La questione cruciale nella crisi russo-ucraina in queste ultime settimane del mandato di Joe Biden sembra avere a che fare con quanto in là Washington e Kiev intendono andare nel superamento delle “linee rosse” poste da Mosca e, dall’altro lato, dove arriverà la pazienza strategica della Russia per non fare esplodere il conflitto con la NATO in attesa di comunque difficili sviluppi diplomatici una volta che Trump si sarà reinsediato alla Casa Bianca. Anche se l’apertura di un qualche dialogo non dovesse essere boicottata interamente da qui al 20 gennaio prossimo, le prospettive di pace restano complicate e il percorso appare molto stretto per mettere d’accordo le legittime richieste del Cremlino con i tentativi di evitare una sconfitta catastrofica da parte dell’Occidente e del regime di Zelensky.

 

L’assassinio di martedì mattina del generale russo Igor Kirillov e di un suo aiutante a Mosca si inserisce in questo scenario, essendo stato con ogni probabilità pianificato dall’intelligence ucraina (SBU). Proprio da Kiev era arrivata peraltro una sorta di rivendicazione preventiva il giorno prima dell’operazione, quando Kirillov era stato accusato pubblicamente di essere un criminale di guerra, attribuendogli, senza nessuna prova, la responsabilità di una serie di attacchi in Ucraina con armi chimiche.

Più probabilmente, si è trattato di un atto di vendetta contro un alto ufficiale che, visto il suo incarico, aveva indagato e rivelato varie attività occidentali e ucraine in relazione sempre ad armi chimiche e biologiche. Kirillov aveva tra l’altro denunciato l’esistenza di bio-laboratori americani in Ucraina dove si svolgevano presumibilmente ricerche ed esperimenti con armi chimiche e biologiche. La stessa ex sottosegretario di Stato, Victoria Nuland, una delle artefici del colpo di stato di Maidan del 2014, in una deposizione al Congresso lo scorso anno aveva espresso preoccupazione per il possibile ingresso dei russi nei laboratori che il suo paese operava in Ucraina.

Il governo di Mosca, che ha annunciato mercoledì il fermo di un individuo “reclutato da Kiev” per compiere l’operazione, non ha ad ogni modo perso tempo nell’identificare complici e mandanti. Il collegamento immediato è stato evidentemente alla CIA e al MI6 britannico, visti anche i precedenti degli ultimi tre anni. Anche la stampa americana aveva raccontato nei mesi scorsi di reparti speciali ucraini addestrati dall’intelligence occidentale per portare a termine assassinii e atti terroristici in territorio russo. Le accuse immediate del Cremlino contro i paesi NATO rappresentano comunque una chiara escalation della retorica russa in risposta alle provocazioni del regime ucraino e dei suoi sponsor.

È molto probabile che il presidente Putin intenda comunque continuare a tenere un atteggiamento prudente, ben sapendo che le iniziative studiate o autorizzate dall’amministrazione Biden puntano precisamente a innescare una reazione russa che leghi da subito le mani a Donald Trump. Nell’apparato di potere russo e, in particolare, negli ambienti militari crescono tuttavia le pressioni per una decisione radicale che punisca i mandanti di questi atti e dia un messaggio chiaro all’Occidente che non verranno tollerate altre provocazioni di questo genere. I malumori in Russia si stanno diffondendo rapidamente, anche perché l’assassinio di Kirillov arriva a seguito degli attacchi dentro i confini russi con missili americani ATACMS.

D’altro canto, la stessa ostentazione delle proprie responsabilità da parte ucraina, sia pure senza ammettere direttamente di avere pianificato l’attentato, indica un atteggiamento insieme disperato e rischiosissimo, volto a istigare la ritorsione russa per non lasciare altra scelta agli alleati occidentali che alzare il livello del loro coinvolgimento nel conflitto.

Alcuni commentatori indipendenti ritengono che l’uccisione di Kirillov sarà seguita da un’operazione russa direttamente contro i vertici politici o dell’intelligence ucraini. Il generale Kirillov è l’ufficiale più alto in grado e conosciuto tra quelli assassinati dall’inizio della guerra. Putin è però consapevole che i timidi segnali che stanno emergendo in queste settimane circa la disponibilità americana a trattare una soluzione diplomatica della guerra verrebbero spazzati via in caso di attacco contro un obiettivo ucraino di altissimo livello politico, militare o di intelligence.

