di Maurizio Musolino

Fra poche ore Israele andrà al voto. Si tratta di elezioni particolarmente importanti perché arrivano dopo un anno e mezzo che ha radicalmente cambiato gli scenari e i protagonisti di questo antico conflitto. Se la morte di Arafat ha messo in rilievo le difficoltà, ma anche le potenzialità della leaderships palestinese, imponendo un ricambio troppo a lungo rinviato, non meno traumatica è stata l'uscita di scena di Sharon proprio nella fase delicata che rimescolava le carte in tavola nel contesto politico israeliano.
La nascita di Kadima, la creatura politica fortemente voluta da Ariel Sharon dopo il ritiro e il ridispiegamento da Gaza, ha imposto ai due partiti storici di Israele una agenda ben diversa da quella precedentemente prevista. Da una parte il Labour, che dopo la sconfitta congressuale di Peres e la vittoria del segretario generale del sindacato Peretz aveva deciso di puntare al confronto elettorale sulla carta sociale, denunciando la grave crisi economica che soffoca l'esistenza di tantissimi israeliani, è stato costretto ad un ruolo di possibile alleato di minoranza di Kadima, riducendo le sue ambizioni e con esse la sua attrattività sull'elettorato. Dall'altra il Likud, o meglio quello che rimane del partito di destra, che dopo l'uscita di Sharon si è consegnato nelle mani dell'ultraliberista Netanyahu, il quale ha deciso di puntare tutto su politiche di ulteriori tagli sociali e sulla prosecuzione dell'occupazione dei territori palestinesi. "Nessuna trattativa", urla l'ex primo ministro del Likud, in questo confortato dalla strumentalizzazione della vittoria di gennaio di Hamas.

In questo contesto la nuova formazione centrista, Kadima, si appresta a vincere a mani basse. Il suo leader, Ehud Olmert, per dimostrare di poter essere il futuro "uomo forte", in dispregio ad ogni accordo e legalità internazionale, due settimane fa ha fatto assalire e distruggere il carcere palestinese di Gerico per rapire il leader del Fplp Ahmed Saadat, lì detenuto per l'accusa di aver contribuito all'omicidio del ministro della Cultura israeliano. Dopo l'operazione "terroristica" i sondaggi lo hanno dato in salita e la sua vittoria sembra più che certa. Resta da definire comunque con quale forze si formerà il prossimo governo. Kadima, proprio per il suo carattere centrista, potrà giocare su due fronti: il Likud e il Labour, sfilandosi in questo modo da qualsiasi possibile ricatto o imposizione. Facile quindi prevedere una continuazione della politica di scelte unilaterali iniziata da Sharon. Una politica che è l'opposto di quella di pace auspicata da molti ma che risulta realista in quanto guarda in avanti e cerca di dare stabilità ad uno Stato, quello israeliano, costruito oggi sull'occupazione di territori usurpati ai palestinesi.

Il futuro - Olmert ha per la prima volta dichiarato, non era mai successo in Israele, di voler entro il 2010 stabilire confini certi per Israele - con queste premesse resta incerto e la possibilità di un accordo lontanissimo. Lo Stato ebraico, infatti, ad oggi non autodefinisce il suo territorio in nessun modo e non si capisce quale Stato si chiede di riconoscere ad Hamas come pre-condizione per poter cercare di aprire un dialogo. Quello definito dalla risoluzione 184 del 1947? Quello antecedente alla guerra dei Sei Giorni del 1967? O quello attuale costruito grazie all'occupazione anche su Gaza, Cisgiordania e Gerusalmme Est?

Il voto di martedì ci dirà dunque fin dove si potrà spingere Israele nel tentativo di annettere la maggior parte di terre palestinesi con un minor numero di abitanti arabi possibile.
Un voto, quindi, che potrà influenzare i prossimi anni. Di fronte al quale sorprende la scelta pressoché totale dei media italiani di ignorare l'evento. Un silenzio che preoccupa.

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