di Maurizio Musolino

Come si aspettavano tutti le elezioni israeliane sono state vinte da Kadima, il partito fondato dall'ex premier Ariel Sharon, ma - a dispetto di tutti i sondaggi - non c'è stato il previsto sfondamento. Kadima ha vinto ma non ha propriamente convinto. E così dalla tornata elettorale esce una situazione politica israeliana precaria, che nei prossimi mesi sarà soggetta a tensioni e imprevisti.
Analizzando il voto, insieme al buon risultato del partito diretto da Ehud Olmert, si sono registrate quattro tendenze principali. La prima, una sostanziale tenuta dei partiti della sinistra e di voto arabo. Meretz ha confermato i suoi 4 seggi e le tre forze arabe hanno complessivamente portato a casa dieci deputati. Quest'ultimo risultato veniva dato per irraggiungibile anche dalle prime proiezioni di martedì notte. Gli arabi non hanno disertato le urne, anche se è chiaro che la loro condizione di cittadini di serie B ha nel tempo frustrato le ambizioni elettorali dei loro rappresentanti. La seconda, un relativo successo delle forze che hanno caratterizzato la campagna elettorale sui temi sociali. Sia la buona tenuta dei laburisti di Peretz (20 deputati) che il partito dei Pensionati (7 seggi) sono la dimostrazione di quanto la crisi economica stia strangolando l'economia dello Stato ebraico e di quanto sia forte la richiesta di scelte e politiche che pongano al centro il tenore di vita dei cittadini di Israele. In maniera indiretta questa domanda rappresenta anche una critica all'occupazione, principale causa di questa crisi.

La terza, la sconfitta secca del Lilkud (11 deputati) e del suo leader Netanyhau. Il Likud esce dalla tornata elettorale con le ossa rotte, ridimensionato fino ad essere la quinta forza presente nella futura Knesset (Parlamento). Probabilmente questa disfatta metterà in discussione non solo il futuro del leader ma anche la stessa esistenza della storica forza politica. Le aspettative non erano delle migliori ma nessuna si aspettava un risultato di questa portata, anche se proprio il leader storico di questa formazione, Ariel Sharon , aveva lasciato il Likud e dato vita a Kadima.

Infine, la quarta, ovvero l'ottimo risultato dei partiti religiosi e delle forze di estrema destra. Il successo di Shas (13 seggi), del Partito nazional religioso (9 seggi) e di Ysrael Beitenui, destra russofona di Liebraman, (12 deputati) ne sono la piena dimostrazione. Insieme queste tre forze hanno 34 seggi e sono quindi in grado di influenzare qualsiasi futuro esecutivo.

E' chiaro quindi che gli equilibri usciti da questo voto modificano sensibilmente i piani di Kadima e delle forze internazionali (con in testa gli Stati Uniti) che su questo partito avevano puntato. Innanzitutto sarà difficile per il partito di Olmert essere l'ago della bilancia in grado di realizzare, senza molti compromessi, la sua politica di disimpegno unilaterale da una parte dei territori palestinesi occupati nel 1967. Kadima, infatti, per comporre l'Esecutivo dovrà obbligatoriamentre ricorrere al sostegno di quei partiti minori, dei quali fino a poche ore dal voto Olmert aveva dichiarato di voler farne a meno. E' probabile che il tentativo della neoformazione fatta nascere da Sharon poche settimane prima di entrare in coma, sarà quello di imbarcare tanto formazioni di sinistra, come il Labour e il Meretz, quanto formazioni della destra religiosa come Shas e Yahadut ha Tora (ortodossi moderati che hanno ottenuto 6 seggi) in modo da poter, di volta in volta, pescare da due mari. Una impresa non facile.

Resta lo scetticismo con il quale hanno guardato al voto i palestinesi dei territori occupati. Per loro non contava molto chi avrebbe vinto. Il loro auspicio, invece, è che il prossimo governo abbia la reale volontà di aprire un dialogo con l'Anp. La pace, prima di tutto. Un tema, purtroppo, rimasto completamente fuori da queste settimane di scontri elettorali in Israele.

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