di Marco Montemurro

Il più grande sindacato britannico “Unite” e il sindacato americano “United Steelworkers” hanno annunciato un accordo per la nascita della prima organizzazione dei lavoratori intercontinentale. Si terrà a Las Vegas l’incontro per delineare la nuova formazione, città da dove prenderà il via la globalizzazione, questa volta non dei mercati, ma delle lotte dei lavoratori. Di fronte all’avanzare delle multinazionali i sindacati intendono superare i confini nazionali per poter agire su scale mondiale. La nuova sigla infatti è considerata dai promotori un primo passo verso la creazione di un sindacato globale nel quale potranno far parte in futuro anche le organizzazioni dei lavoratori dei paesi emergenti nell'est Europa, in America Latina e in Asia. “Unite” rappresenta oltre due milioni di lavoratori britannici e irlandesi e la “United Steelworkers”, con circa 850.000 iscritti, è radicata soprattutto nell’industria siderurgia e manifatturiera in America e Canada. Il portavoce di “Unite”, Andrew Murray, chiarisce che, perlomeno all’inizio, nella nuova formazione le due organizzazione manterranno le loro identità, e in seguito sperano di includere altre sigle straniere. Ha spiegato così i motivi del progetto: “I sindacati uniscono le forze perché sono stati emarginati dalla globalizzazione. Svolgiamo trattative con multinazionali che muovono capitali e posti di lavoro, in tutto il mondo secondo la loro volontà. Siamo in una posizione svantaggiata poiché i grandi affari sono globali e il lavoro è nazionale”. Derek Simpson, segretario generale di “Unite”, intende “creare un vero sindacato internazionale, che sia capace di trattare con le imprese globali su un piede di parità, e di mobilitare insieme i lavoratori dei due paesi”.

I due sindacati sono intenzionati a collaborare perché entrambi hanno le medesime problematiche, trattano con compagnie multinazionali che hanno il quartiere generale all’estero. Negli ultimi anni infatti molte compagnie provenienti soprattutto da Cina e India hanno condotto con successo investimenti all’estero, non solo nei paesi emergenti ma anche negli Stati Uniti e in Europa. I sindacati dunque si trovano ad affrontare trattative complesse in quanto le legislazioni in ambito contrattuale sono differenti in ogni paese. Il problema è fortemente sentito dal sindacato “United Steelworkers” perché il settore delle acciaierie, campo dove ha il maggior numero di rappresentanti, è stato recentemente obiettivo di ingenti acquisizioni da parte delle compagnie indiani leader mondiali.

Il gruppo indiano Mittal, comprando negli USA la Betlehem Steel e in Europa la Arcelor (presente in Francia, Spagna, Belgio e Lussemburgo), è diventato un colosso delle acciaierie con 225.000 dipendenti in tutto il mondo. L’indiana Essar ha rilevato nel 2007 in Canada l’Algoma Steel e negli Stati Uniti la Minnesota Steel e recentemente anche la Esmark. In Inghilterra la Corus per 8,5 miliardi di euro è stata comprata dall’indiana Tata Steel, compagnia che appartiene al medesimo gruppo della Ratan Motors, la società che ha acquisito le inglesi Jaguar e Land Rover. Le compagnie Mittal, Tata e Essar sono in crescita in quanto devono soddisfare la grande richiesta di acciaio proveniente dai paesi emergenti, soprattutto Cina e India, regioni dove la costruzione di fabbriche e cantieri edili sono in aumento. Nel settore dell’alluminio inoltre il gruppo indiano Birla con la sua filiale Hindalco ha comprato nel 2007 la compagnia americana Novelis.

I crescenti investimenti dall’Asia non si limitano comunque alla siderurgia poiché risultano coinvolgere anche i settori dove sono richieste competenze tecnologiche. La compagnia indiana Reliance ha recentemente acquisito il gruppo di telefonia inglese Vanco, mossa preceduta dalla rilevazione dell’america Yipes Enterprise Services, azienda specializzata in servizi internet. La Ranbaxy, la più grande impresa farmaceutica indiana, è entrata nel mercato statunitense (il più vasto in tale settore) nel 1998 e da allora ha condotto con successo otto acquisizioni in America, Italia, Romania e Sudafrica. Un numero crescente di lavoratori negli Stati Uniti e in Europa pertanto è nella condizione di dover stipulare contratti con direttori indiani. I sindacati ovviamente sono preoccupati della situazione e cominciano a considerare urgente la necessità di una maggiore collaborazione internazionale.

