La crisi irreversibile del governo britannico del primo ministro, Rishi Sunak, è culminata mercoledì con la decisione, presa da quest’ultimo e ratificata dal sovrano, di indire elezioni anticipate per il prossimo 4 di luglio. In un clima domestico e internazionale esplosivo, in buona parte responsabilità dello stesso gabinetto conservatore di Londra, la classe dirigente d’oltremanica ha ritenuto evidentemente urgente un passaggio di consegne nel Regno Unito, senza cioè attendere la scadenza naturale del mandato legislativo (gennaio 2025). Tutti i sondaggi danno favorito il Partito Laburista e il suo leader, Keir Starmer, la cui agenda è per molti versi indistinguibile da quella del governo e della maggioranza uscenti.

 

Le spiegazioni offerte dai media ufficiali per l’iniziativa di Sunak hanno quasi tutte incluso l’effetto sorpresa, da sfruttare nei confronti di una leadership laburista probabilmente convinta che il voto si sarebbe tenuto non prima dell’autunno. L’altro fattore su cui punterebbe il premier sono i presunti progressi dell’economia britannica. L’inflazione avrebbe infatti registrato un netto rallentamento, il PIL è tornato a crescere e Downing Street ha appena introdotto la famigerata legge sulle deportazioni dei migranti irregolari in Ruanda.

Questi recenti “successi” del governo Sunak potrebbero dare un certo impulso ai conservatori, che cercherebbero quindi di capitalizzare con un’elezione in tempi brevi. La realtà appare tuttavia molto diversa. Il tracollo in termini di legittimità e consensi è talmente grave che attendere altri mesi per sciogliere il parlamento avrebbe peggiorato ulteriormente la situazione dell’attuale maggioranza.

Soprattutto il sostegno totale assicurato da Londra al genocidio palestinese sta pesando sul governo, ma anche sul Partito Laburista. Ciò era stato confermato dal clamoroso successo dell’ex deputato del “Labour”, George Galloway, in un’elezione suppletiva tenuta a fine febbraio grazie a una campagna incentrata quasi interamente sulla denuncia dell’aggressione di Israele a Gaza.

I laburisti vengono comunque accreditati di un gradimento superiore al 40% e di un vantaggio sui conservatori che si aggira attorno ai venti punti percentuali o poco meno. Anche gli ambienti vicini al partito ammettono però che la popolarità di Starmer e del “Labour” in generale è decisamente sovrastimata nelle rilevazioni di opinione. Il numero uno dell’istituto di ricerca Ipsos ha spiegato in un’intervista al Guardian che il relativo decollo dei laburisti nei sondaggi è dovuto “più al disgusto nei confronti dei conservatori” che al favore degli elettori per il partito di opposizione.

Un’indagine proprio di Ipsos ha evidenziato appunto come, nonostante il vantaggio, Starmer e il “Labour” non suscitino entusiasmi tra i votanti e, anzi, stiano facendo registrare livelli di popolarità simili a quelli del 2015, sotto la guida di Ed Miliband, quando i conservatori si assicurarono la maggioranza dei seggi alla Camera dei Comuni. Nello specifico, secondo il sondaggio, il numero dei potenziali elettori che ritiene il Partito Laburista “adatto” a governare, dotato di leader capaci e in grado di comprendere e risolvere i problemi del Regno Unito è oggi inferiore rispetto alle rilevazioni del 2014 alla vigilia del voto.

Questa realtà non sorprende affatto, dal momento che il Partito Laburista e quello Conservatore sono due facce della stessa medaglia. Dopo l’elezione alla guida del suo partito nel 2020, Starmer aveva liquidato la sinistra che faceva capo a Jeremy Corbyn, per riallineare il “Labour” alle posizioni “blairite”, cioè ultra-liberiste in ambito economico e ultra-atlantiste in materia di politica estera. Spiega sempre il Guardian che Starmer aveva promesso inizialmente continuità con l’agenda progressista di Corbyn, per poi fare marcia indietro in fretta, mettendo da parte proposte come l’abolizione delle tasse universitarie, l’imposizione di una tassa sui redditi più elevati e la nazionalizzazione delle società di servizi pubblici.

