di Michele Paris

Come era ampiamente nelle previsioni, Hillary Clinton è uscita vincitrice dalle primarie democratiche in Pennsylvania di martedì scorso. La Senatrice di New York ha conquistato un successo che le consente indubbiamente di rimanere in corsa per la nomination del proprio Partito almeno per qualche altra settimana, ma che molto difficilmente potrà cambiare l’esito di un confronto che la vede tuttora inseguire Barack Obama sia nel numero dei delegati conquistati sia in quello dei voti espressi. In un momento particolarmente delicato della prolungata battaglia in casa democratica, caratterizzata da un inasprimento dei torni da parte di entrambi i candidati, una serie di recenti sondaggi sfornati da svariati organi di informazione d’oltreoceano per misurare i rapporti di forza nel paese tra i due contendenti dimostra inoltre come l’aggressiva campagna elettorale messa in atto dallo staff della ex First Lady non stia dando i frutti sperati ma, anzi, stia compromettendo non poco la sua immagine nell’opinione degli elettori democratici ed indipendenti. E il rischio concreto è quello di servire un clamoroso e inaspettato assist al candidato repubblicano John McCain in vista delle elezioni di novembre. Dimezzando lo svantaggio che lo vedeva inseguire Hillary di 20 punti percentuali fino a poche settimane fa, anche grazie ad una imponente e assai dispendiosa campagna elettorale in uno Stato la cui composizione sociale, generazionale e di genere favoriva la sua avversaria, Obama è riuscito alla fine a contenere il divario in Pennsylvania intorno ai 10 punti (45% a 55%). Una sconfitta cioè molto meno pesante del previsto che dovrebbe costargli solo una lieve perdita nei confronti della sua avversaria nel conto dei delegati che verranno assegnati (9 / 10). Il Senatore dell’Illinois, sconfitto pesantemente nelle Contee rurali e operaie seriamente penalizzate dalla ristrutturazione economica dell’ultimo decennio, ha potuto invece limitare i danni grazie ad una netta affermazione in quelle sud-orientali intorno a Philadelphia dove la folta presenza di elettori di colore, con redditi superiori ai 50.000 $ e in possesso di laurea ha votato in maggioranza a suo favore.

Nelle ultime sei settimane di campagna elettorale che hanno portato allo scontro nel più popoloso Stato in palio da qui al termine delle consultazioni primarie (158 delegati da assegnare) le polemiche cha hanno avvelenato il dibattito hanno ruotato attorno alle durissime critiche indirizzate verso il governo e la società americana nei suoi sermoni dal Reverendo Wright, ex leader della Chiesa a cui Barack Obama appartiene e, più recentemente, ad una frase che il Senatore afro-americano ha pronunciato durante un discorso tenuto in occasione di un incontro per la raccolta di fondi con un gruppo di sostenitori a San Francisco. Di ritorno dal suo tour elettorale in Pennsylvania, Obama aveva descritto la “middle-class” delle piccole città degli Stati penalizzati dalla crisi economica come delusa e amareggiata, composta da persone che “per esprimere la propria frustrazione si rivolgono verso le armi o la religione o l’odio nei confronti delle persone diverse da loro, oppure manifestano sentimenti negativi contro gli immigrati o i trattati di libero scambio”.

Tanto è bastato perché Hillary cogliesse l’occasione al volo per accusare il suo avversario di “elitarismo” e di essere lontano dal comprendere i sentimenti e i veri valori dell’America rurale. Improvvisamente la Senatrice laureata in Legge a Yale, che assieme al marito, protagonista durante la sua presidenza di una strenua lotta per il controllo della vendita delle armi da fuoco, ha messo insieme una fortuna che ammonta a 109 milioni di dollari solo negli ultimi sette anni, si è così trasformata nella paladina delle classi più povere facendo sfoggio del suo background familiare caratterizzato, a suo dire, da un’assidua frequentazione delle funzioni metodiste e da una fortissima passione per le battute di caccia. Un’immagine di sé decisamente artificiosa per una Clinton che già qualche settimana fa aveva dovuto provvedere ad una sgradevole smentita di un suo resoconto di viaggio in Bosnia negli anni ’90, prima descritto in termini drammatici e successivamente rivelatosi privo di alcun rischio.

Esagerazione dell’importanza delle proprie azioni durante il mandato alla Casa Bianca del marito, eccessivo opportunismo sui temi di politica economica e sociale e qualche menzogna di troppo diffusa qua e là per accreditarsi come la candidata più qualificata alla presidenza, stanno di fatto minando la sua immagine agli occhi di un elettorato democratico che solo pochi mesi fa la vedeva inevitabilmente destinata alla nomination del Partito e che ora manifesta apertamente fondati dubbi sulla sua onestà. E, nonostante le pur importanti affermazioni ottenute nelle primarie in Ohio e in Texas ai primi marzo e ora in Pennsylvania che hanno rallentato la marcia trionfale di Obama sollevando perplessità sull’esperienza di un Senatore apparso quasi dal nulla sulla scena politica americana, nonché sulle sue difficoltà ad imporsi nei più grandi Stati dell’Unione, il vantaggio di quest’ultimo nei confronti di Hillary che si evince dai risultati degli ultimi sondaggi rimane considerevole.

