Prepararsi alla guerra con la Russia. Folle, no? Eppure è diventato questo il cuore del discorso politico atlantista in Europa. Per Mark Rutte, neo segretario generale della NATO, ci si deve preparare ad una mentalità da guerra” e a lui fanno eco governi, politicanti, militari e giornalisti alle dipendenze dell’establishment atlantista.

Nel Vecchio Continente, ormai ridotto a strumento della politica USA, pare si siano esaurite la ragione e il buon senso che dovrebbero sempre essere presenti come precondizione nel discorso politico. Termini che fino a pochi anni orsono erano banditi sono divenuti essenza del discorso pubblico, inferti ad una opinione pubblica narcolettica. La tecnica comunicativa è quella della “rana bollita”, così aggettivata da Noam Chomsky: fuor di metafora consiste nel proporre progressivamente ma costantemente uno scenario che, di colpo, susciterebbe una immediata reazione oppositiva, ma che invece, diluito e manipolato, abitua alla concettualità e ridurre al minimo le contrarietà.

 

Tanta è la compenetrazione del sistema capitalistico europeo con il deep state statunitense, che persino il rischio di un orientamento meno aggressivo con Mosca da parte del prossimo presidente USA, getta nel panico la UE, preoccupatissima per un possibile cambio di rotta della Casa Bianca sulla guerra in Ucraina. La UE si trova ad aver tagliato i ponti alle sue spalle nel rapporto con la Russia con cui teme ora che Washinton riapra il dialogo per ragioni strategiche. Ciò lascerebbe Bruxelles con il cerino in mano, mettendola di fronte al suo fallimentare bilancio: resa ininfluente sul piano dell’autorevolezza, inesistente su quello militare e ridicola su quello sanzionatorio, sarebbe anche costretta a rivedere la retorica bellica contro Mosca, oltre che a dover provvedere in quota maggiore di prima alla sua difesa.

Non si capisce da cosa l’Europa dovrebbe difendersi, visto che nessuno l’attacca né minaccia di farlo, ma la necessità di riconversione in chiave bellica del comparto industriale europeo sembra essere l’Alfa e l’Omega delle nuove politiche continentali. L’obiettivo, invero imbecille prima che ambizioso, è quello di piegare militarmente il Cremlino.

Il messaggio globale che i paesi NATO intendono far passare è che ci si deve però preparare ad una guerra totale, perché solo con la sconfitta di Russia prima e Cina poi sarà possibile il dominio dell’Occidente sull’intero pianeta. Ora, dichiarandosi prossimi ad una guerra è ovvio che ci vogliano preparare all’eventualità. Come?

Obiettivo immediato di tanta retorica bellica? Portare il contributo di ogni singolo Paese NATO al 3% del PIL. Una cifra immensa considerato quanto già si spende. Per fare un esempio, l’Italia - quinto contribuente dei 31 dell’alleanza - si troverebbe a spendere 60 milioni di Euro al giorno, ovviamente tutti sottratti alla spesa pubblica e alla riduzione del deficit. Chi se ne gioverebbe è il complesso militar-industriale degli Stati Uniti, che provvede alla forniture NATO. Mentre per i paesi europei, portare al 3% del PIL il proprio contributo alla NATO significherebbe distruggere il sistema di tutele sociali, l’economia statunitense risentirebbe invece positivamente della crescita del suo principale volano economico, che era e resta il complesso militare industriale, l’unico settore nel quale nessun cambiamento di fase e nessuna rielaborazione della dottrina produttiva ha mai scalfito, anzi.

Per raggiungere l’obiettivo, le operatività sono su due terreni tra loro confinanti, compenetrati: la riconversione in chiave bellica della filiera industriale europea e il suo relativo indotto, e in parallelo l’ulteriore riduzione della spesa sociale, pur se in un quadro già estremamente sofferente, visto che l’indice di povertà assoluta e relativa appare l’unico con un trend di crescita nell’aera UE. Proprio la riduzione del residuo e cronicamente insufficiente welfare ancora in vigore, sembra essere una delle leve decisive per finanziare il nuovo debito pubblico, che a sua volta finanzierà il riarmo generalizzato, come indica il Rapporto Draghi sulla competitività europea presentato a Strasburgo ed a Bruxelles e che ha visto l’entusiasta adesione della Commissione Europea.

La folle strategia atlantista

L’allargamento ad Est della NATO è il motivo di tutti i conflitti succedutisi in Eurasia, narrati sotto la veste finta di “primavere” o desideri popolari di “integrazioni con la UE”.

Ma dal 2014 in forma politico-diplomatica e dal 2021 anche militare, Mosca ha deciso di porre uno stop all’accerchiamento militare della Russia da parte della NATO, che si è   accompagnato con il ritiro statunitense dagli accordi sui missili a medio raggio e da quello sull’Iran. Il tentativo di circondare la Russia si era evidenziato con il colpo di Stato in Ucraina, quindi con i tentativi in Bielorussia e Kazakistan ed ultimamente con i golpe a modalità variabile in Romania, Georgia e Moldavia. Sono tutti paesi che dovranno sostituire l’Ucraina ormai schiantata nella prossima guerra proxy: serve strutturare i prossimi eserciti sotto la guida ideologica di Baltici, Polonia e GB per ingaggiare nuove guerre contro Mosca, nella speranza di fiaccarla economicamente, militarmente e politicamente.

