di Michele Paris

Con 7 voti a favore e 2 contrari, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha confermato la costituzionalità del procedimento utilizzato dallo Stato del Kentucky nella somministrazione dell’iniezione letale per le esecuzioni capitali. Il caso in questione (“Baze contro Rees”) era stato avviato lo scorso anno dai legali di due detenuti nel braccio della morte in Kentucky, Ralph Baze e Thomas C. Bowling, i quali avevano sollevato dubbi circa la conformità all’Ottavo Emendamento della Costituzione, che vieta di infliggere ai condannati punizioni inutilmente crudeli e dolorose, del metodo con cui viene eseguita tale condanna. In attesa del pronunciamento del supremo tribunale americano, negli ultimi mesi si era assistito ad una moratoria di fatto di tutte le condanne a morte, situazione che aveva alimentato le speranze di quanti si auguravano un passo importante verso la definitiva abolizione della pena capitale negli USA. Nonostante il parere dei giudici dia invece il via libera alla ripresa delle esecuzioni, tra le pieghe della sentenza è possibile tuttavia cogliere qualche segnale di speranza. La pratica dell’iniezione letale è attualmente impiegata in 35 dei 36 Stati che contemplano la pena di morte (unica eccezione il Nebraska). La questione presentata alla Corte Suprema non riguardava in realtà la costituzionalità dell’iniezione letale in sé, ma bensì il protocollo adottato dall’amministrazione giudiziaria del Kentucky, e da altri Stati, che prevede l’utilizzo di tre sostanze chimiche, le quali secondo i postulanti non garantirebbero una morte dignitosa. Dal momento che alle esecuzioni non può essere ammesso del personale medico qualificato, un’errata somministrazione del potente anestetico (un barbiturico denominato “Sodium Thiopental”) che viene iniettato preliminarmente nel corpo del condannato potrebbe lasciare quest’ultimo cosciente ed esposto alle terribili sofferenze, sia pure senza possibilità di manifestarle, prodotte dai due veleni successivi che hanno il compito di paralizzare i muscoli del corpo e di determinare l’arresto cardiaco.

La deliberazione che ha respinto l’appello è stata esposta ufficialmente dal Ministro della Giustizia John G. Roberts jr., che secondo l’ordinamento americano presiede anche la Corte Suprema stessa, il quale, pur non chiudendo completamente la porta ad altre future istanze, ha però fissato dei requisiti minimi ai quali eventuali richiedenti avranno non poche difficoltà ad uniformarsi. I giudici infatti potranno prendere nuovamente in considerazione casi della stessa natura non solo se una procedura di iniezione letale all’interno di un qualsiasi Stato “crea in maniera dimostrabile un rischio di intenso dolore”, ma anche solo se verranno presentate alternative “praticabili” e “rapidamente implementabili nel sistema” così da ridurre “significativamente” il suddetto rischio. Non saranno cioè accettati appelli basati su “protocolli alternativi lievemente o marginalmente più sicuri” rispetto a quello attualmente in vigore. “Soltanto perché un metodo di esecuzione può causare dolore, sia per motivi accidentali o come inevitabile conseguenza della condanna a morte stessa, esso non può essere considerato come oggettivamente e intollerabilmente a rischio di procurare una sofferenza tale da rientrare nel dettato dell’Ottavo Emendamento”, ha aggiunto Roberts.

I rischi che il sistema utilizzato nel Kentucky porta con sé sono stati peraltro già presi in considerazione da svariati Stati dell’Unione che negli ultimi anni si sono adoperati per adottare accorgimenti affinché la prima dose di anestetico venga somministrata in quantità adeguata. Su questa linea, il membro della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg, nominata da Bill Clinton ed espressasi a favore dell’appello, in una dichiarazione separata ha infatti invitato il Kentucky ad adeguarsi ai provvedimenti già presi recentemente da Stati come Alabama, California, Florida, Indiana e Missouri. Dello stesso parere anche l’unico altro giudice che ha scelto di votare contro la maggioranza, David H. Souter, assegnato alla Corte Suprema da George H. W. Bush nel 1990 ma solitamente schierato con l’ala liberal.

