Gli obiettivi più "curati" dalla diplomazia russa si sono
concentrati sino ad oggi, con una precisa scansione temporale, in sei grandi
aree. Tutte in qualche modo riferite allo spazio ex sovietico: Europa, Cina-India,
Usa, Giappone, Golfo (Iran-Iraq). Ma ora dal Cremlino è partito l'ordine
di "curare" con estrema attenzione quel continente africano che, negli
anni dell'Urss, era appunto al centro della diplomazia sovietica. Era l'Africa,
infatti, il filo conduttore di gran parte della politica estera moscovita con
una forte caratterizzazione sul piano dei rapporti stabiliti dal complesso militare-industriale.
La situazione sta cambiando poiché le presenze simultanee d'interessi
russi non si limitano più a generici interventi, ma investono grandi
realtà socio-economiche del continente dove una miriade d'imprese minori
- nate nel clima della Russia post-sovietica - si stanno attivando, conquistando
seri spazi economici. L'obiettivo è di cogliere al volo le nuove occasioni. Il Cremlino, quindi, non resta alla finestra e, di conseguenza - questa la
strategia di Putin - recupera il tempo perduto. E così via dai media
quelle ironie sull'"aiuto sovietico" che andava ai movimenti rivoluzionari
africani e via anche le polemiche sulla presenza a Mosca di studenti africani.
C'è - è vero - molto da fare in questo campo, tenendo anche conto
che parte degli apparati diplomatici - formatisi negli anni dei ministri Scevardnadze
e Kozyrev - hanno cancellato l'Africa, ritenendola un covo di "stati canaglia".
Putin, ora, volta pagina. Con un ordine ben preciso che non arriva, però,
al vecchio grattacielo del ministero di piazza Smolensk, a Mosca, ma raggiunge
una vecchia palazzina situata in un vicoletto del centro dove, al decimo piano
di un palazzone ministeriale, si trovano gli uffici che seguono l'Africa dal
punto di vista "istituzionale" - regna una certa insofferenza. Perché
Putin ha nominato responsabile di quest'operazione di recupero del continente
un personaggio di sua fiducia, ma lontano dal giro della diplomazia ufficiale.
L'uomo si chiama Aleksei Michailovic Vasiljev, ha 67 anni, ha il titolo di
"Accademico" e dirige l' "Istituto dell'Africa" presso l'Accademia
delle Scienze della Russia. Personaggio di grande valore che conosce i mondi
dell'Africa e dell'Asia sia al punto di vista sociale che storico-politico.
Alle spalle ha esperienze uniche: ha frequentato l'università del Cairo;
è stato inviato speciale della "Pravda" nel Vietnam, in Turchia
e in Egitto; ha diretto negli anni sovietici l'istituto dell'Africa; ha compiuto
viaggi di studio e missioni politiche nelle regioni dell'Asia centrale, nell'Estremo
Oriente, in Israele e in Palestina; ha studiato le questioni del mondo islamico;
ha lavorato nelle università degli Usa, dell'Inghilterra, della Francia,
dell'Arabia Saudita, dell'Oman, del Qatar e del Kuwait. Autore di centinaia
di lavori di carattere scientifico e politico, è ora alla testa di quest'Istituto
dell'Africa che ha la sua sede, appunto, nel vicoletto Spiridonovka, nel centro
di Mosca. Lontano dal cuore diplomatico della Russia, ma vicino al cuore di
Putin. Ed è appunto questo sessantasettenne che ha ora il compito di
seguire aree geografiche di immediato interesse, attivando strumenti conoscitivi
ed operativi, efficaci e credibili. L'obiettivo generale consiste non solo e
non tanto nel recuperare il tempo perduto, ma nel prevedere ed organizzare i
passi futuri. Mettendo in campo una straordinaria capacità di sintesi
unita alla profonda, e vissuta, conoscenza dall'interno della storia recente
del continente africano. E così, per gli analisi dell'Istituto di Vasiljev,
l'Africa non è più un nome che sta a significare il crollo quasi
completo del colonialismo, ma è il simbolo di un risveglio nazionale
dei popoli africani. Tenendo conto che nei confronti di questo continente -
si nota a Mosca - c'è sempre viva, in occidente, una propensione alla
balcanizzazione, poiché si è al cospetto dell'unica regione che
la guerra fredda non ha diviso, ma che potrebbe diventare in un prossimo futuro
un nuovo teatro di scontro politico.