Non è tanto la svolta a destra ad avere lanciato il Partito Laburista verso un probabile ritorno al governo sotto la leadership di Starmer, quanto le conseguenze devastanti per i conservatori di quattordici anni di austerity e asservimento totale agli interessi americani. I numeri dei sondaggi nascondono peraltro una serie di fragilità per i laburisti che più di un commentatore ritiene potrebbero tradursi, alla chiusura delle urne, in un risultato molto meno soddisfacente di quello previsto.

Il primo problema per il “Labour” sarà nelle circoscrizioni con una consistente presenza di musulmani, infuriati per le posizioni filo-israeliane di Starmer. In questo senso, la già ricordata elezione di George Galloway rappresenta un precedente che potrebbe ripetersi altrove, soprattutto se la strage nella striscia di Gaza dovesse proseguire ancora per settimane o mesi.

È probabile in ogni caso che i vertici laburisti promuovano alcuni temi popolari in campagna elettorale, come ad esempio il rilancio del servizio sanitario nazionale (NHS), affetto anche nel Regno Unito da ritardi e carenze a causa di decenni di tagli alla spesa pubblica. Dall’altro lato, i due partiti faranno invece a gara nel proporre misure sempre più restrittive contro l’immigrazione. La legge sulle deportazioni in Ruanda citata in precedenza sarà al centro del dibattito, ma l’opposizione laburista al provvedimento riguarda in pratica solo gli aspetti pratici e finanziari, non certo quelli di natura legale e morale.

Il successo del Partito Laburista dipenderà anche dalla prestazione delle formazioni minori in un panorama politico che tende sempre più alla frammentazione a causa del crollo della legittimità della classe politica tradizionale. I liberal democratici sono in genere i principali beneficiari della flessione di consensi del “Labour” o dei “Tories” e, infatti, nel voto di luglio punteranno a conquistare svariati seggi ora occupati dal partito di governo, in particolare nel sud dell’Inghilterra.

Il sistema elettorale maggioritario penalizza i partiti più piccoli, anche se il discredito di quelli maggiori ha raggiunto un livello tale che, almeno localmente, non si escludono sorprese. I laburisti potrebbero però recuperare terreno in Scozia, dove i nazionalisti che governano a Edimburgo stanno attraversando una grave crisi politica. L’elemento che più di tutti sembra potere favorire il “Labour” è poi la popolarità delle posizione filo-palestinesi e gli appelli alla tregua a Gaza che distinguono molti dei suoi candidati, i quali restano per altro verso fedeli alla linea del partito.

Per quanto riguarda il primo ministro uscente, non è detto che resterà alla guida del partito, né che torni a occupare un seggio nel prossimo parlamento. Sunak sembra essere sempre più isolato e oggetto di attacchi dentro il suo partito. Alla notizia delle elezioni anticipate, la destra conservatrice ha annunciato un possibile di sfiducia nei suoi confronti. Meno di due anni fa era stato selezionato per rimediare al caos politico ed economico causato dalla catastrofica amministrazione di Liz Truss, ma l’effetto stabilizzante dell’ex banchiere d’investimenti ed ex ministro delle Finanze era durato ben poco.

I risultati della fallimentare campagna anti-russa seguita all’invasione ucraina del febbraio 2022 hanno fatto il resto, gettando il Regno Unito in un abisso da cui sarà molto difficile uscire. Se i laburisti potrebbero alla fine vedere ridimensionate le proprie aspettative dopo il voto di luglio, per Rishi Sunak le prospettive non sono comunque incoraggianti. Il primo ministro, ad ogni modo, potrà sempre consolarsi tornando alla sua attività precedente la politica o godendosi il lusso della vita in famiglia. Secondo l’ultima classifica dei super-ricchi del Sunday Times, d’altra parte, il patrimonio personale di Sunak e della consorte è aumentato di qualcosa come 122 milioni di sterline, toccando la quota complessiva di 651 milioni.

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