Rilevante è stata poi la presa di posizione del giudice più anziano attualmente in carica, l’88enne John Paul Stevens, nominato nel 1975 da Gerald Ford e anch’esso generalmente assestato su posizioni progressiste. Nonostante abbia votato per respingere l’appello dei detenuti, e nonostante avesse appoggiato la deliberazione della Corte Suprema che nel 1976 reintrodusse la pena di morte negli USA, Stevens ha sostenuto ufficialmente la necessità dell’abolizione della pena capitale in tutto il paese.

A fare la differenza nel caso “Baze contro Rees” è stata, come si era potuto dedurre dalle precedenti audizioni, la maggioranza dei giudici conservatori. I più accesi difensori non solo del metodo attualmente in uso nel Kentucky, ma soprattutto della pena di morte in sé, sono stati i due membri italo-americani Antonin Scalia e Samuel A. Alito jr., nominati il primo da Ronald Reagan e il secondo da George W. Bush. Come questi ultimi, anche l’unico attuale membro della Corte Suprema di colore, Clarence Thomas, ha votato con la maggioranza, respingendo sbrigativamente l’istanza in quanto, a suo parere, non può sussistere alcuna violazione dell’Ottavo Emendamento se non vi è una deliberata intenzione di infliggere dolore al condannato.

In seguito alla deliberazione della Corte Suprema, la sospensione delle esecuzioni in tutti gli Stati Uniti verrà così automaticamente cancellata e Texas, Alabama, Florida, Oklahoma ed altri Stati del Sud tradizionalmente molto attivi nell’applicare la pena di morte, potrebbero dare il via libera a numerose esecuzioni già dalle prossime settimane. Il Governatore della Virginia, il democratico Tim Kaine, si è affrettato poi ad annunciare l’annullamento della moratoria che egli stesso aveva imposto qualche mese fa nel suo Stato in attesa del parere dei giudici.

Tuttavia, secondo il parere di molti giuristi, il verdetto raggiunto dalla Corte Suprema non fornisce affatto un’interpretazione chiara e uniforme dell’intera questione. Secondo le parole pronunciate da John G. Roberts jr. infatti, dovrebbero risultare immuni da futuri appelli quegli Stati che prevedono protocolli “sostanzialmente simili” a quello del Kentucky. Dal momento che ben pochi dettagli si conoscono sulle procedure adottate nella pratica dell’iniezione letale in questo Stato, dove l’unica esecuzione con questo metodo da quando è stata reintrodotta la pena di morte negli USA risale al 1999, la definizione “sostanzialmente simili” potrebbe generare confusione e fornire il fondamento per ulteriori futuri richieste di appello.

L’impressione complessiva, alimentata anche dalle divisioni tra i membri della Corte Suprema che appaiono più profonde di quanto non dimostri la maggioranza con la quale l’appello è stato respinto, è che le amministrazioni giudiziarie di quegli Stati che negli ultimi trent’anni hanno applicato con una certa regolarità la pena di morte continueranno sulla loro strada, mentre dove essa è in vigore sulla carta pur senza essere eseguita da tempo, le condanne potrebbero essere ulteriormente diradate fino ad un auspicabile abbandono della pena di morte stessa, come è avvenuto lo scorso mese di dicembre nel New Jersey.

Subito dopo aver deliberato in merito al caso “Baze contro Rees”, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rivolto poi la propria attenzione ad un altro appello legato all’esecuzione capitale. In Louisiana infatti è in corso una diatriba legale intorno alla costituzionalità della pena di morte applicata nei casi di violenza carnale sui minori. Sono ben 43 anni che negli USA non viene eseguita una condanna per un reato di questo genere. Nel 1977, quando vi erano 30 detenuti nel braccio della morte delle prigioni americane accusati di questo crimine, la Corte stabilì che l’Ottavo Emendamento vietava l’applicazione della pena di morte per violenza carnale ove non sussisteva il decesso della vittima.

Ciononostante, nel 1995 lo Stato della Louisiana, e successivamente altri quattro Stati ne seguirono l’esempio, introdusse tale misura nel proprio ordinamento. Il postulante nel caso in questione (“Kennedy contro Louisiana”) è Patrick Kennedy, condannato a morte per aver violentato la figliastra di 8 anni. Non avendo precedenti penali, il detenuto coinvolto nel caso non sarebbe stato invece condannabile alla pena capitale negli Stati di Montana, Oklahoma, South Carolina e Texas, dove tale legge è applicabile esclusivamente a quanti abbiano già subito precedenti condanne.

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