Quali, quindi, in questo contesto gli obiettivi che il Cremlino si pone con
l'Africa?
In primo luogo Mosca punta a smussare le questioni relative alla discriminazione
razziale e alla xenofobia. E ancora: nessuna concessione a quelle posizioni
"africaniste" che tendono a bollare Israele come stato razzista in
cui vigerebbe un regime di apartheid. In generale, si cerca di affermare tesi
che condannano quelle pagine di storia africana segnate dallo schiavismo della
prima età coloniale, ma tutto visto ed inquadrato in una prospettiva
di sicurezza generale e di pace per prevenire e gestire i possibili conflitti
fra stati continentali.
Fra le dichiarazioni di principio che la Russia di Putin avanza per l'Africa
c'è la promozione delle energie rinnovabili e l'impegno a dimezzare entro
il 2015, il numero di persone che non hanno accesso all'acqua potabile. In pratica
una realistica e nuova filosofia di relazioni internazionali.
E mentre si approntano questi piani di intervento, gli analisti dell'Istituto
di Vasiljev si affrettano a ricordare al Cremlino che nel passato paesi come
Guinea, Ghana, Benin, Etiopia, Repubblica del Congo e Madagascar avevano adottato
regimi e pianificazioni di tipo socialista, poi progressivamente abbandonati
dalla fine degli anni '80. Sono state poi le istituzioni finanziarie internazionali
(FMI e Banca mondiale) ad imporre politiche economiche restrittive capaci di
favorire il riequilibrio dei bilanci statali, aumentando però le disparità
sociali.
Un certo sviluppo autonomo si è avviato solo in alcuni paesi nordafricani
(come il Marocco, strettamente collegato alla UE) e soprattutto nella Repubblica
Sudafricana che, dopo la fine del regime dell'apartheid, è divenuta il
paese guida nella regione centro-meridionale.
Gli analisti russi ricordano che negli anni '70, tramontando gli imperi coloniali
di Portogallo e Spagna, si registrò la nascita di diversi organismi associativi
a carattere politico ed economico, come l'Organizzazione per l'unità
africana (OUA), fondata nel 1963. Ma è pur vero - questa la notazione
costante che viene fatta dall'equipe che lavora oggi con Vasiljev - che in gran
parte degli stati africani indipendenti si erano formati dei regimi autoritari,
spesso corrotti e sostenuti dalle ex potenze coloniali o dalla stessa Unione
Sovietica, che assicuravano l'ordine interno e la regolarità della fornitura
delle materie prime.
La fine dell'equilibrio bipolare ( negli anni 1989-91) ha determinato una generale
trasformazione istituzionale verso il multipartitismo sotto la tutela di organismi
finanziari internazionali (FMI, Banca mondiale) che hanno imposto politiche
di riaggiustamento strutturale con effetti spesso drammatici per le condizioni
di vita della popolazione. Tenendo conto di questo la nuova diplomazia russa
è chiamata a mostrare equilibrio nelle sue azioni e nelle sue eventuali
reazioni. Nel concreto, pare dipanarsi una strategia russa tesa a restituire
un ruolo importante in tutto lo scacchiere africano e mediorientale.
Algeria
A Mosca si cerca di ricucire il rapporto politico con l'Algeria e di rinunciare
a quella terminologia di un tempo che definiva il paese come sede di una "rivoluzione
mancata". Nessun accenno, inoltre, al ruolo antimperialista avuto dall'Urss.
Vince ora il pragmatismo e si punta sulle relazioni economiche cercando anche
di formare un cartello comune sul campo dell'industria del gas e del petrolio.
