di Carlo Benedetti

La "rivoluzione arancione" promossa da Viktor Yushenko e sponsorizzata dagli americani doveva essere "un modello per tutto l'Est". Era stata paragonata al crollo del muro di Berlino. Aveva avuto la benedizione della Casa Bianca e di Giovanni Paolo II. In suo soccorso si erano precipitati il miliardario Soros e il drammaturgo Havel. Si erano mobilitate le banche tedesche e le centrali spionistiche della Cia e della Rand Corporation. Non è andata come previsto. Gli "arancioni" si sono scannati. Il sistema da loro prodotto si è frantumato tra mafie e clan, scandali e intrallazzi. Una sorta d'assalto alla diligenza di Kiev con in testa la "bella e affascinante" Julia Timoshenko, ricchissima imprenditrice ucraina che, nell'arco d'alcuni mesi, era riuscita a diventare multimiliardaria (citiamo dall'inglese The Guardian del novembre 2004).
Ed ora, crollato Yushenko, si torna a scoprire che il tanto bistrattato Viktor Yanukovich - presentato come "uomo di Mosca", "agente di una potenza straniera", "filorusso" e "filosovietico"- è stato il dominatore di questa campagna elettorale, combattuta con i grandi mezzi forniti agli "arancioni" dagli amici americani e, in particolare, dalla potente lobby ucraina presente negli Usa.
Sin qui i fatti. Ma è anche vero che l'Ucraina, dopo il voto dei giorni scorsi, torna a vivere il dramma di una nuova e più complessa transizione mentre s'intravedono - studiando con attenzione i dettagli dell'avvenuta consultazione - i marosi di nuove polemiche. Perché il teatro politico attuale è sconvolto: da un lato si registrano ombre e rovine, dall'altro soffiano i venti della rivincita. Eppure è azzardato utilizzare termini generici per valutare l'accaduto. E, tra l'altro, non si possono privilegiare, nell'analisi, particolari istituzioni e raggruppamenti. E' accaduto, infatti, un qualcosa d'epocale. Una sorta d'imprevisto in corso d'opera.

Tutto è stato falsato - quanto ad immagine esterna - da quella valanga di certezze che gli ambienti "occidentali" (interni ed esterni) avevano avvalorato sostenendo la candidatura di Yushenko, leader e simbolo di quella "Rivoluzione arancione" che nel 2004 aveva portato Kiev ad un'occidentalizzazione forzata. Allora fu l'euforia - in una situazione di confusione sociale - a prendere il sopravvento. E non si comprese che la "democrazia" tanto propagandata doveva essere intesa come "cultura sociale" prima che "sistema politico". Yushenko, aiutato dalla rampante Julia, si presentò come il padre fondatore di una nuova
Ucraina, libera dal post-sovietismo e capace, in termini di realpolitik, di entrare in Europa e nell'Occidente grazie alle piazze festanti e all'appoggio di George W.Bush.

Ora il risultato attuale (la maggioranza è andata a Yanukovich che rappresenta il "Partito delle regioni") non lascia dubbi sulla nuova realtà. Si evidenzia non tanto una "rivincita" quanto una nuova presa di coscienza dell'identità ucraina. Non sono in ballo - tanto per essere chiari - problemi relativi ad una natura "filorussa" dell'Ucraina. La questione è molto più complessa proprio perché impone un ridimensionamento dell'ondata "arancione". Gli ucraini sembrano aver compreso che la portata di quella "rivoluzione" conduceva su una strada completamente errata: portava il Paese nel campo occidentale che spingeva Kiev ad allontanarsi dalle sue radici storiche. In ballo non è, quindi, il sentirsi "filorussi", ma il venirsi a trovare in una terra incognita. Dove, tra l'altro, a dettare le regole del gioco sarebbero gli estremisti dell'Occidente, i fautori del capitalismo selvaggio, gli animatori di quelle privatizzazioni favorevoli alle banche e alle industrie dell'Ovest. E in questo contesto non va dimenticato quel fattore storico, che pure nel periodo sovietico fu sempre messo a tacere. E cioè che l'Ucraina occidentale(quella che, per esprimerci in estrema sintesi, si è sempre mostrata a favore di Yushenko) è una realtà che non è mai stata favorevole all'unità slava. Perché l'area dei Carpazi - ricordiamolo - è stata quella più a rischio, quanto a nazionalismo e spinte d'estrema destra. E dove, soprattutto nelle zone della Rutenia, operarono, negli anni della guerra e dell'immediato periodo sovietico,formazioni paramilitari denominate "Banderovzi" dal nome del loro capo, il fascista Bandera (1908-1959).

Furono appunto questi uomini - formatisi nello spirito di un antisovietismo basato sul nazionalismo e sul fascismo - che sostennero sempre le ragioni dei tedeschi appoggiando gli invasori nazisti. E proprio queste formazioni hanno operato - nel periodo dell'Urss - in clandestinità, avendo come scopo quello di tener vivo il nazionalismo locale, decisamente antirusso e segnato anche da spinte autonome nei confronti di Kiev. La base dei "Banderovzi" è stata (ed è) quella cittadina di Lviv (Lvov in russo, Leopoli in italiano) che, nella prima guerra mondiale, rivestì un ruolo strategico fondamentale e che venne conquistata e poi perduta dall´esercito russo dopo aspre battaglie. Al termine della guerra, nel 1920, fu assegnata alla Polonia, ma all´inizio della seconda guerra mondiale fu riconquistata dalle truppe sovietiche. Poi, dopo un periodo d'occupazione tedesca, nel 1945, a seguito del trattato di Potsdam, entrò a far parte dell´Urss. Ora è proprio questa regione - abitata anche da popolazioni bielorusse, polacche, ed ungheresi - che aveva puntato tutte le sue carte sulla "Rivoluzione arancione". La sconfitta, anche qui, è pesante. E Yanukovich, se vorrà rafforzare l'autorità del "Partito delle regioni" dovrà tener conto di questa periferia turbolenta.

Ora, comunque, è il periodo delle trattative di vertice. Spetterà a Julia Timoshenko svolgere un'azione di rimonta. Cercherà di riprendere i contatti con il suo nemico, Yushenko, per dare vita ad un'alleanza in chiave anti-Yanukovich. Sarà un bel balletto di nuovi intrighi. E si vedrà che l'Ucraina resterà, purtroppo, divisa in due. L'area orientale, quella del "Partito delle regioni", come zoccolo duro dell'industria. Dove ai confini con la Russia si trovano il bacino di Donetsk, le industrie di Karkov, le centrali dell'energia a Dnepropetrovsk e Zaporoje, i complessi industriali di Krivoj Rog e i cantieri di Nikolaev.
La zona occidentale, di forte influenza polacca, si caratterizza invece per l'agricoltura e per l'industria del legno. Sarà quindi il "fronte dei Carpazi" il punto debole per una Kiev che, quanto a economia interna, già importa il 90% del suo fabbisogno di petrolio e l'80% di gas soprattutto dalla Russia. Saranno questi i problemi da risolvere.
Ma per il momento sono le bandiere di Yanukovich che coprono gli ultimi strati di quella vernice arancione fornita a Yushenko dagli americani.

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