Le multinazionali citate hanno tutte una direzione che si potrebbe definire a carattere familiare in quanto sono guidate da ricche dinastie. Il presidente del gruppo Mittal Steel, leader mondiale delle acciaierie, è Lakshmi Mittal, attualmente la quarta persona più ricca del mondo. Ereditò l'impresa dal padre e la famiglia Mittal mantiene il controllo della compagnia. La multinazionale Tata è guidata da Ratan Tata, erede di una famosa dinastia industriale indiana fondata da Jamsetji Tata nel 1907, anno nel quale ottenne la concessione per fornire acciaio alle ferrovie del governo coloniale inglese. L'attuale presidente Ratan Tata prese il comando dell'azienda di famiglia nel 1991, quando l'India avviò le liberalizzazioni in economia, e in meno di venti anni ha trasformato il gruppo in un colosso che spazia dalle automobili alle telecomunicazioni, dall' acciaio all' energia, dagli alberghi al software informatico.

Il gruppo Essar è guidato da tre generazioni dalla famiglia Ruia, cognome di tutte le persone chiave della compagnia: il presidente è Shashi Ruia e vicepresidente è il fratello Ravi Ruia. La ditta si occupa prevalentemente della produzione dell'acciaio, ma ha diversificato gli investimenti coinvolgendo il settore dei trasporti, raffinerie e telecomunicazioni. Anche il presidente del gruppo Birla è erede di una celebre dinastia le cui origini risalgono all'industria tessile nel XIX secolo. Gli affari del presidente Kumar Mangalam Birla si estendono in tutto il mondo vendendo soprattutto alluminio, rame e cemento, e in aggiunta controlla la compagnia telefonica indiana Idea Cellular. La Relience, leader in India dell’industria petrolchimica, è controllata dalla famiglia Ambani e il suo presidente è Mukesh Ambani, il quinto uomo più ricco del mondo. Anche l’industria farmaceutica indiana Ranbaxy, nonostante sia pubblica, è diretta da Malvinder Mohan Singh, nipote del fondatore dell’impresa.

L’India non è la sola potenza asiatica in cerca di affari negli Stati Uniti e in Europa, in netto aumento sono anche gli acquisti da parte di compagnie cinesi. Da gennaio a marzo 2008 gli investimenti cinesi all' estero hanno raggiunto la cifra record di 19,3 miliardi di dollari, superando così in un solo trimestre il volume di investimenti di tutto il 2007. Anche la Cina infatti dal 2001 ad oggi, cioè dall’anno in cui fu ammessa nel WTO, ha inserito i suoi capitali in molte compagnie negli Stati Uniti e in Europa.

Grandi acquisizioni sono avvenute nel 2004 quando la Tlc di Shanghai ha comprato la telefonia mobile della francese Alcatel e l’industria di televisori americana Rca. In seguito nello stesso anno un altro investimento asiatico ha avuto molta risonanza, quando il settore personal computer della Ibm, celebre nome americano, è stato rilevato dall'azienda di informatica cinese Lenovo. Dopo tale operazione diecimila lavoratori negli Stati Uniti sono diventati dipendenti di un direttore cinese. Anche il capitale del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei è riuscito a entrare nell'americana 3Com, società famosa nel campo delle reti informatiche. Dopo la crisi dei mutui bancari in America del 2007 inoltre un ingente afflusso di capitali si è incominciato a muovere dagli azionisti di Stato cinesi verso il fondo d’investimento Blackstone, la banca d' affari Bear Stearns e l' inglese Barclays e la Morgan Stanley.

I capitali indiani e cinesi comunque non sono i soli a cercare investimenti negli Stati Uniti e in Europa poiché negli ultimi anni anche i poteri finanziari dei paesi arabi si spostano per inseguire profitti oltreoceano. Nel 2007 la Borsa di Dubai ha acquistato il 20% della società che opera il Nasdaq e ha acquisito il 28% di quella che controlla il London Stock Exchange. Un altro 20% della Borsa londinese è stato acquistato invece dal Qatar Investment Fund. Inoltre il governo di Abu Dhabi ha comprato il 7,5% della Carlyle, importante gruppo di private equity con legami nell' establishment politico americano.

Un influenza crescente nel capitalismo americano ed europeo da parte dei paesi asiatici è evidente e tali operazioni finanziare certamente avranno ripercussioni anche sui lavoratori delle compagnie coinvolte. Osservando le acquisizioni delle grandi multinazionali, risultano acute le considerazioni del sindacalista inglese di Unite Murray, poiché è palese il contrasto tra i grandi affari, che agiscono sul piano globale, e il lavoro, regolato con contratti su scala nazionale. Per affrontare tale problema i sindacati sono dunque giunti alla conclusione che devono muoversi come le grandi compagnie, cioè superare i confini degli stati. Questi sono in sintesi i temi che saranno presi in esame a Las Vegas, incontro che probabilmente avrà ripercussioni sul futuro delle trattative sindacali.

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