di Bianca Cerri

Il 25 novembre è stata la Giornata Internazionale contro la violenza alle donne, voluta dall’ONU per sensibilizzare l’opinione pubblica su un fenomeno in costante aumento che nessuno riesce ad arginare. Per quanto riguarda il numero di aggressioni e molestie che hanno per vittima una donna, il primato più triste spetta agli Stati Uniti, dove tuttavia molte donne non denunciano neppure i loro aggressori per paura di ritorsioni. A peggiorare le cose ci si mettono i giudici, spesso più solidali con i maltrattatori che con le maltrattate oltre che spesso scettici davanti alle denunce di violenza domestica. Ma il problema resta grave: a livello nazionale sono circa 28 milioni le donne americane che subiscono abusi e almeno 4000 quelle uccise ogni anno dal partner o da un altro famigliare di sesso maschile. Il 40% delle pazienti ricoverate negli ospedali è stata costretta a ricorrere alle cure dei sanitari a causa delle percosse ricevute dal marito o dal convivente. Anche se esiste ormai da dodici anni una legge che equipara i maltrattamenti domestici agli altri reati federali le cose non accennano a migliorare e il tema della violenza contro le donne resta avvolto ancora da troppi misteri. Inoltre, la crescita della destra religiosa ha praticamente annullato i progressi fatti negli ultimi anni. L’attuale regime ha affidato la questione della violenza domestica alle organizzazioni religiose e dirottato i fondi destinati alle vittime di maltrattamenti nelle casse di quegli stessi personaggi che già avevano tolto alle donne il diritto primario di gestire la maternità in modo autonomo. Trentatré miliardi di dollari che avrebbero dovuto essere destinati a realtà come le case di prima accoglienza per donne abusate sono stati impiegati per istituire corsi che insegnano a praticare l’astinenza sessuale e ad allontanare le tentazioni di rapporti omosessuali. Negli stati più poveri la mancanza di posti ai quali rivolgersi per sfuggire alle percosse e agli abusi ha portato ad un notevole aumento degli omicidi domestici. Anche il militarismo rampante nella società americana e una guerra di cui non si riesce ancora ad intravedere la fine hanno contribuito a peggiorare la condizione femminile.

Se è vero che anche in tempo di pace la violenza sulle donne non si estingue, è anche vero che laddove il sostegno agli interventi militari è potente il disprezzo per la figura femminile è sempre molto accentuato. Senza contare che gli effetti devastanti della guerra a lungo andare finiscono per distruggere l’indipendenza economica delle donne che diventeranno le prime vittime della disoccupazione e sempre più inermi nei confronti dei loro maltrattatori.

A giudicare dalla mancanza di strumenti di analisi utili ad indagare i meccanismi sociali e le strutture che regolano gli spazi all’interno dei nuclei domestici si direbbe che la bianca aquila simbolo degli Stati Uniti stia ormai agonizzando. Donne con bambini al seguito sono costrette a fuggire nottetempo come ladre per evitare di essere massacrate senza sapere dove dirigersi. E’ accaduto così per Rita Dazzie, una donna minuta e con l’espressione spaventata, costretta a cambiare spesso il colore dei propri capelli per non essere riconosciuta. L’avvocato che l’assiste l’aiuta ogni tanto a trovare dei lavori saltuari con i qualio Dazzie mantiene le figlie di cinque e sette anni, già traumatizzate per le molestie sessuali subite dal padre. Anche i figli di Angela Houston faticano a trovare un equilibrio. La madre non c’è, giace in un letto d’ospedale da mesi e non si sa quando tornerà a casa. Le hanno immobilizzato le mani per impedirle di toccare le parti del corpo rimaste ustionate quando il marito le ha dato fuoco. Ogni tanto i suoi sensi si risvegliano, poi i medicinali l’aiutano a sprofondare in un sonno dove il dolore non può arrivare.

La degenza sarà ancora lunga. I medici hanno già informato i parenti che le cicatrici non scompariranno mai del tutto. E non sarà facile trovare un lavoro per mantenere i figli con un volto devastato come quello di Angela. Soprattutto, non sarà facile liberarsi dell’odio nei confronti dell’uomo che l’ha sfigurata per punirla di essere sfuggita al suo controllo.
Ma cosa accade quando una famiglia viene sconvolta dalla violenza domestica portata all’estremo e una donna viene uccisa dal partner? L’opinione pubblica difficilmente s’interroga sui sentimenti di chi perde una sorella, una figlia o la propria madre per mano di un partner che si trasforma in assassino. Per i famigliari di Latisha Barnes, assassinata dal fidanzato con il quale era andata a vivere assieme ai figli dopo un faticoso divorzio, la vita non è stata più la stessa. A quasi 50 anni, la madre di Latisha ha dovuto assumersi l’onere di quattro nipoti in tenera età e rassegnarsi a fare i lavori più umili per sfamarli. La violenza domestica non è una prerogativa delle classi svantaggiate ma le conseguenze sono molto più gravose se non si hanno mezzi. Joy Barnes teme di non farcela a tenere dietro a quattro bambini traumatizzati dall’aver assistito all’omicidio della madre dovendo lavorare tutto il giorno. Non chiede vendette e rifiuta di abbandonarsi all’odio ma spera che molte voci si levino alte per impedire che ad altre donne tocchi una fine atroce come quella che le ha tolto Latisha a coloro che l’amavano
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