di Carlo Benedetti

MOSCA. Tutti coinvolti, tutti interessati nell’indicare soluzioni e compromessi; si muovono le diplomazie e non si contano più le interviste, le dichiarazioni e le conversazioni. E sul filo rosso del telefono che unisce le varie cancellerie si parla per ore intere. Tutti al capezzale del duce georgiano Saakasvili, impegnati o nelle preghiere di rito o in attesa del miracolo. Anche la Russia - che ha dato fuoco alle risposte militari - abbandona ora quella politica del “Niet” che fu del Gromyko sovietico. La parola passa alle diplomazie che hanno il compito di salvare il salvabile o, perlomeno, di contenere i danni causati dall’avventura georgiana contro l’Ossezia del Sud e contro l’Abkhazia. E così ci si rende sempre più conto che quelle ore 00,00 dell’8 agosto scorso (con le batterie georgiane che si scatenano all’improvviso sulle abitazioni di Tsinkvali nell’Ossezia del Sud) viste da qui potrebbero in qualche modo essere paragonabili, per gli effetti seguiti nel campo della geopolitica, a quelle terribili azioni delle ore 08,46 dell’11 settembre 2001, quando la furia terrorista colpì le torri del World Trade Center di New York. Si disse allora che il mondo cambiava. Ed ora si deve dire che anche questa volta c’è un mondo che cambia. In peggio, ovviamente. La Russia non è più quella di “prima” dell’8 agosto. E così non lo è più la Georgia. E cambiano anche - soprattutto per i russi - i metri di giudizio per misurare gli Usa, la Nato e l’occidente intero. Comunque, si va alla ricerca di soluzioni per riprendere in qualche modo il controllo della situazione. Ci sono in campo (pur se nel groviglio di numerosissimi “conflitti di interessi” sia all’ovest che all’est...) un Consiglio europeo straordinario sulla crisi convocato a Bruxelles dal presidente francese Sarkozy; c’è una missione esplorativa che Frattini compirà a Tblisi e a Mosca per incontrare georgiani e russi e c’è poi il % settembre un “summit” ad Avignone con i ministri degli Esteri Ue chiamati a prendere misure sulla base delle indicazioni del Consiglio europeo. Si annunciano nuovi atteggiamenti che potrebbero segnare anche fasi di apertura per superare le scissioni tra le realtà in campo.

Sulla base delle prese di posizione degli ultimi giorni da parte dei ministri degli Esteri dei più grandi paesi europei, sembra, intanto, che si possa escludere l’eventualità di sanzioni contro la Russia. Pur se è vero che tutte le cancellerie europee e internazionali hanno condannato il riconoscimento unilaterale deciso a Mosca dell’indipendenza delle repubbliche separatiste georgiane di Abkhazia e Sud Ossezia, ma è anche vero che a mettere la parola fine all’ipotesi-sanzioni ha provveduto il ministro degli Esteri di Berlino, Frank-Walter Steinmeier, con un secco: “Qualcuno deve ancora spiegarmi cosa è una sanzione contro la Russia”.

Ma poiché Sarkozy dovrà trovare la quadra tra le posizioni di ventisette capi di Stato e di governo, è presumibile che venga avanti una condanna dell’unilateralismo russo con un richiamo all’adesione al testo del piano di pace in sei punti del 13 agosto scorso. Condanna che non significa, comunque, la fine del dialogo o la mancanza di una politica. Al contrario, in un momento in cui la tensione Russia-Nato, ossia tra la Russia e gli Stati Uniti, è in aumento, saranno proprio i Ventisette a farsi carico della mediazione tra Mosca e Tbilissi e a dimostrare alla Russia che, aldilà della condanna, l’Europa non ha intenzione di danneggiare un rapporto che, come ha spiegato anche il ministro degli Esteri Franco Frattini è prezioso “e necessario”.

Intanto in vista dell’attivizzazione delle diplomazie il primo ministro russo Putin ha di nuovo ammonito l'Ue a "fare valutazioni veramente obiettive" e distinte da quelle degli Stati Uniti. In pratica ha invitato a fare un esame di coscienza... E così in un'intervista alla televisione tedesca Ard, ha detto che "se l'Europa vuole fare gli interessi degli Stati Uniti sappia che non le servirà a niente" e ha poi rinnovato le accuse alla Casa Bianca di aver spinto la Georgia all'intervento armato in Ossezia del Sud per motivi di polica interna in vista delle presidenziali statunitensi di novembre.

Quanto alla possibilità che l'Unione europea possa decidere sanzioni nei confronti della Russia - ipotesi peraltro già esclusa dalla stessa presidenza di turno francese dell'Ue che l'aveva prima prospettata - Putin ha detto che tale esito "non ci lascerebbe indifferenti" e che si augura, pertanto, che "la ragione prevalga", aggiungendo comunque che la Russia non rimarrebbe isolata "nonostante le prese di posizione di blocchi come l'Europa o gli Stati Uniti". L’invito che viene da Mosca, accompagnato da autorevoli commenti di stampa suggeriti dal Cremlino, è quindi, quello di fare attenzione a non prendere decisioni sbagliate, avventate...

In ogni caso, sembra consolidarsi all'interno dell'Unione europea la posizione contraria all'imposizione di sanzioni contro Mosca, anche se è prevedibile una censura unanime del riconoscimento fatto dalla Russia dell'indipendenza delle due entità caucasiche. Lo stesso ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, che aveva prima prospettato discorsi su eventuali sanzioni, ha ribadito che ora non appoggerà manovre in merito. Al ministro francese, ha fatto eco quello spagnolo, Miguel Moratinos, che ha sottolineato la necessità di "dialogare con Mosca".