Le conseguenze degli assetti statuali sarebbero ovvie: si ridurrebbe la Federazione russa ad un insieme di piccole repubbliche prive di peso, riducendola ad uno stato politicamente e militarmente vegetativo. Mosca ha già avvertito che darà fondo a tutte le risorse militari in suo possesso per difendere l’integrità territoriale della federazione e la dimensione politica della Russia, quale che sia il prezzo da pagare e da far pagare. Lavrov lo ha appena ribadito: non accetteremo eserciti alle nostre porte.

Eppure per ardore ideologico, per necessità di sopravvivenza del modello fallito, mettere la Russia in ginocchio, nonostante l’impossibilità materiale che ciò avvenga, continua ad essere il sogno ricorrente dell’atlantismo. Ma l’idea di imporre alla Russia una sconfitta strategica sul piano militare risulta decisamente folle, anche per la banale valutazione di come sia impossibile pensare di sconfiggere un paese dotato di oltre 6000 ordigni nucleari tattici e strategici, che si aggiungono alla dimensione militare russa che, per mare, terra e cielo, è probabilmente la migliore del pianeta.

Forse la distanza temporale dalla conclusione dell’ultimo conflitto globale in territorio europeo (1945) spinge l’Occidente Collettivo verso una rimozione mnemonica della storia e porta a sottostimare come siano finiti i tre imperi che sfidarono la Russia. Il linguaggio belligerante e provocatorio che sfida la Russia in un gioco a somma zero, non considera che gli sfidanti non riuscirebbero nemmeno a sopravvivere dopo i primi 30 minuti dall’inizio del gioco.

Ma cosa spinge l’Occidente a considerare percorribile la strada della distruzione totale del pianeta piuttosto che quella di riconsiderare la governance mondiale? C’è chi pensa che la questione sia quella della trasformazione del ciclo economico, o che solo convincere l’intero Occidente a trasformarsi in un esercito e il resto del mondo al terrore di sfidare l’impero decadente. E c’è chi crede ad un bluff di Mosca, ma non appare saggia l’idea di sfidare a lungo e ovunque la pazienza e il senso di responsabilità del Cremlino, che ha già dimostrato in Cecenia, Georgia, Siria e Ucraina come la leadership russa non faccia sconti sulla sua sicurezza.

Forse si pensa alla storica pazienza sovietica, ma si commetterebbe un errore enorme. Diversamente dall’URSS, che gestiva un impero che a sua volta la proteggeva, Mosca sa di dover far fronte pressoché da sola ad un progetto che prevede la sua dissoluzione e sa che le vie della diplomazia e della politica non hanno più ruolo e valore determinanti. Dunque la disponibilità ad intervenire in forma decisa per salvaguardare la sua integrità ed agibilità politica è fuori discussione.

Tutto questo lo sanno perfettamente a Washington come a Bruxelles, ma l’ossessione bellica occidentale proprio nella fase storica in cui è maggiormente vulnerabile, è sfacciata quanto disperata: la Russia non obbedisce, non si piega. Non c’è isolamento che tenga, anzi resiste e vince sul terreno. E, cosa ancora peggiore, sta formando, insieme alla Cina e ad altri, un sistema alternativo ora economico e in prospettiva anche politico che poggia su una grande forza militare.

Questo blocco - BRICS insieme altre organizzazioni regionali di peso (vedi Sco, CSTO, CIS ed Unione Euroasiatica) - sebbene sia politicamente disomogeneo, ostacola l’espansione e la resilienza del potere occidentale sull’insieme del pianeta: fornisce strumenti, spazi economici, forza militare ed autorevolezza politica alle economie emergenti e, in prospettiva a medio e lungo termine, riducendo l’incidenza del Dollaro e quindi degli USA sui mercati, può determinare un ribaltamento degli attuali equilibri che favoriscono il blocco capitalistico a guida anglosassone. Dimostra di sapersi far carico di una possibile rappresentazione politica del Sud Globale e dell’Est che può imporre al Nord una forte riduzione del suo ruolo di comando. Da qui l’urgenza di attaccare la Russia, considerata a ragione forza motrice di questo processo, prima che esso riunisca intorno a se così tanti partner dal rendere poi impossibile averne ragione.

La Russia è sotto attacco per ciò che dice, che fa e per ciò che rappresenta. Per essere, ancora una volta nella storia, riferimento internazionale di tutti quei paesi che ritengono di non dover sottostare alle regole imperiali che prevedono l’impossibilità di uno sviluppo e di un ruolo che unicamente non sia quello assegnatogli da Washington.

A distanza di 33 anni dalla rimozione della bandiera rossa dai pennoni del Cremlino, l’ossessione per l’Unione Sovietica si è modificata in russofobia. La sconfitta strategica della Russia resta ancora l’aspirazione massima di un modello anglosassone che non può e non vuole tollerare nessun bilanciamento delle forze militari, nessun equilibrio politico, nessuna concorrenza economica, pena il disfacimento rapido del suo sistema.

Ma quello che rischia di succedere è esattamente il contrario. Bastano pochi minuti ai missili russi per polverizzare l’impero, cominciando dalle capitali europee. Ma ne bastano ancora meno per capire la follia di provocare questo epilogo.

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