di Raffaele Matteotti

L'Italia è troppo presa dalla competizione elettorale per fare caso agli avvenimenti nel mondo, la politica estera non tira vicino alle elezioni. Il governo Berlusconi, annunciando un fumoso ritiro dall'Iraq, ha congelato il dibattito sulle nostre missioni militari all'estero; ma il fatto che non se ne parli non impedisce alla cronaca di evolvere, anche in direzioni preoccupanti.
Il generale italiano Fabio Mini, ex comandante delle forze in Kosovo, in un'intervista esclusiva rilasciata al settimanale del "no profit" Vita, ha avvertito che una nostra squadra aerea (sei cacciabombardieri AMX) sta per essere impiegata nella caccia ai talebani (con tanti saluti alla "missione di pace") . Non ci sarà da stupirsi se da Kabul arriverà qualche bara avvolta nel tricolore, un esito diverso sarebbe solo dovuto alla grande prudenza dimostrata fino ad ora dai nostri comandanti, non certo dalla situazione sul campo. Mentre il ministro degli Esteri Fini si danna per salvare un convertito afgano, assicurando al signor Rahman lo status di rifugiato politico nel nostro paese senza nemmeno passare da un Centro di Permanenza Temporanea, per salvarlo dall'ira degli afgani e da una sentenza capitale per apostasia, il governo nasconde agli italiani la vera situazione in Afghanistan, così come nasconde le nostre operazioni militari.

Il generale Mini ha affermato che "sicuramente i nostri aerei non serviranno a fotografare le coltivazioni di oppio" ed ha aggiunto che saranno agli ordini del comando aereo alleato, cioè degli americani. Come questo si possa conciliare con l'ipocritica definizione di "missione di pace" che copre la nostra avventura afgana è assolutamente incomprensibile, così come è incomprensibile la disattenzione dell'opposizione sul tema.

Mentre la nostra esposizione in Iraq diminuisce, con sempre meno truppe presenti, sempre più rinchiuse all'interno di una mega-base americana, in Afghanistan succede il contrario. La nostra presenza militare aumenta di numero e di qualità: più uomini, più mezzi ed una configurazione sempre più adatta alla battaglia piuttosto che al peacekeeping.

La primavera porta con sé anche la ripresa dei combattimenti da parte dei talebani e la violenza in Afghanistan ha raggiunto livelli mai toccati dall'epoca dell'invasione, da quando venne dichiarata troppo frettolosamente la vittoria sul mullah Omar, che invece è ancora latitante e guida un esercito mai tanto armato, con i soldi dell'oppio, che parte dalle montagne per attaccare le pattuglie mandate sconsideratamente alla conquista delle imprendibili montagne afgane.

La lezione dell'occupazione sovietica è stata ignorata e ora gli americani stanno lanciando l'ennesima offensiva sulle montagne, mentre il controllo dei talebani si estende ormai a tutte le province Sud-orientali e le restanti regioni sono in mano ai feudatari una volta parte dell'Alleanza del Nord. E mentre gli americani si lanciano sulle montagne, a Kabul aumentano gli attentati e la produzione di oppio corre verso nuovi record.

Dall'Afghanistan non giungono notizie e, se non fosse per la vicenda tutto sommato minore, del signor Rahman, gli italiani sarebbero davvero convinti di aver collaborato a "portare la democrazia" nel lontano paese asiatico. Di sicuro agli italiani viene tenuta nascosta la reale situazione del paese e anche la natura della nostra presenza militare e delle operazioni da essa condotte con una indifferenza assolutamente bipartisan.

Tace la stampa, tacciono i politici e le informazioni giungono solo attraverso voci dal sen dei militari fuggite o dai media dei paesi esclusi dall'alleanza militare che presidia il paese. Un silenzio di morte che copre il disastro afghano: l'inefficacia del governo, gli sprechi della pur modesta ricostruzione, i soldi sprecati dalla cooperazione, che confermano la realtà di un paese che, in oltre quattro anni, non ha fatto progressi dai tempi dei talebani, se si esclude la diffusione dei telefonini…

L'occupazione dell'Afghanistan è un'avventura non migliore e non meno pericolosa di quella dell'Iraq; i nostri militari, insieme agli altri, non hanno portato alcuna democrazia, alcun miglioramento nella vita degli afghani, nessuna riduzione della povertà o del fanatismo religioso, prova ne sia che il padre dello stesso signor Rahman giudica giusto che il figlio apostata sia ucciso.
In queste ore siamo invece di fronte ad una escalation del nostro impegno militare, una escalation che riconfigura la nostra presenza in senso offensivo e che esporrà i nostri militari e tutto il paese a rischi reali di rappresaglie pesanti.

Fino ad ora l'Italia era riuscita a gestire la sua ipocrita partecipazione mascherandola da missione di pace, ma quando gli AMX bombarderanno gli afghani, la modalità della nostra presenza sarà definitivamente di guerra, con tutto quello che ne consegue. Saremo esposti ad azioni militari e terroristiche a causa di una guerra che non è la nostra e che non avremmo mai dovuto cominciare. Nessuno potrà più definirci un paese che si impegna per la pace nel mondo.
Quanto dovremmo attendere per piangere le conseguenze di una guerra combattuta e decisa contro la Costituzione? Se ci saranno conseguenze, quanti commentatori si ergeranno a spiegare i sotterfugi che ci hanno condotto in guerra a nostra insaputa, e quanti invece intoneranno odi alle grandi qualità dei nostri "eroi morti per la pace"?

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