di Eugenio Roscini Vitali

Sono decine di migliaia le persone che fuggono dal Nord Kivu, la turbolenta provincia orientale della Repubblica Democratica del Congo dove da alcuni mesi si è scatenato un sanguinoso confronto armato tra i guerriglieri del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), guidati dal deposto generale filo-ruandese Laurent Nkunda, e le forze armate congolesi (Fardc) del presidente Joseph Kabila. La gravità della situazione è tale che a poco più di un mese dalla sua nomina a comandante del contingente di pace Onu nella Repubblica Democratica del Congo (Monuc), il Generale spagnolo Vicente Diaz de Villegas ha rassegnato le sue dimissioni. Pur adducendo "motivi personali" alla sua scelta, subito dopo essere stato sostituito dal generale Ishmeel Ben Quartey, Diaz de Villegas avrebbe ufficiosamente dichiarato che dietro la sua decisione c’è la ferma convinzione che la comunità internazionale non ha i mezzi per impedire che i combattimenti si propaghino in tutta la regione, sia perché la Monuc non ha una chiara visione del quadro generale in cui è costretto ad operare sia perché il paese è in mano ad una leadership politicamente debole. Dietro le fila dei ribelli sembra infatti che ci sia la mano del Rwanda, paese amico degli Stati Uniti che da anni offrirebbe appoggio e ospitalità agli uomini di Nkunda. Di fronte all'avanzata dei ribelli l'esercito è già stato costretto ad abbandonare il campo militare di Rumbngabo (per la seconda volta in 15 giorni) e le località di Kalengera, Kibumba, Rubaya e Rutshuru, importante snodo stradale verso i confini con l’Uganda e il Rwanda. Mentre migliaia di civili fuggono dai colpi di mortaio che risuonano a tutte le ore del giorno, a Kiwanza, quartiere alla periferia di Rutshuru dove si trova anche una base della Monuc, i caschi blu rimangono chiusi nelle caserme, immobili di fronte al succedersi dei fatti.

Cento chilometri più a sud gli uomini di Nkunda avrebbero già circondato la capitale della provincia, Goma, che secondo alcune voci sarebbe ormai prossima al tracollo; qui i militari dell’Onu avrebbero addirittura aperto il fuoco contro i dimostranti che durante una manifestazioni di protesta avevano dato vita ad in fitto lancio di sassi contro la locale sede della missione. La tenuta del capoluogo appare particolarmente importante in quanto sarebbero migliaia gli sfollati che hanno trovato riparo a Kanyabayonga, Butembo e Kibati, villaggi a pochi chilometri da Goma.

Il 28 ottobre, durante la conferenza stampa trasmessa in videoconferenza da Kinshasa, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per il Congo, Alan Doss, ha spiegato che sul terreno la situazione sta cambiando di ora in ora: le Fardc starebbero rispondendo all’attacco dei guerriglieri fedeli a Laurent Nkunda e i caschi blu sarebbero intervenuti più volte; le Cndp punterebbero a consolidare le posizioni conquistate mentre altri centri abitati sarebbero sottoposti al rischio di attacchi e per questo a Monuc starebbe esercitato tutte le funzioni previste dal mandato, in particolar modo proteggere la popolazione civile.

In realtà la crisi è ormai incontrollabile e sia Doss che l’ex comandante Monuc, il generale senegalese Bubacar Gaye, sono stati accusati di non aver fatto abbastanza per implementare le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sul il disarmo dei gruppi ribelli presenti nel territorio, inclusi il Cndp e il Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr), le milizie hutu che si sono rifugiate nel Nord-Kivu dagli anni novanta, residuo delle vecchie truppe governative congolesi e delle milizie Interahamwe che nel 1994 si resero responsabili del Genocidio dei Tutsi ruandesi.

Il Nord Kivu, già teatro della Seconda guerra del Congo, conosciuta anche come Guerra mondiale africana (1998-2003), è da sempre stato una regione di frontiera, travagliata dalle violenze interetniche e dai colossali interessi legati alle risorse naturali. Per il controllo della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire), in particolare della zona orientale del paese, si sono affrontate otto nazioni africane e circa 25 gruppi armati, alcuni dei quali continuano ancora oggi ad essere attivi.

Dopo la fine conflitto il Nord Kivu è comunque rimasta una zona occupata dai gruppi ribelli stranieri, in particolar modo provenienti dal Rwanda, Burundi ed Uganda, e a periodi di relativa calma si sono susseguiti momenti di efferata violenza che hanno causato la fuga di migliaia di civili. Negli ultimi mesi la situazione è progressivamente peggiorata e gli scontri si sono trasformati in vere e proprie battaglie che hanno visto la partecipazione di combattenti provenienti da altri paesi.

Vista la portata dei successi ottenuti dal Cndp ed i mezzi usati sul campo sono in molti a pensare lo scontro non sia più una questione interna. I guerriglieri di Nkunda potrebbero godere infatti del supporti di militari stranieri e secondo il Fardc l’esercito ruandese sarebbe già intervenire negli scontri con l’uso di alcuni blindati che avrebbero aperto il fuoco dalle colline di Kasizi, località a ridosso della linea di confine tra Congo e Rwanda.

In quella che molti definiscono la peggiore crisi degli ultimi tre anni va poi registrata l’azione della missione Onu che secondo le testimonianze sarebbe entrata in azione soltanto in alcune occasioni. L’esercito congolese sarebbe quindi lasciato da solo a fronteggiare una situazione che lo vede in seria difficoltà: alle ritirate tattiche si uniscono le defezioni dei reparti in rotta e dei militari in fuga. Migliaia i civili coinvolti: due milioni secondo le autorità di Kinshasa, un milione e 300 mila secondo le organizzazioni umanitarie; sul numero dei morti e dei feriti non ci sono ancora notizie certe.

Dopo aver minacciato di prendere Goma, i ribelli hanno dichiarato un cessate il fuoco unilaterale che comunque non ha fermato le ostilità e nel capoluogo del Nord Kivu, diviso dalla città ruandese di Gisenyi dal solo posto di frontiera, la situazione è confusa. I ribelli sarebbero arrivati a ridosso della periferia nord della città e nella zona est, quella dove sorge l’aeroporto internazionale, si registrerebbe la presenza degli uomini del Cndp, mentre i militari governativi, ormai in fuga, si lascerebbero dietro una lunga scia di saccheggi.

In Nord Kivu si respira un clima di estrema tensione e se nei prossimi giorni la Monuc non deciderà di intervenire la provincia potrebbe essere inghiottita dal panico: per dare un’idea della situazione, alla sola notizia che la guerriglia era entrata a Goma, dai due campi per profughi interni organizzati a Kibati sarebbero fuggite 45 mila persone. A questo punto è evidente che gli appelli e le condanne del Segretario Generale dell’Onu, Ban ki-moon, non sono più sufficienti; per evitare che il Nord Kivu si trasformi in un nuovo Rwanda la comunità dovrà fare qualcosa di più di una dichiarazione d'intenti.

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