Le dinamiche innescate dall’assassinio di Kirillov complicano così ulteriormente il clima generale delle relazioni russo-occidentali. Ciò si collega alle valutazioni e alle scelte decisive che la leadership russa sarà chiamata a fare nelle prossime settimane. La prudenza e l’attesa del ritorno di Trump alla Casa Bianca, ovvero l’opzione che Putin sembra favorire, alimentano esse stesse le chances della diplomazia. Allo stesso tempo, però, i segnali provenienti dall’amministrazione entrante a Washington sono tutt’altro che univoci. Basti pensare al fatto che la squadra messa assieme da Trump per gestire la politica estera USA è nuovamente composta per la maggior parte da falchi.

In modo ancora più preoccupante, al di là dei reali piani del presidente eletto, è tutto fuor che chiaro quali condizioni quest’ultimo potrà dettare o accettare per soddisfare le richieste imprescindibili della Russia e, in parallelo, evitare o dare almeno l’apparenza di avere evitato alla NATO e all’Occidente in genere una sconfitta strategica di proporzioni storiche. Nel concreto, Mosca ha spiegato più volte che non intende negoziare tregue temporanee, ma una pace stabile nel quadro di una nuova architettura della sicurezza europea. Le sanzioni, inoltre, dovranno essere cancellate e l’Ucraina, oltre a non entrare nella NATO, dovrà essere neutrale, disarmata quasi del tutto e “denazificata”. I quattro “oblast” annessi dalla Russia dopo i referendum del 2022 continueranno infine a far parte della federazione.

Le voci che circolano sui piani di Trump parlano invece soltanto di un congelamento del conflitto lungo in confini attuali di fatto, il possibile dispiegamento di un contingente internazionale di “pacekeeping” in Ucraina e il rinvio delle discussioni sull’ingresso di Kiev nell’Alleanza. Queste e altre ipotesi di cui si sta parlando in America e in Europa nascondono l’insidia di una ripetizione del giochetto degli accordi di Minsk, cioè che lo stop alle armi avvii un altro periodo nel quale l’Ucraina e la NATO possano riorganizzarsi militarmente per poi fare riesplodere la crisi in futuro.

Da un punto di vista più ampio, l’accettazione delle richieste russe comporterebbe per Washington il riconoscimento della vittoria di Mosca e la messa in discussione, quanto meno sul medio o lungo periodo, dell’allineamento praticamente totale dell’Europa agli interessi americani, ottenuto appunto grazie alla guerra e alle scelte suicide della classe politica europea. D’altro canto, ci sono settori del sistema di governo negli Stati Uniti, a cui Trump fa appunto riferimento, che vedono con crescente inquietudine il prolungarsi di una guerra onerosa e con poche prospettive di indebolire realmente la Russia o di sganciare Mosca da Pechino. Per questo, l’obiettivo sarebbe di trovare un accomodamento con il Cremlino per dirottare le risorse verso il “competitor” numero uno dell’imperialismo USA, vale a dire la Cina.

Per tutte queste ragioni, le sorti dell’Ucraina e della guerra restano in bilico, ma l’indicazione che arriva da Washington è che l’amministrazione repubblicana voglia quanto meno provare a chiudere la crisi, nonostante le premesse non risultino propriamente incoraggianti. Trump ha recentemente criticato in maniera ferma la decisione di Biden di autorizzare l’uso di missili a lungo raggio americani in territorio russo, quasi a rassicurare Putin che, una volta insediato, l’ordine verrà ritirato.

Questa settimana, poi, altri segnali hanno fatto intravedere spiragli per la diplomazia. Il neo-presidente si è detto pronto a parlare direttamente con Putin e mercoledì l’inviato di Trump per l’Ucraina e la Russia, il generale in pensione Keith Kellogg, ha aperto alla possibilità di recarsi a Mosca il prossimo mese di gennaio. Forse la più solida conferma che qualcosa possa muoversi seriamente verso la diplomazia è il livello di isteria raggiunto da Zelensky, le cui uscite pubbliche testimoniano della preoccupazione diffusa nella sua cerchia di potere per una fine dei giochi che potrebbe essere ormai imminente.

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