di Janukovic approfittino delle elezioni anticipate sono alti. Yulia Tymoshenko e Viktor Yushchenko devono cercare quindi di fare fronte comune e mettere in opera quanto prima le misure anticrisi richieste Fmi. Certamente con Mosca e con Gazprom una soluzione verrà trovata, non fosse altro per le pressioni europee che dalla crisi non hanno nulla da guadagnare. Servono però decisioni rapide e sostenute da un fronte solido e compatto; alternative non ce ne sono, se non la bancarotta dell'ex-repubblica sovietica. Oggi l’Ucraina non è più un regime di polizia, com’era ai tempi di Leonid Kuchma, ma i giorni della proclamata Rivoluzione Arancione sono comunque lontani. Dire che è fallita significherebbe negare l’evidenza dei fatti, però non si può nemmeno negare che il nodo politico rimane legato alla concorrenza tra le due correnti filo-occidentali. La lotta per la leadership è quindi solo all’inizio e prima o poi a Kiev si assisterà ad un regolamento di conti: arbitro Vladimir Putin; terzo incomodo Viktor Janukovic.

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