di Giuseppe Zaccagni

Per il futuro del Kosovo (autonomia completa da Belgrado) sono in arrivo due nuovi appuntamenti ufficiali. Il primo è quello del 16 gennaio con la riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che affronterà i temi di quella missione Unmik (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo) che sta attualmente gestendo a nome del Palazzo di Vetro l’amministrazione della regione serba; il secondo - probabilmente decisivo - è per il 28 gennaio quando l’Unione Europea dovrà firmare l’accordo Asa (che prevede, appunto, la stabilizzazione e l’associazione tra Unione europea e Serbia) oppure inviare la sua già annunciata missione civile in Kosovo. Tutto questo mentre a Belgrado si scatena una reazione violenta, con il premier serbo Kostunica che ribadisce la sovranità sulla “provincia” e ammonisce che ogni implicito riconoscimento della sua indipendenza bloccherebbe il processo di avvicinamenti all’Ue. Si assiste così ad una nuova e pressante operazione di smantellamento delle posizioni di compromesso che, in un certo senso, si erano andate delineando nei mesi scorsi. Ma ora il silenzioso dissenso di un tempo diviene sempre più assordante. Con il governo di Belgrado che in queste ore pur sapendo di dover prendere difficili decisioni ribadisce con forza all’Unione Europea che non intende recedere sulla questione della sovranità serba sul Kosovo. E in questo contesto Kostunica lancia un nuovo ultimatum. “Siamo arrivati - dichiara - al momento in cui l’Ue deve fare una scelta: se vuole cioè come partner una Serbia riconosciuta internazionalmente e integra, o vuole invece creare uno stato fantoccio sul territorio di un paese sovrano”.

Si sa che gli albanesi-kosovari (appoggiati da Tirana) potrebbero proclamare unilateralmente nei prossimi mesi l’indipendenza della provincia, con un’iniziativa alla quale la Serbia - sostenuta dalla Russia - si oppone fermamente. Significativa, in questo contesto di allarme, la posizione del ministro degli Esteri russo, Lavrov. E’ lui che ricorda che l’interpretazione che alcuni Paesi danno della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza (quella che nel 1999 stabilì l’intervento internazionale in Kosovo, ribadendo al tempo stesso la sovranità serba sulla provincia) a giustificazione dell’indipendenza del Kosovo “è una interpretazione di parte e pericolosa. E i paesi che vogliono implicare l’Onu non fanno un buon servizio al Segretario generale delle Nazioni Unite”. “Noi siamo convinti - insiste l’esponente del Cremlino - che il Segretario dell’Onu manterrà la sua integrità e non si lascerà compromettere. Noi faremo tutto per questo”.

Ma a parte queste dichiarazioni tutto rivela che si è ad un punto di non ritorno perché i serbi, in pratica, non vanno alla ricerca di nuovi equilibri. Puntano a soluzioni stabili, definitive. Con Kostunica che basa le sue decisioni su una maggioranza parlamentare schiacciante che chiede di portare Belgrado a rinunciare all’integrazione sia nell’Unione Europea, sia nella Nato, nel momento in cui i Paesi dell’Alleanza atlantica dovessero riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Come è noto, infatti, l’Ue ha deciso durante il suo ultimo vertice in dicembre di mandare in Kosovo una missione di circa 1800 poliziotti e funzionari amministrativi che dovrebbero sostituire l’Unmik. Il via libera per questa nuova missione potrebbe essere dato appunto nella prossima riunione dei ministri degli Esteri.

Intanto non cessa l’allarme per il futuro dell’intera area. C’è il rischio che esplodano “reazioni nei Paesi limitrofi” in uno scenario di fondo caratterizzato per i prossimi mesi da una fase di accentuata tensione non solo nel Kosovo ma nell’intera area balcanica. Da Belgrado arrivano intanto notizie allarmanti. Si parla di un coinvolgimento dell’Italia e si fa notare che il territorio italiano potrebbe essere utilizzato per il transito di forniture e di volontari destinati ad alimentare gruppi di estremisti di etnia albanese. E sempre in Serbia si manifesta preoccupazione per eventuali manifestazioni che si potrebbero svolgere in Italia in appoggio alla causa degli albanesi kosovari.

Ma le nubi che si addensano sul Kosovo arrivano anche nel Caucaso. Perché in Abchasia - la repubblica autonoma della Georgia che rivendica la sua autonomia da Tbilisi - il presidente locale Sergej Bagapsh, dichiara che l’eventuale decisione dell’Occidente di riconoscere l’indipendenza del Kosovo sarà usata sicuramente come precedente per le altre regioni nel mondo, inclusa appunto l’Abchasia. Se l’Occidente prenderà una decisione del genere è, quindi, certo che la Russia, la Bielorussia e gli altri membri della Comunità di Stati Indipendenti riconosceranno l’Abchasia come uno stato sovrano. E una soluzione simile arriverà - ha annunciato l’esponente abchaso - anche per la Transnistria, regione che tende alla spartizione dalla Moldavia. E se a questo si aggiunge il rischio di una secessione dell’Ossezia del Sud - sempre in Georgia - si comprende che la situazione generale porterà sempre più a ripercussioni negative sul quadro della sicurezza internazionale e ad un ulteriore deterioramento nelle relazioni russo-statunitensi.

E mentre il “tema” del Kosovo figura nel dossier delle emergenze diplomatiche Belgrado segue con estrema attenzione (ed anche con una certa soddisfazione viste le destabilizzazioni che si creano…) i sommovimenti in Albania. Qui, infatti, i partiti dell’opposizione albanese guidata dai socialisti manifestano contro il governo di centro-destra del premier Sali Berisha. Si ha notizia di alcune migliaia di cittadini e sostenitori dell’opposizione che guidati dal sindaco di Tirana, il socialista Edi Rama, sfilano per le vie della capitale chiedendo “Energia e acqua, meno disoccupazione e povertà”. La manifestazione definite dall’opposizione “una cartolina di Natale per il premier” si svolgono nella piazza centrale di Tirana, davanti alla sede del Governo, con comizi tenuti dai principali leader dell’opposizione.

Tutti gli oratori attaccano la maggioranza governativa per “essere venuta meno alle promesse fatte dagli albanesi”. E le tesi più diffuse in questo momento sono quelle relative al fatto che dopo la caduta del comunismo l’Albania non è ancora un Paese dove vemngono garantite le libertà e i diritti, ma un Paese in cui la dittatura della corruzione reprime ogni giorno i cittadini. Le proteste sono così, come dichiara l’ex primo ministro Ilir Meta che guida il Movimento socialista per l’integrazione, “l’unica via che ci è rimasta perché la voce dei cittadini e le loro preoccupazioni possano farsi sentire”.

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