Mosca, di conseguenza, dovrà sempre più valorizzare il peso economico
dell'Algeria. Un Paese, cioè, che va al passo con i tempi grazie alla
realizzazione di un importante settore dell'industria siderurgica nazionale,
che associa il gas naturale allo sfruttamento di ingenti risorse minerali di
ferro. Notevole sarà, in questo contesto, l'aiuto che verrà ad
Algeri dalla nuova Russia. Che porterà - queste le linee indicate da
Vasiljev - a raggiungere vie di progresso reale con la partecipazione, appunto,
di capitali russi nei campi petroliferi e petrolchimici.
Angola
Sul rapporto con Luanda il consiglio dell'Istituto di Vasiljev consiste nel
fatto che non è più necessario sottolineare la portata di quella
audacissima operazione che consistette nel portare, con un ponte aereo sovietico,
volontari cubani a combattere per la liberazione dell'Angola. Ma nel rivedere
e rileggere la storia passata non si può far finta di dimenticare che
l'URSS fu abile a porsi come paladino dei rivoltosi gettando un'ipoteca ideologica
sul futuro sviluppo degli avvenimenti. Oggi a prevalere devono essere i rapporti
economici e quelli relativi alla preparazione dei quadri nei settori scientifici.
Egitto
Le domande poste dal Cremlino all'Istituto di Vasiljev sono molte. Si chiede,
in particolare: l'Egitto è arabo o non arabo? Allineato o non allineato?
Socialista o capitalista? In pace o in guerra con Israele? Partendo dalla considerazione
che il modello nasseriano delle cooperative agricole è fallito, perché
a una loro crisi endogena si è aggiunta la liberalizzazione di Sadat?
E quali sono le conseguenze attuali? E' ponendo queste domande che Putin cerca
di "leggere" l'attività di Hosni Mubarak, uomo dalla formazione
militare che Mosca guarda sempre con una certa simpatia, ricordando che studiò
e si specializzò in Urss da dove, comunque, tornò con un giudizio
assai severo sul comunismo. Intanto per la Mosca di oggi il sistema egiziano
è da sempre il principale alleato arabo degli Usa. Ma sotto i colpi dell'integralismo
il regime di Mubarak traballa. E' colpa di una crisi pesante che facilita il
proselitismo islamista. E di un atteggiamento ambiguo del governo verso gli
estremisti. Gli analisti russi rilevano infine che sono più di vent'anni,
dal momento dell'assassinio di Sadat nel 1981, che l'Egitto cerca di venire
a capo del terrorismo islamico.
Oltre alle notazioni di ordine sociale e politico, Mosca ricorda con sempre
maggiore attenzione il ruolo svolto alla vecchia Urss - dal 1960 al 1972 - nella
progettazione e costruzione della diga di Assuan. Ma quello che oggi interessa
i russi è il nuovo rapporto che si può stabilire con il Cairo
a proposito delle forniture militari. Perché l'Egitto, nel passato, è
stato un terreno favorevole per lo sviluppo del complesso militare-industriale
di Mosca. E ora il Cairo potrebbe trattare l'acquisto di nuovi aerei militari
russi e di pezzi di ricambio per gli ormai obsoleti armamenti made in Urss ancora
in dotazione alle forze armate locali.
Obiettivo della Russia, nel quadro di una politica realista nei confronti di
Mubarak, sarà poi quello di inserirsi nel campo di quella tecnologia
europea ed americana che ha già conquistato gran parte dell'Egitto. I
russi cercheranno di assumere impegni economici ed industriali di varia portata
e a lungo termine.