La tensione internazionale resta però altissima, soprattutto dopo che la Georgia ha rotto le relazioni diplomatiche con la Russia chiedendo che una commissione indipendente internazionale esamini e valuti gli eventi che hanno preceduto il recente conflitto nell'Ossezia del Sud e quella che ha definito "l'aggressione militare russa". Mosca, da parte sua, ribadisce che il suo intervento militare è stato fatto esclusivamente a protezione delle popolazioni russofone dell'Ossezia del Sud aggredite dalle forze georgiane e torna ad ammonire la Nato che i suoi tentativi di esercitare pressioni potrebbero portare a "conseguenze irreversibili sul piano militare e politico". Il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov, dal canto suo, dichiara che la Nato non ha "alcun diritto morale" per intervenire come giudice in affari internazionali, poiché "ha ripetutamente ignorato le Nazioni Unite e le leggi internazionali".

Quanto ai pericoli che la crisi possa estendersi ad altri Paesi, Putin ha negato, nell'intervista ad Ard, che la Russia abbia mire territoriali sulla Crimea e quindi disegni strategici che possano coinvolgere l'Ucraina, definendo "provocazioni" le ipotesi in merito avanzate da più parti. Putin ha reiterato le accuse al governo di Washington fatte in un'intervista alla Cnn, sostenendo che gli "istruttori" americani erano in una "zona di guerra" invece che nelle basi militari georgiane quando Tbilisi ha sferrato l'attacco in Ossezia del Sud e che questo spinge a ritenere che "la direzione americana era al corrente dell'azione che si preparava e, molto probabilmente, vi ha preso parte. Comincio a sospettare - ha detto Putin - che tutto questo sia stato fatto intenzionalmente”.

Comunque sia, a dimostrare che esistono ancora alcuni margini di manovra per il mantenimento di un rapporto tra Mosca e le capitali occidentali, ci sono una serie di colloqui telefonici tra Dmitrij Medvedev e Vladimir Putin da un lato e la cancelliera Angela Merkel e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dall’altro. In ballo ci sono importanti questioni multilaterali - tra le principali il dossier nucleare iraniano - e bilaterali, ossia i negoziati in corso per un nuovo accordo Ue-Russia. La mediazione dell’Ue, poi, è ancor più necessaria da quando il governo georgiano ha reciso le proprie relazioni diplomatiche con Mosca. Saranno però con tutta probabilità i ministri degli Esteri dell’Ue, convocati ad Avignone per il 5 settembre, a suggerire misure sulla base delle indicazioni che scaturiranno dal Consiglio europeo.

Ed ora gli assi che vengono giocati dall’Ovest sono quelli relativi alla condanna del gesto unilaterale di Mosca; l’offerta di mediazione; la disponibilità a rafforzare la presenza europea sul terreno, anche con l’invio di una missione civile di monitoraggio, (come già accaduto, per esempio, in Kosovo) e, infine, una serie di promesse per la ricostruzione. Accanto a questa mole d’iniziative annunciate c’é la proposta italiana, già accettata dai georgiani, di ospitare a Roma a novembre una conferenza internazionale di pace sul Caucaso allargata agli Stati Uniti.

A Mosca, intanto, sul piano della cronaca geopolitica va registrato un dibattito che si è svolto tra un gruppo di specialisti sul tema della guerra del Caucaso e sui suoi motivi. L’obiettivo del conflitto scatenato dalla Georgia - si è qui sostenuto - va messo in relazione ai problemi che derivano dal pieno controllo sul territorio in cui passano due gasdotti che arrivano in Europa dall’Asia, evitando il territorio della Russia. Si è detto anche che esiste un disegno per rovinare i rapporti fra Russia e l’Azerbaigian. L’esperto di globalizzazione Mikhail Deljaghin, in proposito, ha documentato che al centro di tutto c’è la guerra energetica; questo anche per il fatto che Saakasvili aveva ottenuto dall’Occidente garanzie al massimo livello politico per una conseguente copertura propagandistica. E il fatto che i media mondiali abbiamo ignorato la dichiarazione rilasciata dal presidente Medvedev il primo giorno di guerra dimostra, appunto, che c’era stato un intervento specifico. Al fondo c’è un interesse pragmatico che l’Occidente, in particolare gli americani, non nascondono. L’obiettivo strategico consiste nel far passare il gas dell’Asia centrale aldilà del territorio russo.

Su questa tesi si è soffermato anche un esperto dei problemi caucasici, Mikhail Aleksandrov. Il conflitto scatenato da Saakasvili, ha detto, fa parte della strategia occidentale che punta al controllo del Caucaso. Questa strategia risale al 2004 e fu espressa nel cosiddetto “Comunicato di Istambul”. In esso si affermava che tutto il Caucaso del nord, già considerato come regione d’interessi strategici, doveva passare sotto il controllo occidentale al pari dell’Asia centrale. Se la Russia non avesse reagito all’aggressione georgiana si sarebbe puntato al suo distacco dal Caucaso del nord portando Azerbajgian e Georgia nella Nato, bloccando le vie d’accesso al Caspio e sostenendo il separatismo e il terrorismo in territorio russo. Dominano, quindi, parole e comunicati. Il fumo della guerra si sta diradando. Restano le case bombardate, i lutti. E purtroppo resta vivo il ritorno di un feroce nazionalismo e lo scoppio conseguente delle carneficine etniche.

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