di Elena Ferrara


Un gasdotto lungo 2800 chilometri dall’Iran al Pakistan e poi verso l’India. E, forse, un successivo allungamento ciclopico verso la Cina. Un progetto del secolo già carico di studi approfonditi che oltre ad essere decisivo per l'energia asiatica, potrebbe contribuire a cambiare, con il passare del tempo, gli assetti strategici della regione e saldare sempre più il Medio Oriente all'Asia. L’idea di questa ciclopica realizzazione (oggetto anche di delicati rapporti diplomatici) data dall’inizio degli anni ’90 e si concretizza a Delhi e ad Islamabad - capitali di due paesi da tempo ostili a causa di guerre e contestazioni territoriali - dopo un intenso lavoro che ha impegnato scienziati, geologi, tecnici e politici. C’è in primo luogo, all’avanguardia del progetto attuale, un paese come l’India che è un “laboratorio” che si presenta in questa arena geostrategica del gasdotto avendo alle spalle tre grandi guerre con il Pakistan (1947, 1965, 1971) riesplose in forma attenuata nel 1999. E tutto non per motivi religiosi ma per dispute territoriali sul Kashmir e, nel 1971, per l’indipendenza del Bangla Desh. Segue, ma in parallelo, il Pakistan segnato dall’idillio tra Bush e Musharraf che va però sempre più offuscandosi. Mentre su tutto domina quella conflittualità per il contestato Kashmir che evidenzia conflitti ispirati dagli opposti fideismi.
Ora questa “condotta del gas” dovrebbe trasportare la pace forte di un bilancio di 7,5 miliardi di dollari. Dovrebbe avere origine presso l’immenso gia¬cimento sottomarino di Pars Sud (South Pars) nel Golfo Persico dove, appunto, si trova questo “campo” che è il più grande del mondo a 3.000 metri sotto il fondo del mare e che si estende per 3.700 kmq in acque iraniane e 6.000 kmq in quelle del Qatar. Pars Sud contiene il 10 per cento delle riserve mondiali di gas. Ora il gasdotto in programma correrebbe per 1.100 chilometri in Iran prima di attraversare le province pachistane del Baluchistan e del Sind, entrare in India nel Punjab, e terminare a Delhi.

La portata iniziale - dopo un blocco causato dai contesti sul costo del gas e sulle tariffe di transito - è prevista con 60 milioni di metri cubi al giorno. Le conseguenze di carattere economico-commerciale saranno, quindi, notevoli per tutti i paesi interessati. In particolare l’India che riuscirà a soddisfare la sua crescente sete d’energia. Intanto il ministro pachistano del petrolio, Khwaja Mohammad Asif ha ricevuto ad Islamabad il suo collega indiano Murli Deora e il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha incontrato il presidente Pervez Musharraf e il nuovo premier Yusaf Raza Gilani. Subito dopo Ahmadinejad è stato brevemente in India per parlare col presidente Pratibha Patil e il premier Manmohan Singh. Incontri, quindi, mirati e carichi di prospettive. Non va comunque dimenticato che l’Iran è da sempre nel “mirino” degli Stati Uniti e di Israele per il suo programma nucleare.

Nel campo d’azione del gasdotto spicca quindi il ruolo del presidente di Islamabad. Un personaggio che può diventare un brutto cliente per l’Occidente e per molti stati asiatici anche per il fatto che sta crescendo il suo potere di ricatto. Ma è anche vero che, per ora, non è competitivo in campo militare e ha problemi di approvvigionamento anche di ordine tecnologico. Problemi, questi, che non sembrano toccare Pakistan e India partner più o meno “strategici” degli Stati Uniti (e l'India anche di Israele). Eppure tutti questi stati asiatici sembrano ormai disposti, per il gasdotto, a sfidare la contrarietà degli americani. In pratica Washington si trova a dover far finta di niente. Pur se sulla visita di Ahmadinejad a New Delhi il portavoce del Dipartimento di Stato americano è stato polemico e didascalico verso l'India, attirandosi però una risposta dura e risoluta. E di conseguenza si comprende bene che l'India non ha più remore a fare il gasdotto, soprattutto col greggio a ben più di cento dollari ed un fabbisogno interno di energia in forte crescita sul lungo periodo.