Etiopia
Il rapporto con l'Etiopia è tutto da ricostruire. Mosca ricorda quel
settembre del 1984 quando ad Addis Abeba, in occasione dell'anniversario della
caduta di Hailè Selassié, fu costituito il Partito dei Lavoratori
d'Etiopia (WEP), un partito unico di tipo marxista-leninista alla cui guida
fu eletto Menghistu. Il Partito unico elaborò poi una Costituzione che
trasformò l'ex impero in "Repubblica popolare". Di conseguenza,
il potere militare si trasformò gradualmente in "socialismo reale"
lasciando però i gravissimi problemi del paese - carestie e guerriglie
- irrisolti. Fu verso la fine degli anni Settanta che Mosca decise di appoggiare
i militari del DERG (Comitato provvisorio amministrativo e militare presieduto
dal tenente-colonnello Menghistu) concludendo un trattato di amicizia e cooperazione
che preannunciò l'ingresso dell'Etiopia nella "grande famiglia"
degli Stati socialisti. Ne conseguì il fatto che l'Etiopia si caratterizzò
per un'alleanza sempre più stretta con l'Urss, fino a diventarne la pedina
più dipendente e docile del continente africano. Il problema attuale
consiste, per Mosca, di riprendere i contatti ottenendo, però, una credibilità
internazionale perché affiorano, pur sempre, riferimenti o parallelismi
con il passato.
Guinea
Mosca ricorda sempre che la Guinea, sotto la guida del leader Sékou Touré,
assunse una linea politica filosovietica, attenuatasi nei primi anni '80, a
causa della difficile situazione economica. Poi, dopo la morte di Touré,
il potere è stato a lungo nelle mani di una giunta militare guidata da
Conté, confermato anche dopo il
formale restauro delle istituzioni democratiche nel 1994-95. Da allora - nell'arco
di tempo tra il 2000 e il 2001 - il paese è stato coinvolto nelle azioni
della guerriglia (Coalizione di forze democratiche della Guinea) e di bande
armate provenienti da Liberia e Sierra Leone. Ma il Paese - sostengono gli analisti
ingaggiati da Putin - rappresenta pur sempre un terreno di sviluppo economico.
Di qui lo sforzo di promuovere dialoghi e consultazioni ad ampio raggio come
componente essenziale della nuova politica del Cremlino.
Libia
Dal momento in cui la rivoluzione del 1969 ha portò alla ribalta il nazionalista
arabo Gheddafi, Mosca si è sempre interrogata sulla reale natura del
"sistema" libico. Ora c'è la convinzione che il paese stia
vivendo una fase di moderazione e che si stia allontanando dal terrorismo islamico.
Gheddafi - si dice a Mosca abbraccia la causa africana ma sente il profumo degli
affari. E allora per la Russia c'è posto. Anche considerando il fatto
che al grande sviluppo delle attività industriali connesse con il settore
petrolifero, corrisponde un progressivo deterioramento dell'agricoltura, dovuta
in parte al massiccio esodo dalle zone rurali alle città industrializzate.
L'auspicio e la conseguente indicazione è che la Russia si mostri in
grado di prendere parte alla ricostruzione del settore agricolo della Libia.
E' questa - in rapida sintesi - la situazione dell'Africa vista da Mosca.
Ma bisogna pur dire - e di questo la diplomazia russa non fa segreto - che la
realpolitik impone regole di comportamento pragmatiche e bilanciate. Putin non
può disegnare una sua utopia politico-sociale. Ma è anche vero
che l'Africa - un tempo nell'orbita di una Russia sovietica per motivi di schieramento
ideologico e militare - con un diverso articolarsi delle strutture sociali ed
economiche potrebbe rivelarsi in prospettiva realmente vicina. Al momento l'Istituto
russo dell'Africa studia e propone. In silenzio e lontano dalla diplomazia attiva.
Pur se in precisi ambienti occidentali la "tesi" di una Russia che
torna ad occuparsi (come avveniva con l'Urss) di un'Africa - che dovrebbe rientrare
nel raggio di interessi del Cremlino - desta preoccupazioni. E così si
cerca di ricordare che Mosca ha chiaramente sufficiente carne al fuoco per allargare
ulteriormente la propria espansione. E' quanto sostiene - ad esempio - un esperto
di relazioni internazionali come il professor Paul Kennedy della Yale University
che esprime, pur se indirettamente, le preoccupazioni occidentali relative ad
una Russia che torna a fare politica "globale". Non si vuole, infatti,
che Mosca si muova al di fuori delle sue coordinate geografiche. Ma con o senza
il Washington consensus, Putin sta alzando il tiro. L'orso russo ha voglia
d'Africa.