Dieci sono infatti i punti in percentuale che la fresca rilevazione commissionata da Washington Post e ABC News assegna a Barack Obama in seguito alle scelte espresse dagli elettori democratici per il candidato preferito alla nomination. Come se non bastasse, i progressi di Obama dal mese di febbraio ad oggi circa il possesso di svariate qualità ragionevolmente necessarie a reggere la Presidenza mostrano ulteriormente come il gradimento di Hillary Clinton stia inesorabilmente precipitando. Mentre il vantaggio della Senatrice di New York resta considerevole per quanto concerne l’esperienza, Obama conduce con il doppio delle preferenze riguardo al delicato tema dell’eleggibilità. Preoccupante è poi l’aumento del numero di quanti hanno un’impressione complessivamente negativa di Hillary, nonché del marito Bill, rispetto al mese di gennaio (54% contro il 40% di tre mesi fa). Nell’arco dello stesso periodo anche l’approvazione per Obama è in realtà in ribasso, anche se resta complessivamente positiva.

Democratici ed indipendenti poi continuano a vedere maggiori chances di successo nell’elezione generale per Obama rispetto alla Clinton. Il Senatore dell’Illinois viene preferito di circa 5 punti percentuali rispetto a McCain, mentre Hillary segue quest’ultimo di 3 punti. Differenze queste che equivalgono più o meno al margine di errore indicato dagli Istituti di ricerca, a dimostrazione dei progressi compiuti dal candidato repubblicano negli ultimi mesi di campagna elettorale. A differenza invece di quanto viene invocato dalla maggior parte degli opinionisti e degli esponenti di spicco del Partito Democratico, quasi due terzi degli intervistati non auspicano affatto una conclusione rapida della corsa alla nomination ma desiderano piuttosto che essa prosegua fino a quando non ci sarà un chiaro vincitore. I danni che una prolungata battaglia potrebbe produrre sono però evidenziati dal fatto che un terzo degli elettori democratici, a tutt’oggi, dichiara che se il candidato da loro sostenuto durante le primarie non riuscirà a conquistare la nomination, il proprio voto a novembre potrebbe andare a McCain.

Eclatante è infine il vantaggio di Obama quando si parla di eleggibilità, onestà e cambiamento. Per il primo aspetto il margine è di 31 punti percentuali, per il secondo 23 e 21 per quanto riguarda invece le speranze di portare un significativo cambiamento nella gestione del potere a Washington. Anche se sembra evidente che la percezione dell’integrità di Hillary debba scontare fin troppo gli attacchi portati dai repubblicani su questo aspetto fin dagli anni ’90 a Bill Clinton, è altrettanto innegabile che la gestione della campagna elettorale da parte del suo staff, anche alla luce della situazione di vantaggio di cui godeva solo pochi mesi fa, è ampiamente responsabile dei modesti risultati a cui sta andando incontro.

A spingerla poi verso un possibile definitivo abbandono a breve termine della corsa, e a dedicarsi forse alla conquista della poltrona di Governatore dello Stato di New York che Elliot Spitzer ha recentemente dovuto abbandonare dopo il suo coinvolgimento in un giro di prostituzione, potrebbero essere i risultati delle prossime consultazioni in Indiana e in North Carolina (6 maggio). Se infatti i dati resi noti da un altro sondaggio, questa volta commissionato da Los Angeles Times e Bloomberg, verranno confermati dagli elettori, lo scenario che si aprirebbe per Hillary non avrebbe più molte alternative percorribili.

È molto improbabile infatti i superdelegati del Partito ancora indecisi potrebbero assumersi la responsabilità di ribaltare clamorosamente la volontà espressa dai votanti durante le primarie. La ex First Lady infatti sembrerebbe inseguire il suo avversario sia in Indiana (5 punti percentuali) che in North Carolina (13), Stato quest’ultimo considerato come una roccaforte di Obama. Nel computo totale dei delegati conquistati in vista della Convention di Denver, una stima della Associated Press stilata all’indomani dell’esito delle primarie in Pennsylvania accredita poi il 46enne Senatore dell’Illinois di un vantaggio, praticamente incolmabile, attestato attorno ai 130.

Per i rimanenti nove Stati in calendario inoltre, le chances di successo per Hillary sembrano riposte solo in West Virginia, Kentucky e Porto Rico. A parte l’Indiana, dove la situazione sembra comunque piuttosto incerta, per Obama si prospettano invece probabili successi in Oregon, Montana, South Dakota e Guam, oltre che in North Carolina tra due settimane dove la popolazione di colore prevale tra gli elettori democratici. Un percorso quasi certamente segnato dunque per la Clinton, la cui persistenza, se anche legittima, non solo non la porterà a conquistare la nomination, ma rischierà di danneggiare seriamente il Partito in prospettiva Election Day.

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