Ma nel quadro del progetto a lungo termine l’India, oltre al gasdotto, ha con l'Iran diversi progetti da concludere o mettere in esecuzione nel quadro di rapporti di oggettiva collaborazione. Ad esempio: quote in giacimenti petroliferi, una possibile joint venture per un impianto di liquefazione del gas da tre miliardi di dollari, e la fornitura da parte dell'Iran di 5 milioni di tonnellate/anno di gas naturale liquefatto (che poi saliranno a più di 7 milioni) per 25 anni. Il “grande gioco” - anche solo dal punto di vista economico ed energetico - è notevole pur se in un quadro di luci ed ombre.

C’è poi un prossimo passo politico. Perché le visite di Ahmadinejad in Pakistan e in India stanno a dimostrare che l'Iran ha - sempre più - un significativo ruolo nella regione. Non va dimenticato, tra l’altro, che il Presidente di Islamabad è stato anche nello Sri Lanka, dove l'Iran finanzia la costruzione di una centrale idro-elettrica e la modernizzazione di una raffineria. Ecco quindi che tutto sta a dimostrare che l’Iran si appresta a diventare il secondo esportatore di gas a livello mondiale dopo la Russia, ed è anche il quarto produttore di greggio (tra i paesi Opec, è al secondo posto dopo l'Arabia Saudita). Le trasformazioni sono impetuose con il gasdotto che avrà una capacità iniziale di 60 milioni di metri cubi al giorno (metà per il Pakistan e metà per l'India) e che salirà poi a 150 mc/g. Darà pertanto maggior sicurezza e diversificazione agli approvvigionamenti energetici del Pakistan e soprattutto dell'India.

Vista l'interdipendenza dei mercati, il gas di South Pars che andrà in India attenuerà, in parte, la futura pressione della domanda indiana sui mercati del greggio. Il Pakistan, poi, avrà importanti introiti per il transito del gas destinato all'India. Sul piano politico il progetto comune sarà un fattore di stabilità e cooperazione in quei rapporti interstatali ancor oggi non facili. Ci sono, però, possibili problemi politici per le incertezze circa la futura stabilità politica del Pakistan, e comunque per i rischi posti dalla guerriglia nel Baluchistan. E qui si apre il capitolo cinese.

Perché il gasdotto in futuro potrebbe arrivare sino in Cina. L'Iran l'ha detto in questi giorni, ma l'India ha replicato che “è ancora solo un'idea”. Tuttavia il primo a parlarne, pochi anni fa, fu l'allora ministro indiano del petrolio, Mani Shankar Aiyar, fautore di una cooperazione energetica asiatica, e in particolare tra India e Cina. Di recente, la stessa Cina si è detta pronta a subentrare all'India se questa non volesse più partecipare al gasdotto. Quindi, c'è da chiedersi se l'India è ora di nuovo favorevole solo per tenere fuori la Cina, oppure perché il gasdotto è davvero vitale per i suoi interessi. Se i futuri rapporti Cina-India saranno orientati alla cooperazione, si possono comunque immaginare altri progetti. Per esempio, un oleodotto parallelo per portare greggio iraniano in India ed in Cina. E poi un ulteriore potenziamento per trasportare anche gas prodotto dal Qatar.

Tutto è in movimento. Ma è chiaro che questo progetto del secolo sta mettendo in crisi quanti auspicano guerre calde e/o fredde. Siamo, quindi, allo sbocco meccanico e forse inevitabile di nuovi comportamenti economici destinati a sconvolgere il continente asiatico.

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