di Mariavittoria Orsolato


ASUNCION Tutto è andato come doveva andare. La tornata elettorale conclusasi domenica pomeriggio alle 16, ha proclamato la vittoria indiscussa di Fernando Lugo, 56 anni ed ex vescovo della poverissima diocesi di San Pedro, e della sua “Alianza Patriotica para el Cambio”, miscellanea di partiti e movimenti della sinistra e del centro-sinistra paraguayani. Con il 40,8% delle preferenze, circa 705.000 voti, il “candidado de Dios” ha conquistato la presidenza della Repubblica e ha confinato in una clamorosa sconfitta, quantificata nel 30,7% dei voti, il Partito Colorado ovvero l’ombra repubblicana che ha confinato il Paese in un medioevo culturale e politico durato 61 anni. Il miracolo vero e proprio dell’ex monsignore - i cattolici scusino l’affermazione blasfema - è stato però quello di essere riuscito a garantire un cambio nell’amministrazione senza colpi di Stato e soprattuto senza spargimenti di sangue.
I disordini paventati alla vigilia della consultazione popolare non hanno infatti avuto luogo e anche il pericolo brogli è stato sventato da una cittadinanza attiva e partecipe, circa il 67% di affluenza, che con le sue denunce di irregolarità nei seggi, ha permesso che l’elezione si svolgesse nella massima trasparenza di risultato. Risultato che per i paraguayani è stato chiaro fin dalle 18, quando nelle strade delle maggiori città sono iniziati i caroselli, degni di una calcistica vittoria mondiale, e le manifestazioni di giubilo tipiche di chi sembra essersi finalmente liberato da un pesante fardello.

“Abbiamo scritto una pagina nuova nella storia politica del Paraguay - queste le prime parole del neopresidente della Repubblica ai suoi sotenitori giunti in massa ad acclamarlo davanti allo storico Panthèon de los Heroes – se oggi si sogna un Paese migliore, la responsabilità e il merito di questo sogno vanno solo a voi paragauayani, patrioti di questo 20 di aprile ed eroi di un nuovo Paese “. Ad acclamare il vescovo, che da domani verrà apostrofato come Presidente, una moltitudine indescrivibile di cittadini - si presume più di 120.000 - che ha invaso le strade del centro della capitale, Asunciòn, bloccando il traffico e sventolando il tricolore al ritmo di danza e dei canti “Se siente, Lugo presidente” e “ Que se fue Nicanor”. Tutti uniti in un pianto di gioia, tutti stretti in abbracci mozzafiato, tutti fratelli nell’urlo liberatorio che ha spazzato via 61 anni di libertà condizionata

Ed è stata probabilmente questa esplosione popolare di giubilo ad aver convinto la candidata Colorada, Blanca Ovelar, ad ammettere candidamente la sconfitta solo un paio di ore dopo la chiusura dei seggi: “Riconosciamo il trionfo del candidato Fernando Lugo e assumiano che i risultati della consultazione popolare sono irreversibili”. Parole secche e incontrovertibili quelle della primadonna che, con il 30,7% delle preferenze, ha dato il volto, o meglio la faccia, alla definitiva débacle del partito repubblicano più longevo del Sudamerica. Un brusco dietrofront quindi per la rappresentante “colorada” che, assieme al presidente uscente Nicanor Duarte Frutos, ha scatenato nelle ultime battute prima del confronto elettorale una violenta campagna diffamatoria contro Lugo, culminata nell’accusa di sequestro e omicidio, in connivenza con le Farc venezuelane, della figlia dell’ex presidente colorado Cecilia Cubas.

Prima delle congratulazioni delle Ovelar, sono arrivate quelle dell’altro presidenziabile, l’ex generale e neo-con Lino Oviedo, inaspettatamente docile nell’accettare la sconfitta affermando che “ il Paraguay era disperatamente bisognoso di un cambio alla sua guida. Io proponevo un’alternativa ma quella del senor Lugo è stata evidentemente preferita dall’amato popolo. Appoggerò la politica dell’ex vescovo ogni qualvolta questa rappresenti il bene del Paese”. Ed è proprio il bene del Paese la prima preoccupazione del neoeletto. “Questa nazione ha diritto a nuovi orizzonti – sentenzia Lugo nella conferenza stampa che ha seguito la sua virtuale proclamazione – non più povertà, non più fame. Ne abbiamo vista fin troppa negli occhi delle madri che hanno salutato i loro figli espatriati per trovare lavoro e l’abbiamo visto nella sofferenza che segna il volto dei bambini”.

Dal 15 agosto, giorno ufficiale dell’insediamento come presidente, Fernando Lugo il vescovo dei poveri, comincerà ad intraprendere il lungo percorso con il quale vuole risollevare la nazione messa in ginocchio da 61 anni di corruzione e impunità. Riforme prima di tutto, da quella agraria a quella dell’educazione, passando per la salute e la sovranità energetica. A sostenere la sua Alianza, nel cui cuore battono diverse anime socialiste e riformiste pronte ad appoggiare ogni sua decisone.

Con la vittoria dell’ex monsignore, cade quindi la penultima roccaforte dell’America Latina vicina - e gradita - al governo della Casa Bianca, che dovrà probabilmente rivedere il piano di dirottare gli stealth espulsi dal nuovo Ecuador di Correa, nella cosidetta zona della Tripla Frontera di cui il Paraguay fa parte assieme a Brasile e Argentina. I commenti dagli States giungono carichi di scetticismo: “Non sappiamo quanto Lugo andrà a cambiare il paese, o quanto potrà cambiarlo - afferma Mark Weisbrot (Panebianco, sic!) del Center for Economic and Policy Research di Washington – dipenderà tutto dal suo atteggiamento. Ma siamo sicuri che andranno a giocare secondo le regole della democrazia? “ conclude con una punta di polemica dalle pagine del Washington Post.

Fernando Lugo potrebbe poi far storcere il naso anche ai suoi grandi vicini. Se infatti, come da programma, il neopresidente pretenderà la rinegoziazione dei penalizzanti trattati energetici sulle due grandi dighe di Itaipù e Yaciretà, colossi dell’idroelettrica costruiti lungo il confine segnato dal Rio Paranà, i rapporti diplomatici con i governi di Brasilia e Buenos Aires potrebbero compromettersi bruscamente. Quello che rimane infine di questa schiacciante vittoria è l’immagine di una nazione che finalmente alza la testa e prova a dimenticare una delle più sanguinose dittature militari del ‘900 per instradarsi verso una matura democrazia.

Il vento socialista che ha radicalmente modificato la morfologia politica dell’America del sud ha soffiato anche su questa piccola, ma orgogliosa nazione. Ma per i paraguayani il merito non va alla politica nè al carisma: se Fernando Lugo ha raggiunto lo scranno di Palacio Lopez è perchè questo era “el plan de Dios”.


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